Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19198 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 19198 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25057/2019 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
– intimata – avverso la sentenza n. 30/2019 de lla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 15.2.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, collaboratore esperto linguistico presso l’RAGIONE_SOCIALE , si rivolse al Tribunale di
quella medesima città, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere l’annullamento della sanzione disciplinare ( multa pari a 4 ore di retribuzione) inflittagli dalla datrice di lavoro per essersi rifiutato di adempiere all’obbligo di redigere il registro delle sue attività seguendo la relativa procedura on line .
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse la domanda, con sentenza che venne impugnata dal l’RAGIONE_SOCIALE davanti alla Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, la quale accolse il gravame e, quindi, rigettò la domanda del lavoratore.
Contro la sentenza della corte d’appello il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi de ll’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunciano «violazione e falsa applicazione de ll’ art. 55 -bis , comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001» , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello nel valutare la tempestività della contestazione disciplinare -avrebbe errato a considerare tempestiva una contestazione intervenuta solo in data 5.2.2015, a fronte di un comportamento risalente al l’inizio del 2013 e ben noto all’RAGIONE_SOCIALE quantomeno a partire dal l’ottobre 2014 .
1.1. Il motivo è infondato.
Il ricorrente non pone argomenti in contrasto con l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui quello a lui contestato era un illecito permanente, in quanto consistente in un comportamento omissivo (rifiuto di redigere il registro
utilizzando l’apposita procedura on line ) prolungatosi inalterato nel tempo. Il ricorrente sostiene, però, che « l’asserita natura permanente dell’illecito non legittima il datore di lavoro a procrastinare, ovvero a ritardarne, la contestazione».
1.2. Deve invece pienamente condividersi il ragionamento della Corte d’Appello secondo cui il ritardo nella contestazione , pur rendendo inutilizzabile, ai fini disciplinari, il comportamento più risalente nel tempo, non può certo rendere esente da censura anche il successivo protrarsi nel tempo dell’illecito permanente. Infatti, se così fosse, si dovrebbe concludere che lo spirare del termine perentorio per la contestazione disciplinare non avrebbe solo l’effetto di rendere non più sanzionabili comportamenti svoltisi ed esauritisi nel passato (liberando da una ingiusta minaccia a tempo indefinito un lavoratore che, dopo compiuto l’illecito, adempia regolarmente la sua prestazione), ma avrebbe anche l’anomalo effetto di rendere lecito di fatto, anche per il futuro, un comportamento di per sé illecito. In altri termini, per effetto della intervenuta decadenza da ll’azione disciplinare , il lavoratore acquisterebbe una sorta di diritto a perpetrare l’illecito sine die , lasciando il datore di lavoro pressoché impotente a pretendere la cessazione dell’illecito e l’esatto adempimento del contratto (e ponendo il lavoratore in una posizione di privilegio rispetto ai suoi colleghi, per i quali quel medesimo comportamento continuerebbe ad essere illecito).
1.3. Il precedente citato nel ricorso (Cass. n. 2513/2017) non può valere a supporto della tesi ivi sostenuta, perché -come correttamente rilevato dalla Corte territoriale -in quel caso la Corte di Cassazione ritenne chiaramente che l’illecito disciplinare di cui si discuteva si fosse comunque perfezionato e
compiuto in un preciso momento, che venne conseguentemente individuato come dies a quo del termine per la contestazione.
Si legge nella motivazione di quella sentenza: « Il motivo appare infondato in quanto la contestazione è stata formulata dopo oltre un anno (15 mesi) dalla riammissione in servizio, rifiutata dalla lavoratrice. Anche se si dovesse accedere alla tesi di parte ricorrente per cui il fatto contestato non sarebbe il rifiuto del trasferimento ma l ‘ assenza ingiustificata dal lavoro per oltre sessanta giorni, sanzionata dal CCNL con il licenziamento, è stata contestata oltre un anno dopo il suo compimento (decorso del termine di 60 giorni) con un ritardo, quindi, abnorme ».
