Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1442 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1442 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso da ll’ Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso il suo studio in Piacenza, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE , in persona del presidente prof. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti a margine del controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
avverso la sentenza n. 1862/2021 della Corte di appello di Bologna, depositata il 21. 7. 2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12. 12. 2023 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per il ricorrente e dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per la controricorrente.
Fatti di causa
Con sentenza n. 1862 del 21. 7. 2021 la Corte di appello di Bologna rigettò l’opposizione proposta da COGNOME NOME avverso la delibera n. 21420 del 25. 6. 2020 della Consob, che gli aveva irrogato una sanzione amministrativa di complessivi euro 290.000,00, oltre la sanzione accessoria interdittiva e la confisca del profitto degli illeciti, pari ad euro 38.180,96, per violazioni dell’art. 187 bis, comma 4, del d.lgs. n. 58 del 1998, perché, essendo in possesso di informazioni privilegiate concernenti la promozione di un’ops sulle azioni RAGIONE_SOCIALE, un’opa volontaria sulle azioni RAGIONE_SOCIALE e d un’opa obbligatoria sulle azioni RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato per conto proprio e subito dopo rivenduto un determinato numero di azioni delle predette società e per avere altresì comunicato, al di fuori del normale esercizio di una professione, funzione od ufficio, le predette informazioni a COGNOME NOME.
COGNOME NOME contestò il provvedimento opposto, per quanto qui ancora rileva, assumendo di non avere mai appreso informazioni privilegiate in ordine ai titoli indicati nell’atto di incolpazione , il cui acquisto e rivendita si inserivano in una attività più ampia di investimenti e speculazioni in borsa che poneva in essere da tempo; che mancavano elementi anche per ritenere che la condotta a lui ascritta fosse stata compiuta con dolo o colpa; che la misura della sanzione applicata era sproporzionata e irragionevole, tenuto in particolare conto del profitto conseguito, pari a euro 38.180,96, ed alle sue condizioni economiche di medico in pensione.
La Corte territoriale rigettò i motivi di opposizione affermando che: dalla ricostruzione della vicenda era desumibile che il ricorrente avesse avuto conoscenza delle informazioni privilegiate per averle apprese da COGNOME
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NOMECOGNOME a cui era legato da un antico rapporto di frequentazione, il quale a sua volta le aveva ricevute da COGNOME NOME, che si era accertato facesse parte di un gruppo di persone che sfruttavano informazione carpite, attraverso un dirigente, all’interno di Mediobanca; in particolare tale presunzione di conoscenza delle informazioni poggiava su fatti gravi, precisi e concordanti, rappresentati dalla coincidenza oggettiva degli atti di acquisto delle azioni, posti in essere, sia dal ricorrente che da altri appartenenti al menzionato gruppo, in data immediatamente antecedente alla comunicazione al pubblico da parte delle società interessate delle operazioni da intraprendere, dalla anomalia, per la rilevanza degli importi impiegati, degli investimenti fatti dal RAGIONE_SOCIALE con riferimento alle azioni RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, dal rapporto di amicizia intrattenuto con il COGNOME e dai frequenti contatti telefonici tra i due nei giorni interessati, dal rapporto di conoscenza tra il COGNOME e COGNOME e dal fatto che questi avesse ricevuto le informazioni carpite presso Mediobanca, mentre non poteva acquistare valore dirimente in senso contrario la circostanza che il COGNOME non avesse acquistato anche le azioni Cobra; l’opponente non aveva fornito elementi idonei a superare la presunzione di colpa posta in materia di illeciti amministrativi dall’art. 3, comma 1, della legge n.689 del 1981, essendo in contrario emerso che il egli non aveva ricevuto una sola informazione su un titolo di borsa, ma aveva ottenuto negli anni una serie di informazioni concernenti numerosi titoli compravenduti, anche in epoca precedente agli acquisti attenzionati dalla Consob, e che costituisce nozione comune a chi investe nel mercato borsistico che le notizie sulle opa e le operazioni societarie sono idonee a incidere sui prezzi dei titoli; era inoltre presumibile che il COGNOME avesse fornito tali informazioni privilegiate a NOME COGNOME suo nipote e socio, per avere questi acquistato e venduto le azioni delle suddette società nei giorni immediatamente successivi a quelli in cui egli le aveva acquistate ed in ragione anche della contestualità degli acquisti di altri titoli fatti in precedenza dai due; la sanzione applicata appariva adeguata alla gravità delle violazioni commesse ed agli altri parametri previsti dall ‘art. 11 della legge n. 689 del 1981. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 21. 2. 2022, ha proposto ricorso COGNOME Pietro, sulla base di quattro motivi.
