Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8982 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8982 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11419-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
SANZIONE
DISCIPLINARE
CONSERVATIVA
R.G.N. 11419/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 25/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 63/2021 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 25/10/2021 R.G.N. 22/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Trento, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per la declaratoria di illegittimità della sanzione disciplinare conservativa (corrispondente alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 2 giorni) comminata con lettera del 19.2.2019.
La Corte territoriale ha, in sintesi, evidenziato che ciascun motivo di appello (sotto vari profili, sviluppati con riguardo al travisamento dei fatti, al diritto di critica e alla proporzionalità della sanzione) era, dapprima, inammissibile (in quanto generico, e dunque formulato in violazione dell’art. 342 c.p.c.) e, inoltre, infondato (posto che la decisione del giudice di primo grado si fondava sulla valutazione di numerosi documenti, considerava il necessario componimento tra interessi della società e diritto di critica, che, nel caso di specie, era carente di pertinenza e di continenza).
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo, illustrato da memoria. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione degli artt.
132 c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c. avendo, la Corte di appello errato nel valutare correttamente l’operato del ricorrente, in quanto la corrispondenza intercorsa tra le parti aveva ad oggetto fatti veri, aveva un contenuto -anche lessicale -corretto e rispettoso dei ruoli occupati dei vari interlocutori, aveva ad oggetto interessi della società.
Il ricorso è inammissibile.
La censura formulata come violazione di legge mira in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità
3.1. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
Inoltre, anche tralasciando l’errata indicazione del paradigma normativo che si addice alla censura di difetto di motivazione (deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., v. Cass. n. 7402 del 2017), l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziali è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione
(per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile), profili non illustrati dal ricorrente, oltre che assenti nella sentenza impugnata.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 25 febbraio