Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21294 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21294 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12086-2022 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME dell’AREA LEGALE RAGIONE_SOCIALE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 678/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/02/2022 R.G.N. 1554/2021;
Oggetto
Sanzione disciplinare conservativa
R.G.N. 12086/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 26/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di Appello di Roma accoglieva l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a. contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 3719/2021 e, per l’effetto, in riforma di detta sentenza, dichiarava la legittimità della sanzione disciplinare della multa pari a quattro ore di retribuzione irrogata a NOME dalla società appellante.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado Poste Italiane s.p.a. aveva chiesto al Tribunale adito che fosse accertata la legittimità della sanzione disciplinare della multa pari a quattro ore di retribuzione irrogata, con nota del 13 dicembre 2017, a NOME COGNOME responsabile dell’ufficio postale di Furbara Cerenova, per aver autorizzato NOME COGNOME, preposta allo stesso ufficio, a negoziare un vaglia clonato dell’importo di € 83.700,00, omettendo di rilevare la mancanza del requisito della lieve ruvidità superficiale sul logo di Poste Italiane percepibile al tatto, contravvenendo quindi alla COI numero 88 del 2016, che prescriveva tale verifica.
Premetteva ancora la Corte quanto ritenuto dal primo giudice all’esito dell’istruttoria espletata, ed il contenuto dell’unico motivo dell’atto di appello di Poste Italiane, con il quale si denunciava il malgoverno, da parte del Tribunale, delle risultanze istruttorie ex artt. 115 e 116 c.p.c.
La Corte, quindi, dopo aver dato conto delle due testimonianze assunte, e che era pacifico che la circolare n. 88 del 2016 indicava i requisiti grafici che i titoli dovevano contenere, tra i quali una lieve ruvidità superficiale sul logo di ‘Poste Italiane’, considerava che la lavoratrice appellata non aveva contestato che la carta fosse completamente liscia, né aveva allegato che anche un controllo della ruvidezza non avrebbe consentito, e per quale motivo, di dubitare dell’autenticità del titolo, sicch é concludeva che, se la Pica avesse controllato i rilievi sul logo, si sarebbe accorta della non genuinità del vaglia o, quanto meno, della sua non sicura autenticità, richiedendo approfondimenti o l’intervento di esperti, prima di procedere alla negoziazione del titolo.
Pertanto, riteneva che, ricoprendo la Pica la carica di Direttore della filiale (funzione che implica l’esercizio di attività di controllo su titoli postali, tanto più se, come nella specie, di consistente importo), non poteva negarsi la grave colpa per quanto accaduto e la fondatezza dell’addebito ex artt. 52, 53 e 54 CCNL (per inosservanza dei doveri e obblighi di servizio).
Avverso tale sentenza la lavoratrice soccombente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Nullità della sentenza impugnata per violazione del principio del contraddittorio e di difesa della ricorrente, ex art. 360 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 52, 53 e 54
C.C.N.L. e 2113 c.c.’. Secondo la ricorrente, la ‘sentenza impugnata è affetta da nullità assoluta, atteso che la Corte di Appello di Roma, disattendendo completamente il giudizio della sentenza di primo grado e facendo mal governo delle prove acquisite ha basato la sua decisione quasi unicamente sulle dichiarazioni verbalizzate dall’Ispettore COGNOME appartenente alla struttura RAGIONE_SOCIALE delle Poste Italiane’.
Con un secondo motivo deduce ‘Inammissibilità del ricorso originario e/o nullità della sentenza impugnata per mancata allegazione e produzione del titolo contestato, art. 360 n. 4 c.p.c. Violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c.’. Per la ricorrente, la Corte di appello ‘ha violato la legge in ordine ad un duplice profilo: da un lato la pronuncia del giudice di secondo grado ha trovato fondamento non già su una prova acquisita nel processo, bensì su un fatto non provato e contestato dal lavoratore, da ll’altro la corte territoriale non ha correttamente applicato il principio dell’onere della prova, dal momento che la società datrice di lavoro non ha dato la prova della mancanza degli elementi che facevano apparire il titolo come contraffatto’.