La Consob ha notificato controricorso. Il P.M. e la controricorrente hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo il ricorrente, nel denunciare vizio di nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e per motivazione apparente, manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa ed incomprensibile, censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistente l’illecito contestato anche con riguardo agli acquisti delle azioni RAGIONE_SOCIALE. Premesso che la Corte di appello è pervenuta a questa conclusione sulla base di un mero ragionamento presuntivo, rileva il ricorrente che, con riferimento a tale acquisto, non risulta debitamente considerato che, a differenza delle azioni delle altre società, esse non erano state acquistate anche da NOME COGNOME, vale a dire dal soggetto da cui egli avrebbe appreso le informazioni privilegiate, né risultavano, nel periodo interessato, telefonate tra lui ed il COGNOME.
La sentenza impugnata ha sul punto ragionato nel senso che, per provare l’insider, ‘ non sarebbe necessario dimostrare il passaggio di informazioni da COGNOME a COGNOME, essendo sufficiente la dimostrazione del possesso di informazioni privilegiate da parte di quest’ultimo ‘ e che, a fronte del quadro indiziario, il mancato acquisto delle azioni Cobra da parte del COGNOME non aveva rilevanza dirimente, ‘ posto che non vi è alcuna regola di esperienza dalla quale dedurre un contrasto logico con gli altri elementi indiziari sopra esposti ‘. La motivazione al riguardo, assume il ricorrente, è oscura e contraddittoria, dal momento che, da un lato, ritiene sufficiente la dimostrazione del possesso delle informazioni privilegiate da parte del COGNOME senza necessità di dimostrare il ‘ passaggio di informazioni ‘, dall’altro , continua a richiamare ‘ gli altri elementi indiziari sopra esposti ‘, ovvero proprio quei passaggi di informazione. Per coerenza e logica rispetto alla soluzione accolta con riguardo agli acquisti delle altre azioni, il giudice avrebbe dovuto concludere per l’inesistenza della presunzione di sfruttamento delle informazioni quanto meno in ordine all’acquisto delle azioni RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è infondato e per il resto inammissibile.
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La censura di omesso esame di fatti decisivi trova diretta smentita dalla lettura della sentenza impugnata, che nell’accertare le condotte contestate al ricorrente ha espressamente preso in considerazione il fatto che il COGNOME, soggetto che avrebbe comunicato al Cavallotti la notizia di una prossima opa volontaria sulle azioni RAGIONE_SOCIALE, non aveva a sua volta acquistato azioni della predetta società, giudicando tale circostanza non decisiva in senso contrario. Quanto ai contatti telefonici tra il COGNOME ed il COGNOME nell’immediatezza dell’acquisto, il fatto risulta positivamente accertato dalla Corte di appello , che richiama l’atto di contestazione delle violazioni della Consob, con riferimento a tutti gli acquisti posti in essere dal ricorrente, quindi anche con riguardo alle azioni della società RAGIONE_SOCIALE ( pag. 11 della sentenza ). Il ricorso deduce che il menzionato atto di contestazione riferisce di contatti telefonici solo nell’immediatezza degli acquisti delle altre azioni ma non di quelle di Cobra, ma sul punto la censura non può non ritenersi inammissibile, essendo volta a contestare un apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito, non sindacabile in sede di giudizio di legittimità, non potendo questa Corte procedere ad una nuova valutazione degli atti di causa.
Analoga conclusione merita la censura che denunzia contraddittorietà ed illogicità della motivazione, atteso che il vizio di motivazione, non rientrando più nel paradigma di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che ha riguardo unicamente all’omesso esam e di fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, non è denunziabile in sede di legittimità.