Nel caso qui in esame, l’illecito non riguarda né la mancata presentazione al lavoro in una determinata data , né l’assenza dal servizio per un certo numero di giorni , bensì semplicemente il fatto di non avere adempiuto l’ordine di compilare il registro delle attività svolte con le prescritte modalità; comportamento tenuto nel 2013 (e ritenuto, in parte qua , non più sanzionabile dalla Corte d’Appello , in mancanza di tempestiva contestazione) e perpetrato per tutto il 2014 e nel gennaio 2015 (e ritenuto, in parte qua , tempestivamente contestato il 4 febbraio, a fronte di una segnalazione del personale preposto del 30 gennaio).
Il secondo motivo censura , sempre in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, «violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 e 2712 c.c. e dell’art. 21 del d.lgs. n. 82 del 2005».
Il ricorrente si lamenta che la Corte d’Appello abbia ritenuto sussistente l’obbligo di redigere il registro on line sulla base di una mera informale comunicazione interna del docente di riferimento dei C.E.L. di incerta provenienza e, comunque,
inidonea a modificare il contenuto del contratto di lavoro che invece prevedeva la redazione del registro in forma cartacea.
2.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d’Appello non ha attribuito ai documenti prodotti dall’RAGIONE_SOCIALE valore di scrittura privata ai sensi delle disposizioni di legge che si assumono violate, ma ha semplicemente apprezzato il materiale istruttorio disponibile per giungere alla conclusione -insindacabile in sede di legittimità -che l’ordine di redigere il registro on line era stato adottato e reso conoscibile al ricorrente. Giustamente il giudice d’appello ha rilevato che non era necessario, a tal fine, il rispetto di forme particolari, «trattandosi di un atto interno all’ufficio» .
Rientra nell’insindacabile accertamento del fatto anche il giudizio della Corte d’Appello secondo cui la disciplina contrattuale dava al datore di lavoro la facoltà di pretendere dal lavoratore la compilazione del registro on line . In ogni caso, l’art. 1 del contratto individuale (il cui testo è riportato nella sentenza impugnata) non prevedeva «la redazione del registro nella forma cartacea», come afferma il ricorrente, ma solo l’obbligo del lavoratore di «annotare e descrivere lo svolgimento delle attività … in apposito registro» , senza specificare le relative modalità, ma aggiungendo che il registro «deve sempre essere tenuto aggiornato e deve essere esibito su richiesta dell’amministrazione». Ciò che ha indotto la Corte territoriale a ritenere, del tutto ragionevolmente, che fosse facoltà del datore di lavoro dare indicazioni sulla modalità di compilazione idonea a meglio realizzare la funzione attribuita al registro.
Con il terzo motivo si denuncia, questa volta con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 5, il «mancato esame di parte delle questioni giuridiche sollevate con la domanda».
Si afferma che la Corte d’Appello avrebbe trascurato di considerare i riflessi sulla (negata) sussistenza dell’obbligo di redigere il registro on line della mancanza di un supporto informatico idoneo, del fatto che la compilazione del registro non avveniva in classe, del fatto che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva richiesto il parere consultivo del RAGIONE_SOCIALE della Privacy e dell’impossibilità di imporre ai dipendenti l’utilizzo di strumenti elettronici propri.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, per come formulato, posto che il vizio di omesso esame non può essere denunciato con riferimento a «questioni giuridiche» riguardanti il diritto sostanziale.
Infatti, già sul piano testuale, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. descrive il vizio denunciabile come omesso esame di un «fatto decisivo», mentre il ricorrente lamenta il mancato esame di alcune «questioni giuridiche», le quali, se riferite al diritto sostanziale, avrebbero potuto essere sottoposte all ‘esame diretto della Corte di Cassazione (art. 384, comma 2, c.p.c.).
Inoltre, si deve ribadire che anche l’ omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello -così come l ‘ omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. o del vizio di
motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l ‘ abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare la decisione resa al riguardo, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo -ovverosia della violazione dell ‘ art. 112 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -, la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità, in tal caso giudice anche del fatto processuale, di effettuare l ‘ esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito; pertanto, alla mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell ‘ assunta omissione, consegue l ‘ inammissibilità del motivo (v. Cass. nn. 29952/2022; 25259/2017; 22759/2014; 1755/2006).
Rigettato il ricorso, non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasta intimata l’RAGIONE_SOCIALE.
Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’ art. 13, comma 1 -bis , del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.5.2024.