Con un terzo motivo deduce ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, art. 360 n. 5 c.p.c. Parcellizzazione dei singoli elementi di prova’. Per la ricorrente, ‘La sentenza della Corte di appello ha preso in esame solo alcuni elementi emersi dall’istruttoria’, non tenendo conto di quanto affermato dalla sentenza di primo grado.
Il primo motivo è inammissibile per varie ragioni.
La ricorrente in tale censura si riferisce ad una dichiarazione della stessa COGNOME quando fu ascoltata in data
24.10.2017 nel corso della procedura disciplinare (cfr. pag. 4 del ricorso); e a riguardo deduce che tale dichiarazione riportata dalla sentenza impugnata non corrisponde a quanto dichiarato dalla stessa, e che sarebbe stata acquisita ‘in violazione dei diritti della ricorrente che aveva la facoltà di farsi assistere da una persona di sua fiducia o dalle organizzazioni sindacali ma tutto questo non è avvenuto’.
5.1. Pertanto, la violazione del principio del contraddittorio e di difesa che la ricorrente denuncia ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., in realtà, non riguarda violazioni consumatesi nel giudizio, ma pretese irregolarità del precedente procedimento disciplinare, che peraltro non risulta fossero state dedotte dalla stessa nel corso del doppio grado di merito.
5.2. Del resto, la ricorrente non chiarisce sotto quali profili e perché giudichi violati e falsamente applicati gli artt. 52, 53 e 54 del CCNL.
Inoltre, nota il Collegio che la censura è distonica rispetto alla motivazione resa dalla Corte territoriale: quest’ultima, infatti, ha sì riportato la dichiarazione della lavoratrice quando fu ascoltata durante il procedimento disciplinare tra le deduzioni contenute nel motivo d’appello della società (cfr. facciata 4 della sua sentenza); ma ha poi formato il proprio convincimento, non su tale dichiarazione, bensì sull’apprezzamento delle risultanze processuali, e, segnatamente, sulle due deposizioni rese in giudizio. Pertanto, neppure è aderente alla ratio decidendi della Corte distrettuale l’assunto della ricorrente secondo cui la stessa avrebbe ‘basato la sua decisione quasi unicamente sulle dichiarazioni verbalizzate dall’ispettrice COGNOME.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
In esso la ricorrente per cassazione lamenta essenzialmente ‘che incombeva sul datore di lavoro l’onere di allegare il vaglia contestato al fine di consentire, nel contraddittorio delle parti di accertare se effettivamente presentava o meno la calcografia sul logo ovvero le altre anomalie indicate dalla società ricorrente’, ma che ‘nulla era stato prodotto dalla società che ha presentato l’originario ricorso’.
Osserva, allora, il Collegio che, in disparte la prospettazione di una censura in punto di prova (assumendosi violati gli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c.) in chiave di ‘inammissibilità del ricorso originario e/o nullità della sentenza’, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, in materia di ricorso per cassazione i motivi, a pena d’inammissibilità, devono investire questioni comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo ammissibili in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito ( ex multis Cass. n. 11468/2022; Sez. un. n. 1718/2020).
9.1. Per contro, nel caso in esame non risulta assolutamente dal testo della sentenza impugnata che in grado d’appello (o anche nel primo grado) fosse stata sollevata la questione, non rilevabile d’ufficio, della mancata produzione del vaglia oggetto della contestazione disciplinare.
E’ infine inammissibile il terzo motivo.
Difatti, l’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., cui si riferisce la ricorrente, ammette la denuncia innanzi alla Suprema Corte di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal
testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo ( ex multis Sez. un. n. 21973/2021).
La ricorrente, invece, lamenta essenzialmente che la Corte ‘non ha tenuto conto di quanto affermato dalla sentenza di primo grado’, della quale riporta taluni passi (cfr. pagg. 6 -7 del ricorso), e, in realtà, muove una critica all’apprezzamento probatorio operato dalla Corte di merito, alla stessa riservato (v. pagg. 7-8 del ricorso).
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 1.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 26 febbraio