La doglianza è comunque infondata anche nel caso in cui sia interpretata come vizio di sussunzione della fattispecie, con riguardo all’affermazione della sentenza secondo cui, al fine della sussis tenza dell’illecito contestato , non è necessario dimostrare come l’insider abbia avuto conoscenza della informazione privilegiata, essendo sufficiente dimostrarne il possesso e la utilizzazione. Il principio accolto dalla Corte di appello è infatti conforme all’orientamento di questa Corte che, in tema di abuso di informazioni privilegiate ex art. 187 bis del d.lgs. n. 58 del 1998, ha precisato che la nozione di informazione rilevante va intesa come sinonimo di “conoscenza” o notizia oggetto di possesso, indipendentemente dal fatto che essa sia stata o meno trasmessa da altri
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all’agente, non rinvenendosi alcun riferimento alla circolazione che la notizia possa avere avuto prima di entrare nella disponibilità di quest’ultimo né nell’art. 187 bis né nell ‘ art. 1, n. 1, della Direttiva 2003/6/CE ( Cass. n. 24310 del 2017; Cass. n. 8782 del 2020 ).
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto provato lo sfruttamento, a carico del ricorrente, di informazioni privilegiate per l’acquisto delle azioni RAGIONE_SOCIALE. Per tale operazione, infatti, deduce il ricorso, non erano utilizzabili nessuno degli elementi indiziari utilizzati per accertare l’illecito relativo al l’acquisto delle azioni RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, se non la mera coincidenza temporale. In particolare non era riscontrabile né l’anomalia dell’investimento, né il rapporto di amicizia con il COGNOME, che non le aveva acquistate, né lo scambio di telefonate tra i due nei giorni precedenti la divulgazione al pubblico della informazione.
Si assume quindi che, nel dichiarare sussistente l’illecito con riguardo a tale acquisto, la Corte di merito ha malamente applicato la regola sulle presunzioni, mancando la pluralità di fatti noti da cui poter presumere che il ricorrente fosse a conoscenza della informazione privilegiata.
Analogo errore la Corte ha commesso con riguardo al fatto che il COGNOME avrebbe trasmesso la suddetta informazione al COGNOME, desunta unicamente dal contesto temporale dell’acquisto fatto da quest’ultimo e dal rapporto di parentela esistente tra i due, senza addurre alcun elemento idoneo a dimostrare che i presunti contatti avessero ad oggetto gli investimenti contestati.
4. Il motivo è infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte i n tema di prova per presunzioni, la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 cod. civ. si può prospettare quando il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota ( Cass. S.U. n. 1785/2018; Cass. n. 9054 del 2022; Cass. n. 18611 del 2021; Cass. n. 19485 del 2017; Cass. n. 17535 del 2008 ). Si è in proposito precisato che la gravità allude ad un concetto logico, in forza del quale la presunzione si deve fondare su un
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ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto probabile che si sia verificato il fatto B, secondo un criterio di normalità, senza che occorra che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale (Cass. n. 3513 del 2019; Cass. n. 22656 del 2011 ); la precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti; la concordanza esprime un requisito del ragionamento presuntivo, che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.
Essendo la presunzione semplice affidata alla ‘prudente’ valutazione del decidente (art. 2729 cod. civ.), spetta al giudice di merito valutare la possibilità di fare ricorso a tale tipo di prova, scegliere i fatti noti da porre a base della presunzione e le regole d’esperienza – tra quelle realmente esistenti nel sapere collettivo della società – tramite le quali dedurre il fatto ignoto, valutare la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge; trattandosi di apprezzamento affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, esso è sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato ( Cass. n. 2482 del 2019; Cass. n. 101 del 2015; Cass. n. 8023 del 2009 ). Ne discende che è certamente censurabile in sede di legittimità il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito che risulti irrispettoso del paradigma della gravità o di quello della precisione o di quello della concordanza, mentre la critica sfugge al concetto di falsa applicazione quando essa è diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo.
Sulla base di tali precisazioni la prima censura sollevata dal motivo, che si incentra sulla assenza della pluralità di fatti noti da cui la Corte di appello ha
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presunto che il ricorrente fosse a conoscenza della informazione privilegiata, appare ammissibile, ma infondata nel merito.
Dalla lettura della sentenza risulta che il giudice di merito ha motivato il convincimento in ordine al fatto che COGNOME nell’acquistare le azioni delle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, per poi rivenderle con profitto pochi giorni dopo, avesse fatto uso di informazioni privilegiate abusivamente acquisite, sulla base dei seguenti dati, definiti come certi: l’esistenza gruppo di persone che sfruttavano informazione abusivamente carpite, tramite un dirigente, all’interno di Mediobanca; la parteci pazione a tale gruppo di NOME COGNOME legato da amicizia risalente con NOME COGNOME a sua volta in stretti rapporti di amicizia con COGNOME; la coincidenza temporale degli atti di acquisto delle azioni posti in essere dagli appartenenti al gruppo menzionato e dal ricorrente, nei giorni immediatamente antecedenti alla comunicazione al pubblico da parte delle società interessate delle operazioni da intraprendere; i numerosi contatti telefonici intervenuti nei giorni menzionati tra COGNOME e COGNOME; la anomalia, per la rilevanza degli importi impiegati, degli investimenti fatti dal RAGIONE_SOCIALE con riferimento alle azioni RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. La Corte ha inoltre rilevato che il COGNOME non aveva ricevuto occasionalmente una sola informazione su un titolo di borsa, ma aveva ottenuto una serie di informazioni concernenti numerosi titoli compravenduti, costituiti non solo da quelli oggetto del provvedimento opposto, ma anche da altri ( RAGIONE_SOCIALE, Marcolin, Buongiorno ) che, essendo stati acquistati in data anteriore al 2014, non erano stati sanzionati per intervenuta prescrizione. Né può mancarsi di rilevare che, come già osservato da questa Corte, il ricorso alle presunzioni è nella materia in esame, in specie nel caso di insider secondario, l’unico strumento in grado di poter accertare la sussistenza dell’illecito ( Cass. n. 8782 del 2020; Cass. n. 16253 del 2016 ).
Anche quindi a ritenere che l’elemento indiziario costituito dal la rilevata anomalia economica degli acquisti si riferisca solo alle azioni RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il ragionamento presuntivo sviluppato dalla Corte di merito appare affidato ad una pluralità di fatti e circostanze.
Anche la seconda censura proposta dal motivo, che concerne la comunicazione del COGNOME al COGNOME delle informazioni privilegiate per cui è causa, merita di
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essere respinta. Anche in tal caso l’accertamento della Corte di appello non appare affatto fondato sulla mera coincidenza temporale degli acquisti da parte dei soggetti interessati, ma altresì dal rapporto di parentela ed anche di affari tra i due, essendosi precisato che entrambi erano soci della società immobiliare RAGIONE_SOCIALE, nonché dal rilievo che in passato il RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato azioni delle società Buongiorno e COGNOME, sulle quali COGNOME aveva ricevuto informazioni privilegiate.
5. Il terzo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, lamenta che la Corte di appello abbia riconosciuto l’esistenza dell’elemento psicologico degli illeciti, ignorando la circostanza che proprio il rapporto di stretta amicizia, affetto e fiducia che legava il COGNOME al COGNOME portava quest’ultimo a seg uire i consigli ricevuti senza alcuna indagine o sospetto sulla loro provenienza o altre circostanze, così impedendogli una corretta percezione della eventuale illeceità della loro utilizzazione.
6. Il mezzo è infondato.
Il ricorrente non attacca l’argomento speso dalla Corte di appello, che ha richiamato la regola posta dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981, che , in tema di illeciti amministrativi, pone a carico del loro autore una presunzione di colpa, con la conseguenza, da un lato, che non è necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in capo all’agente e, dall’altro, che è questi a dover dimostrare di aver agito senza colpa, ossia sulla base di un errore incolpevole ( Cass. n. 29927 del 2020; Cass. n. 11777 del 2020; Cass. n. 24081 del 2019; Cass. n. 2406 del 2016; Cass. S.U. n. 20930 del 2009 ). Il ricorso lamenta invece un’insufficiente valutazione del quadro probatorio, che avrebbe dovuto portare il giudicante a ravvisare in favore del ricorrente la convinzione, dovuta a mero errore di fatto, circa la natura non privilegiata delle informazioni ricevute, avuto riguardo al tipo di rapporto intrattenuto con il COGNOME.
Trascura tuttavia il motivo che tale valutazione è stata compiuta dal giudice di merito, il quale, dato atto che il COGNOME non aveva ricevuto una sola informazione su un titolo di borsa, ma ha ottenuto una serie di informazioni concernenti numerosi tito li compravenduti, ha precisato che ‘ il continuo sfruttamento di tali notizie nel corso degli anni avrebbe dovuto indurre
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l’investitore ad interrogarsi sulla provenienza di esse e verificare se, per caso, fossero indisponibili al pubblico ‘ ed altresì aggiunto che rientra tra le nozioni comuni che le notizie relative ad operazioni societarie e borsistiche, in quanto idonee ad influire sul listino delle azioni, sono segrete.
La Corte di merito ha quindi accertato in concreto, avvalendosi del mezzo di prova delle presunzioni, la sussistenza dell’elemento soggettivo delle violazioni contestate in capo all’opponente. Trattasi all’evidenza di apprezzamenti di fatto non suscettibili di sindacato e di diversa valutazione da parte di questa Corte,
Il quarto motivo, denunciando vizio di nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e per motivazione apparente, manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa ed incomprensibile, investe la statuizione della sentenza che ha ritenuto adeguata la sanzione inflitta. Si assume al riguardo che Corte di appello non abbia esaminato il motivo di opposizione sotto il profilo della sproporzione tra la sanzione inflitta di euro 290.000 ( di cui euro 240.00,00 per le violazioni consistenti nell’uso delle informazioni a proprio vantaggio ) a fronte del profitto conseguito dal ricorrente, pari a 38.180,96, oggetto comunque di confisca, senza adottare alcuna motivazione sul punto, e per non avere considerato le condizioni economiche del ricorrente, che vive esclusivamente della propria pensione ed ha visto gravemente compromessa la stabilità economica della propria famiglia. Si aggiunge che nemmeno è stata preso in considerazione l’eleme nto soggettivo, ritenuto genericamente comune per tutti i presunti responsabili, senza considerare che al ricorrente l’illecito poteva essere addebitato a titolo di colpa e non per dolo.
Il mezzo è fondato con riguardo al primo profilo ed infondato in relazione al secondo.
La prima censura merita accoglimento in forza del principio affermato dalla giurisprudenza della Corte UE, secondo cui il criterio di proporzionalità della sanzione ha efficacia immediata e diretta nell’ordinamento degli Stati membri. In particolare si segnala la sentenza della Grande Sezione, 8 marzo 2022, C205/20, secondo cui il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, si impone agli Stati membri nel caso di
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applicazione di sanzioni specificatamente penali, ai sensi del l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a norma del quale le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato. La natura sostanzialmente penale delle sanzioni inflitte per violazione dell’art. 187 bis TUF, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte ( Cass. n. 12031 del 2022; Cass. n. 4521 del 2022; Cass. n. 4524 del 2021 ), comporta l’applicazione di tale principio alla fattispecie per cui è causa.
Ne discende che il criterio della proporzionalità della sanzione costituisce uno dei parametri che il giudice deve valutare espressamente, unitamente agli altri criteri indicati dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981, nei casi in cui appaia una differenza notevole tra l’ammontare della stessa ed il profitto conseguito dal l’ autore per effetto della violazione. La misura della differenza tra i suddetti importi costituisce di conseguenza un parametro che deve essere apprezzato a tal fine, tenendo conto anche delle altre conseguenze negative poste a carico dell’autore della violazione, quale la confisca del profitto. Nel caso di specie la Corte di appello non appare avere seguito tale principio, non avendo posto in essere, nonostante la contestazione al riguardo sollevata dall’opponente, alcun apprezzamento sotto il profilo considerato.
Per il resto il motivo è invece infondato, risultando dalla lettura della sentenza che la Corte di appello ha valutato le condizioni economiche dell’opponente, sulla cui consistenza peraltro le deduzioni allegate dal ricorso sono generiche, ed ha altresì affermato, anche sulla base dei fatti precedenti, che le violazioni erano state commesse con dolo.
In conclusione, va accolto, nei limiti di cui in motivazione, il quarto motivo di ricorso e rigettati gli altri. La sentenza va pertanto cassata in relazione al quarto motivo, per come accolto, e la causa rinviata alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza in relazione al quarto motivo, per come accolto, e rinvia
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la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2023.