Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13650 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13650 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
La Corte di Appello di Lecce ha rigettato il gravame proposto dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (di seguito CCIIAA) di Lecce, che aveva dichiarato la nullità delle sanzioni disciplinari dalla medesima irrogate a NOME COGNOME con provvedimenti del 15.2.2016 (prot. n. 3495 e 3501) e l’aveva condannata alla restituzione di quanto eventualmente trattenuto in esecuzione delle stesse.
La Corte territoriale ha preliminarmente rilevato che la CCIIAA aveva proposto appello solo avverso la prima delle due sanzioni e che pertanto la sentenza di primo grado era divenuta definitiva relativamente all’annullamento della sanzione di sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per due giorni di cui al provvedimento n. 3501 del 15.2.2016.
Riguardo a tale sanzione, ha condiviso la statuizione del primo giudice in ordine alla tardività della relativa contestazione (datata 18.12.2015), evidenziando che l’addebito formulato nei confronti del COGNOME era di avere contravvenuto all’obbligo di fornire le memorie difensive prodotte .
Il giudice di appello ha comunque ritenuto la contestazione infondata nel merito, in quanto dalle emergenze processuali si desumeva che la condotta del COGNOME non aveva in alcun modo impedito all’ente di proporre opposizione e di difendersi.
Ha in particolare rilevato che erano state oggetto di richiesta le memorie personali del COGNOME e che l’ente aveva predisposto altre memorie, atteso che l’ingiunzione da parte del Ministero delle Politiche Agricole aveva come destinatari sia il COGNOME che l’ ente, obbligati in solido, ma individuati distintamente.
Ha dunque evidenziato l’autonomia delle rispettive posizioni, anche in ragione del fatto che il COGNOME si era difeso contrapponendo alla tesi dell’ente di non essere il Responsabile della Struttura.
Ha escluso che la CCIIAA potesse pretendere di conoscere le difese del COGNOME, che ben potevano essere in senso contrario rispetto a quelle dell’ente
camerale, ed ha ritenuto giustificata la risposta del COGNOME di dover consultare il proprio legale prima di fornire materiale difensivo da lui redatto.
Ha ritenuto assorbente la circostanza che l’ordinanza ingiunzione aveva riportato puntualmente le difese svolte dal COGNOME in sede di memorie e tutti gli argomenti svolti dal COGNOME nella sua personale memoria dell’8 marzo 2011 ; ha dunque ritenuto che l’ente fosse nella piena conoscenza dei contenuti della memoria e che non avesse avuto alcuna difficoltà o impedimento nel proporre opposizione all’ordinanza ingiunzione.
In ragione di tali considerazioni, e tenuto conto del contenuto della richiesta che sarebbe rimasta inadempiuta, ha escluso che fossero venuti in rilievo ordini di servizio e che una loro eventuale violazione potesse ascriversi tra quelle di particolare gravità.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la CCIIAA, sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.; motivazione apparente, incomprensibile e contraddittoria.
Deduce che con ordinanza-ingiunzione n. 792/2015 del 23.10.2015, il Ministero delle Politiche Agricole e forestali aveva ingiunto al COGNOME e alla CCIIAA in solido di pagare la somma di € 50.000,00 a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria e riporta il contenuto delle comunicazioni intercorse tra le parti dal 4.11.2015 al 26.11.2015, nonché della contestazione.
Evidenzia che alla data del 26.11.2015 l’interlocuzione tra le parti non era ancora terminata, in quanto a quella data l’Amministrazione era in attesa di una risposta del COGNOME sull’esito della sua consultazione con il legale, e che solo dopo che l’inadempimento del COGNOME era divenuto definitivo l’ente si era determinato ad effettuare la contestazione.
Lamenta la mancanza, l’apparenza e la contraddittorietà della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva operato una riqualificazione del fatto
contestato, individuandolo nell’avere subordinato la messa a disposizione delle memorie difensive alla consultazione con il proprio difensore.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165/2001, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che alla data del 26.11.2015 la CCIIAA fosse in possesso di una ‘notizia di infrazione’.
Insiste nel sostenere che l’ente camerale era in attesa di ricevere un definitivo riscontro.
Aggiunge che in caso di illecito continuato, a cui la fattispecie può essere assimilata, la tempestività della contestazione deve essere valutata in riferimento al momento della cessazione della continuazione.
Con la terza critica il ricorso denuncia violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. per l’assenza o apparenza, nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alle motivazioni di merito.
Lamenta l’apparenza e la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha escluso che il COGNOME abbia contravvenuto a ordini di servizio.
Evidenzia che se gli argomenti a difesa del COGNOME risultavano dall’ordinanza ingiunzione, non si comprende la ragione per la quale il COGNOME non aveva ottemperato all’ordine datoriale.
Sostiene che l’ente camerale aveva il diritto di conoscere la ricostruzione in fatto di un evento che aveva interessato il COGNOME in qualità di suo dipendente.
Argomenta che seguendo la tesi del giudice di appello, sarebbe consentito a qualsivoglia dipendente opporre al proprio datore di lavoro il rifiuto a fornire un apporto alla ricostruzione di un fatto avvenuto in ambito aziendale per il timore di essere esposto a conseguenze pregiudizievoli; aggiunge che al COGNOME non poteva derivare alcun danno dall’esposizione della sua linea difensiva.
Con il quarto mezzo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del CCNL, per avere la Corte territoriale escluso che l’eventuale violazione dell’ordine di servizio potesse ascriversi tra quelle di particolare gravità.
Il primo ed il terzo motivo, che vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione logica, sono inammissibili.
Deve in proposito rammentarsi che a seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Pertanto nel ricorso per cassazione non sono più ammissibili le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata,
Nel caso di specie non è configurabile la motivazione omessa o apparente, né il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, avendo la Corte territoriale esplicitato con argomentazioni perfettamente coerenti le ragioni per le quali ha ritenuto che non necessario attendere ulteriori adempimenti dopo il 26.11.2015 e per le quali ha ritenuto l’addebito infondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto tardiva la contestazione in quanto ha individuato il fatto contestato nell’avere il COGNOME contravvenuto all’obbligo di fornire all’ente le memorie prodotte in giudizio, subordinando l’adempimento di tale obbligo alla consultazione con il proprio legale; il giudice di appello non ha dunque operato alcuna riqualificazione del fatto contestato, essendo la ricostruzione operata dalla Corte territoriale coincidente con il contenuto della contestazione riportato nella censura.
La Corte territoriale ha inoltre ritenuto la contestazione infondata nel merito in quanto ha considerato assorbente l’autonomia della posizione del COGNOME rispetto a quella della CCIIAA; ha infatti ritenuto che il COGNOME avrebbe ben potuto difendersi in giudizio con argomenti contrari rispetto a quelli svolti dell’ente
camerale, ed ha ritenuto giustificata la risposta del COGNOME di dover consultare il proprio legale prima di fornire materiale difensivo da lui redatto.
Il secondo ed il quarto motivo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono parimenti inammissibili.
Nel sostenere che alla data del 26.11.2015 l’ente camerale era in attesa di ricevere un definitivo riscontro e che il COGNOME si era sottratto all’esecuzione degli ordini datoriali, le censure tendono alla rivisitazione del fatto.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna parte ricorrente a l pagamento del le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della