Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10312 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10312 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
1.Il Tribunale di Bologna ha accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME (docente su posto normale per la classe di concorso B020 -Laboratori di Servizi Enogastronomici, Settore Cucina, dell’Istituto di Istruzione Superiore ‘Bartolomeo COGNOME‘ di Castel San Pietro Terme) avverso il provvedimento disciplinare della censura scritta a lui irrogata con provvedimento prot. n. 5750/2019 del 21.3.2019 del Dirigente Scolastico dell’Istituto , per avere indotto una studentessa celiaca ad assaggiare cibo contenente farina e glutine durante una lezione di cucina.
La Corte di Appello di Bologna in accoglimento dell’appello principale proposto avverso tale sentenza dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, e della domanda subordinata ivi svolta, ha rideterminato la sanzione a carico di NOME COGNOME per l’episodio di cui al provvedimento n. 5750/2019 del 21.3.2019 in ‘avvertimento scritto’.
La Corte territoriale ha osservato che il principio di immutabilità della contestazione, primo presidio di tutela del lavoratore e del suo diritto di difesa nella fase disciplinare, non deve essere inteso in senso astratto e formalistico; ha inoltre richiamato l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il principio di immutabilità non preclude le modificazioni dei fatti contestati che non si configurino come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave di quella contestata ma che, riguardando circostanze prive di valore identificativo della stessa fattispecie, non impediscano la difesa del lavoratore sulla base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati a se guito della contestazione dell’addebito, e secondo cui l’immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di far valere, a
sostegno delle sue determinazioni disciplinari, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell’infrazione disciplinare anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva.
Ha ritenuto che la diversità del termine utilizzato nella prima contestazione (‘avere obbligato’) rispetto a quello indicato nella sanzione (‘avere indotto’) non avesse snaturato la fattispecie e non ne aveva dato una rappresentazione tanto diversa da non permettere una completa difesa ed ha escluso che il verbo ‘obbligare’ fosse inteso nella sua accezione letterale di ‘costringere’ la studentessa ad ingerire un alimento contro la sua volontà; la Corte territoriale ha dunque ritenuto la sussistenza del fatto e l’irrilevanza della contestata applicabilità dei cd. protocolli HACCP.
In particolare, ha considerato evidente che la ‘coazione’ fosse riferita al ruolo in sé del docente, figura alla quale lo studente deve prestare credito e obbedienza così da rendere sostanzialmente sovrapponibili i concetti di ‘indicazioni’ e ‘ordini’.
Ha poi evidenziato che dalla nota della studentessa del 18.2.2019 risultava che il prof. COGNOME le aveva riferito che nei passatelli c’era un basso contenuto di farina, dimenticando che tra gli ingredienti figurava il pan grattato (che la medesima non poteva assumere), mentre dal verbale di audizione del 5.3.2019 si desumeva che in quella sede il dipendente era a conoscenza dell’effettiva natura della contestazione, essendosi la difesa del medesimo appuntata su elementi perfettamente compatibili con la diversa contestazione.
Ai fini dell’individuazione della sanzione, ha valorizzato la mancanza di precedenti disciplinari e l’immediato rincrescimento per l’accaduto manifestato dal docente, e l’ha rideterminata nella misura minima; ha poi rigettato l’appello incidentale del Budriesi, concernente il governo delle spese di lite.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Istruzione ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 55 -bis d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 7 legge n. 300/1970; omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Evidenzia che il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare è fondato sulla dichiarazione del 18.2.2019 resa dalla studentessa NOME COGNOME documento del tutto nuovo e sopravvenuto rispetto alla contestazione dell’addebito del 16.2.2019 ; evidenzia che su tale documento il Budriesi non si era potuto difendere nemmeno in sede di audizione e che in quella sede il docente non aveva ammesso di essersi scusato per l’accaduto.
Lamenta che il Budriesi non aveva potuto dimostrare che le affermazioni contenute nella dichiarazione del 18.2.2019 resa dalla studentessa NOME COGNOME non erano veritiere, come risultava dagli estratti ufficiali dei registri elettronici; evidenzia che il Budriesi alcun rapporto docente-discente con la studentessa NOME COGNOME.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Torna a sostenere che il Budriesi non aveva avuto alcun rapporto docentediscente con la studentessa NOME COGNOME e non l’aveva indotta a consumare alcunché; richiama gli estratti ufficiali dei registri; evidenzia che la consapevolezza delle preparazioni che sarebbero state somministrate non era stato dedotto nella contestazione di addebito né nel provvedimento sanzionatorio.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 63, comma 2 bis, d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dal d.lgs. n. 75/2017; omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; violazione ed errata applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ.; error in iudicando .
Insiste nel sostenere che il Budriesi non si era mai scusato per l’accaduto.
Addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che l’accoglimento della richiesta subordinata di rideterminazione della sanzione, proposta dal Ministero, era condizionato dall’accoglimento della domanda subordinata proposta dal Budriesi nel ricorso di primo grado, volta all’annullamento della sanzione.
4. Le censure, che vanno trattate congiuntamente in ragione della loro connessione logica, sono inammissibili, in quanto tendono alla rivisitazione del fatto attraverso la rilettura della contestazione, del verbale di audizione, dei registri e del provvedimento sanzionatorio.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Inoltre, a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass.
Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Non è infine configurabile la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.
Deve infatti rammentarsi che in tema di responsabilità delle parti per le spese di giudizio (Capo IV del Titolo III del Libro Primo del codice di rito), la denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91, comma 1, cod. proc. civ., in sede di legittimità trova ingresso solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa ( ex multis : Cass. n. 18128 del 2020 e Cass. n. 26912 del 2020) e che la compensazione delle spese processuali, di cui all’art. 92 c od. proc. civ., costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito (v., per tutte, Cass. SS. UU. n. 20598 del 2008).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 4 marzo 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME