Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20707 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20707 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15565-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 143/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/04/2022 R.G.N. 1118/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N.15565/2022
COGNOME
Rep.
Ud 18/06/2025
CC
RILEVATO che
1.Con la sentenza in epigrafe indicata , la Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato la legittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per dieci giorni irrogata da Unicredit S.p.A. a NOME COGNOME.
In particolare, il giudice di secondo grado, andando di contrario avviso rispetto all’ iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto che gli addebiti disciplinari enucleati nella contestazione fossero due e non tre come dal medesimo ritenuto e, nel merito, ha riconosciuto rilevanza disciplinare ad uno di essi – concernente la partecipazione societaria del lavoratore, nella misura del 50%, alla RAGIONE_SOCIALE, in difetto di previa autorizzazione della società datrice nonché l’adeguatezza della sanzione comminata, consistente in dieci giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso assistito da memoria NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
3.1. Resiste, con controricorso, Unicredit S.p.A.
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 2697 e 115 cod. proc. civ., allegandosi la violazione dell’onere della prova per aver la Corte ritenuto che il ricorrente non potesse non conoscere l’ordine di servizio n. 1162/2 – concernente il divieto per il dipendente di prestare la propria opera in favore di terzi in assenza di apposita autorizzazione della società datrice – in considerazione del proprio ruolo di quadro direttivo.
1.1. Con il secondo motivo si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. con riguardo alle circostanze non solo del possesso di credenziali dei clienti da parte del ricorrente, ma anche dell’irrilev anza ritenuta dalla Corte – del difetto di prova sul danno procurato alla società.
1.2. Con il terzo motivo si denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., con riguardo a diverse considerazioni contenute in varie
parti della sentenza quanto al numero di addebiti contestati ed alla consistenza degli stessi.
I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, sono inammissibili.
Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod. civ., va rilevato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, ( ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.
Va poi rilevato, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art . 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinarioin relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);
nella specie, non solo parte ricorrente non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’ iter motivazionale, concernenti la asseritamente erronea valutazione di materiale istruttorio concernente il danno subito.
Invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’ ” omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo
a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass.n. 2268 del 2022).
In particolare, poi, relativamente all a dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre evidenziare che una questione di violazione e falsa applicazione di tale norma non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
Occorre, poi, chiarire che, allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito, rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presu ntivi a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’ ‘id quod prelumque accidit’, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità, se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti ad una valutazione globale (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17410 del 2019).
In tale ambito, non v’è dubbio che il giudice, dovendo rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto alla base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola in due valutazioni: una analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria e una complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, magari non raggiunta con certezza considerandoli atomisticamente (Cass. n. 8115 del 2025). Consegue a tale assunto, tuttavia, che risulta censurabile in cassazione la sola decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore
indiziario agli elementi acquisiti in giudizio, senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi.
6. Nella specie, in fatto, la Corte d’appello ha concordato con parte appellante nel ritenere che gli addebiti enucleati nella contestazione disciplinare fossero due (partecipazione non autorizzata in RAGIONE_SOCIALE ed utilizzo indebito di procedure informatiche aziendali, con accessi ingiustificati ad alcune schede clienti) e non tre, come invece ritenuto dal giudice di primo grado.
Invero, osserva la Corte come la lettera di contestazione disciplinare (allegata sub doc. 6 fascicolo appellante) menzionasse anche incontri tra NOME COGNOME e persone estranee alla Banca, asseritamente avvenuti nei locali aziendali tra la fine del 2018 e maggio/inizio giugno 2019. Dal tenore della lettera, tuttavia, ha ritenuto il giudice d’appello di ricavare che tali incontri non formassero oggetto di autonoma contestazione, ma fossero richiamati unicamente al fine di tratteggiare il contesto in cui inquadrare le condotte specificamente contestate. In questi termini ha ritenuto, quindi, il motivo fondato.
Quanto ad una delle infrazioni ascritte, il giudice di primo grado aveva ritenuto giustificato l’accesso in data 24 settembre 2019, da parte di NOME COGNOME alla scheda cliente relativa ad NOME COGNOME alla luce dell’incontro tra i due avvenuto tra settembre ed ottobre 2019, di cui ha dato conto lo stesso COGNOME in sede di esame testimoniale. Nessuna ragione di carattere lavorativo sussisteva, invece a fondamento della consultazione delle schede degli altri clienti o ex clienti indicati nella lettera di contestazione, parimenti eseguita da NOME COGNOME il 24 settembre 2019 (circostanza pacifica).
In assenza di esigenze connesse allo svolgimento della prestazione lavorativa – neppure allegate dal dipendente – la condotta, secondo la Corte, integrava violazione della policy aziendale in tema di utilizzo degli strumenti elettronici e di accesso ai dati personali in possesso della società, in particolare dell’ODS 361 del 6 luglio 2016 ‘Regolamento per l’utilizzo degli strumenti elettronici, della Posta Elettronica e della Rete Internet nel rapporto di lavoro’, secondo cui ‘l’utilizzo degli strumenti ado perati per rendere la prestazione lavorativa, intendendo per tali tutte le risorse hardware anche virtuali e software aziendali (ad esempio Personal Computer fissi, laptop, Macchine Virtuali o altri analoghi Strumenti, device mobili, quali cellulari, smartphone e tablet aziendali, Sistemi
Operativi, Software Aziendali di produzione come la suite Office, ecc.) deve avvenire nel rispetto delle regole in tema di sicurezza, segretezza, protezione dei dati personali, riservatezza, tutela del patrimonio e dell’immagine di UniCredit, bilanciando adeguatamente i diritti e gli interessi di UniCredit, dei suoi Clienti e dei suoi Dipendenti. Con motivazione non implausibile la Corte ha ritenuto, diversamente da quanto reputato dal giudice di primo grado, la rilevanza disciplinare della condotta non esclusa dal fatto che il COGNOME disponesse di codice operatore e di proprie credenziali per accedere alle schede clienti, né dal fatto che la società non avesse dimostrato (e neppure allegato) ‘che lo abbia fatto per un proprio tornaconto personale’ . Era stato contestato, infatti, al dipendente non l’avere effettuato accessi alle schede cliente con credenziali altrui o per conseguire vantaggi personali, ma l’avere eseguito dette operazioni per ragioni estranee all’attività lavorativa e in assenza di poteri di firma sui rapporti intestati a detti soggetti, in contrasto con le vigenti disposizioni aziendali sopra richiamate.
6.1. Valutazione consimile è stata effettuata dalla Corte quanto alla partecipazione societaria, nella misura del 50%, presso la RAGIONE_SOCIALE in assenza di preventiva autorizzazione al riguardo da parte della datrice. La Corte ha, al riguardo, ritenuto che l’allegata mancata conoscenza dell’ordine di servizio non valesse in alcun modo ad escludere la rilevanza disciplinare della condotta considerata atteso che il COGNOME, in qualità di dipendente e, tanto più, di quadro direttivo, fosse tenuto a conoscere disposizioni e procedure aziendali cui deve attenersi la generalità del personale e, a maggior ragione, chi riveste ruoli di responsabilità.
Tale valutazione complessiva, non implausibile, deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
Deve, quindi, concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso, deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.
9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del comma 1 -quater dell’art.13 d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso nell’Adunanza camerale del 18 giugno 2025
La Presidente
NOME COGNOME