Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2093 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2093 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23808/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE ,
domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e dife sa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 341/2018 de lla Corte d’Appello di Catania, depositata il 20.4.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, dipendente del l’RAGIONE_SOCIALE e, all’epoca dei fatti, aiuto corresponsabile del Dispensario Antitubercolare di quella città, si rivolse al Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, impugnando -per motivi formali e sostanziali -la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi, inflittagli dal datore di lavoro per avere omesso di segnalare un caso di positività al test Mantoux per l’accertamento dell a tubercolosi e per essersi rifiutato di unirsi a un gruppo di lavoro creato per fronteggiare un’emergenza sanitaria .
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale rigettò la domanda del lavoratore, pur accerta ndo l’infondatezza del secondo addebito. Il lavoratore propose appello davanti alla Corte d’Appello di Catania, la quale respinse a sua volta l’impugnazione .
Contro la sentenza della Corte territoriale il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi. L’RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia «violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, della legge n. 300/1970, e 55, punto 2, del d.lgs. n. 165/2001 novellato dal d.lgs. n. 159/2009».
Si contesta alla Corte d’Appello di avere ritenuto la pubblicazione delle infrazioni disciplinari e delle relative sanzioni sul sito internet istituzionale dell’RAGIONE_SOCIALE idonea ad assolvere
l’o nere del datore di lavoro di dare adeguata pubblicità alle norme disciplinari «mediante affissione in luogo accessibile a tutti» (art. 7, comma 1, legge n. 300 del 1970).
1.1. Il motivo è infondato, perché l’equivalenza all’affissione sul luogo di lavoro della pubblicazione delle norme disciplinari sul sito istituzionale dell’amministrazione è espressamente disposta dall’art. 55, comma 2, d. lgs. n. 165 del 2001, che quindi non è stato violato dalla Corte d’Appello di Catania, ma anzi esattamente interpretato e applicato.
È appena il caso di aggiungere che la chiara disposizione di legge non limita la propria efficacia al caso in cui il lavoratore renda la sua prestazione in un locale in cui sia disponibile un collegamento internet .
Il secondo motivo censura la «violazione e falsa applicazione dell’art. 55 -bis , nn. 3 e 4, del d.lgs. n. 165/2001 novellato dal d.lgs. n. 159/2009».
La Corte d’Appello ha individuato il dies a quo per stabilire la tempestività della contestazione disciplinare nella data del 17.2.2011, quando il responsabile della struttura inviò all’Ufficio Procedimenti Disciplinari la nota n. 557/SEMP evidenziando, da un lato, che i risultati dei test eseguiti dal ricorrente non erano stati trasmessi al Servizio di RAGIONE_SOCIALE e , dall’altro lato, che solo successivamente si era appreso che almeno uno dei soggetti esaminati era risultato positivo al test . Il ricorrente contesta tale individuazione del dies a quo , rilevando che dalle stesse difese dell’RAGIONE_SOCIALE risulta che in precedenza era stata tramessa altra nota (NUMERO_DOCUMENTO) che però non è stata prodotta in giudizio e di cui non si conoscono il contenuto e la data.
2.1. Il motivo è inammissibile, perché, nonostante la formulazione in termini di denuncia di un vizio di violazione di legge, esso è volto, in realtà, a censurare l’accertamento del fatto operato dalla Corte territoriale. Non sono in discussione, infatti, l’interpretazione e l’applicazione della disposizione di legge che fissa un termine perentorio per la contestazione dell’addebito disciplinare ( individuando il dies a quo nella data di trasmissione degli atti all’UPD: art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo anteriore alla modifica apportata dal d.lgs. n. 75 del 2017) , ma soltanto l’accertamento, in concreto, su quando si sia verificato il fatto a partire dal quale va misurato il termine per la contestazione.
La Corte d’Appello, facendo uso del suo potere di prudente apprezzamento del materiale istruttorio disponibile, ha ritenuto irrilevante , ai fini dell’accertamento del fatto in questione, la mancata produzione in giudizio della NUMERO_DOCUMENTO. Tale esercizio del potere riservato al giudice del merito dall’art. 116 c.p.c. non è sindacabile in sede di legittimità, fermo restando che la Corte territoriale ha ben motivato la propria decisione facendo riferimento al tempo necessario per scoprire che la persona affetta da tubercolosi riscontrata solo in data 25.1.2011 era risultata positiva a un test Mantoux eseguito nel giugno 2010.
Il terzo motivo ipotizza la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970».
Il ricorrente si lamenta della genericità dell’atto di contestazione disciplinare, che non indicava il nominativo del soggetto positivo al test Mantoux , né il giorno e il luogo in cui era stato eseguito il test né il referto dell’esame da lui firmato.
3.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché la critica attiene all’accertamento del fatto.
La Corte territoriale ha rilevato che l’atto di contestazione faceva preciso riferimento alla richiesta di effettuazione dei test contenuta nella nota 2187/SEMP del 22.6.2010, la quale era stata sottoscritta per ricevuta dal ricorrente e conteneva in allegato i nominativi delle persone da sottoporre al test . Ha inoltre osservato che «l’appellante si è difeso senza negare di aver rilevato un caso di Mantoux ». Ne ha quindi tratto il motivato convincimento che il lavoratore fosse stato in grado di comprendere l’addebito e difendersi nel merito.
L’accertamento in fatto è naturalmente insindacabile in sede di legittimità.
Il quarto motivo è rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 55 d.lgs. n. 165/2001 novellato dal d.lgs. n. 159/2009 , dell’art. 7, commi 3 e 4, legge n. 300/1970, con particolare riguardo al principio di immediatezza della contestazione disciplinare, dell’art. 24, comma 2, della Costituzione, per conseguente violazione del diritto alla difesa, degli artt. 1175 e 1375 c.c., con riguardo al principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, e dell’art. 2106 c.c., in relazione alla facoltatività dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro».
Il ricorrente contesta la violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare rilevando che questa è intervenuta a diversi mesi di distanza dal mancato invio dell’esito dei test Mantoux , tempo durante il quale egli non aveva mai ricevuto solleciti, né rilievi di alcun genere.
4.1. Il motivo è inammissibile, perché contraddittorio nella misura in cui è lo stesso ricorrente ad affermare, in conformità a quanto ritenuto anche dalla Corte catanese, che il principale addebito mosso nei suoi confronti riguarda, non genericamente il mancato invio dei risultati dei test , bensì il mancato invio di un test risultato positivo, con quel che ne è conseguito in termini di ritardato apprestamento delle necessarie misure profilattiche.
Ma allora è evidente che l’immediatezza della contestazione non può essere apprezzata con riguardo all’epoca dell’effettuazione dei test , ma deve esserlo con riferimento all’epoca della scoperta del fatto che, tra i test non trasmessi alla RAGIONE_SOCIALE , ve n’era uno risultato positivo nella data del 17.2.2011 e al momento in cui il responsabile della struttura inviò all’Ufficio Procedimenti Disciplinari la nota n. 557/SEMP sopra menzionata.
Il quinto motivo stigmatizza una asserita «violazione e falsa applicazione del Decreto ministeriale 15.12.1990 modificato dal Decreto ministeriale 29.7.1998, Allegato 2».
Il ricorrente osserva che i citati decreti ministeriali prevedono l’obbligo di segnalazione al servizio di epidemiologia solo nei casi di accertata tubercolosi e non anche nei casi di mera positività al test , il quale è volto ad accertare la presenza del batterio che può scatenare la malattia.
5.1. Il motivo è inammissibile, perché, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, la normativa sublegislativa richiamata «non ha alcuna attinenza con le ragioni della decisione sul punto». Si tratta, infatti, di disposizioni dirette ai medici curanti che riscontrino la malattia nei propri pazienti, mentre nel caso di specie si tratta di test di
laboratorio eseguiti, su richiesta della RAGIONE_SOCIALE, proprio per la necessità di riscontrare la sospetta presenza di infezioni da batterio della tubercolosi. L’obbligo di comunicare l’eventuale positività era quindi ovvio e intr inseco allo scopo dell’effettuazione dei test .
Con il sesto motivo si censura «violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare in ragione delle conseguenze ricollegabili alla condotta sanzionata di cui all’art. 2106 c.c. e all’art. 8, comma 4, lett. A, I e K, del CCNL integrativo di dirigenza medicoveterinaria in data 6.5.2010».
Il ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo riconosciuto l’assenza della recidiva, ha tuttavia ritenuto proporzionata la sanzione, tenuto conto della grave conseguenza consistente nella malattia contratta da un insegnante della scuola cui si riferiva lo screening effettuato sulla positività al batterio della tubercolosi.
6.1. La valutazione della congruità della sanzione disciplinare in rapporto alla gravità dell’illecito contestato rientra tipicamente nella sfera riservata al giudice del merito ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia (di recente:
ex multis , Cass. n. 107/2024 e, in senso sostanzialmente conforme, Cass. nn. 8293/2012, 7948/2011, 24349/2006).
Tale ultima evenienza non ricorre nella presente fattispecie, come si evince chiaramente dalla stessa contestazione della valutazione espressa dal giudice del merito, che passa attraverso la censura dell’accertamento del fatto in cui si è ritenuto sostanziato il presupposto della gravità del danno provocato dall’illecito disciplinare.
Anche questo motivo è, pertanto, inammissibile.
La medesima sorte deve essere riservata anche al settimo motivo, con cui si prospetta un «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero del fatto storico della effettiva esecuzione del test Mantoux da parte del dott. COGNOME».
7.1. Per omesso esame «del fatto storico della effettiva esecuzione del test Mantoux da parte del dott. COGNOME» il ricorrente intende che la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare che «il fatto non esiste e non è mai esistito».
È dunque del tutto evidente che si tratta di nient’altro che di una critica a ll’accertamento del fatto, ritenuto esistente dal giudice di merito e negato, invece, dal ricorrente. La pretesa inesistenza dei fatti accertati dal giudice non può essere configurata come un autonomo e distinto fatto di cui sia stato omesso l’esame, trattandosi, invece, di un mero giudizio negativo sull’accertamento del giudice . Accertamento non censurabile con il ricorso per cassazione, se non nei ben noti limiti posti dall’attuale formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (v., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014).
Si aggiunga, quale ulteriore profilo di inammissibilità, che le sentenze pronunciate nei due gradi di merito sono conformi sull’accertamento del fatto , sicché «il ricorso per cassazione … può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’art. 360» ( art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., ora abrogato, ma la cui norma è ora riprodotta nell’art. 360, comma 4, c.p.c.) .
Respinto il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 5.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali al 15% dei compensi e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 7.11.2023.