Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8645 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 8645  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14196-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA  CANCELLERIA  DELLA  CORTE  SUPREMA  DI  CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  NOME  COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro  tempore,  elettivamente  domiciliata  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE,
Oggetto
Licenziamento per giusta causa
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/12/2024
CC
rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  NOME  COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  207/2022  della  CORTE  D’APPELLO  di VENEZIA, depositata il 05/04/2022 R.G.N. 532/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal AVV_NOTAIO
COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Venezia rigettava il reclamo principale proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 229/2021, che aveva respinto sia la sua opposizione che quelle della RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOME all’ordinanza dello stesso Tribunale, resa nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, così confermando tale pronuncia nel capo in cui il giudice aveva dichiarato l’illegittimità per sproporzione del licenziamento intimato da detta società al RAGIONE_SOCIALE con missiva datata 8.10.2018, condannando la stessa società al risarcimento del danno commisurato a 14 mensilità, nonché confermando l’illegittimità delle sanzioni disciplinari conservative pure impugnate dal lavoratore; con la stessa sentenza la Corte dichiarava l’improcedibilità dei reclami incidentali della RAGIONE_SOCIALE e dell’RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza di primo grado.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, riferiti gli otto  motivi  del  reclamo  principale  del  lavoratore  e  quelli  dei reclami incidentali, giudicava improcedibili questi ultimi, e, dopo aver  individuato  ciò  che  non  era  più  controverso  e  che comunque  non  poteva  più  porsi  in  discussione,  riteneva  di
essere  chiamata  a  valutare  le  sole  doglianze  del  reclamante principale e in particolare se la tutela accordata dal giudice, nel ritenere provati i fatti contestati con il recesso (peraltro non così gravi da integrare giusta causa), fosse stata corretta, poiché il reclamante COGNOME assumeva anche in questo grado la natura ritorsiva del licenziamento.
2.1. Premetteva ancora la Corte che detto reclamante, per fondare la domanda di nullità del licenziamento per ritorsione, in sede di discussione -invertendo l’ordine dei motivi esposti nell’atto di reclamo aveva sostenuto che la violazione della norma c ontrattuale di cui all’art. 227 CCNL riproposta alla fine del terzo motivo di reclamo -renderebbe nullo il licenziamento; nullità da cui deriverebbe la ritorsività del licenziamento determinato da motivo unico, determinante e illecito, con conseguente riforma della sentenza di primo grado.
Ciò premesso, la Corte d’appello reputava infondata la doglianza di violazione della norma contrattuale di cui al cit. art. 227, con conseguente validità del licenziamento sotto il profilo formale.
Riteneva, inoltre, che il recesso, come evidenziato dai giudici delle fasi precedenti, era sorretto da addebiti fondati.
4.1. Rilevava anzitutto che nella lunga lettera di contestazione (di cui riportava ampio stralcio testuale) la società aveva addebitato al COGNOME, responsabile del reparto no food presso il punto vendita RAGIONE_SOCIALE di Vicenza, una molteplicità di addebiti inerenti le modalità di esposizione delle merci, dei prezzi, delle offerte (che risultavano ancora esposte nonostante fossero già terminate), realizzati nel periodo di servizio del lavoratore prima delle ferie estive e rilevati non appena la
gestione era stata temporaneamente affidata ad altri collaboratori.
4.2. Notava, quindi, che il lavoratore, tramite l’organizzazione sindacale di riferimento, si era limitato a contestare genericamente gli addebiti, condividendo pertanto la Corte le conclusioni del primo giudice rispetto ai menzionati inadempimenti contestati, e che, a fronte delle ammissioni della fase disciplinare, appariva corretta la decisione dello stesso giudice che aveva ritenuto provati gli addebiti; valutazioni che la Corte giudicava non superate dalle generiche allegazioni dell’allora reclamante, perché le critiche di quest’ultimo non erano state supportare da prova, né da allegazioni dotate di sufficiente verosimiglianza.
Secondo la Corte, l’esistenza delle condotte disciplinarmente  rilevanti  costituiva  già  ragione  sufficiente  a rigettare  la  richiesta  di  riforma  della  sentenza  impugnata sollevata dal lavoratore con il primo motivo di reclamo, in cui s’insisteva per l’ill iceità del recesso per ritorsione.
Tuttavia, per la Corte, motivi di completezza imponevano di esaminare l’aspetto della ritorsività anche con riferimento  alla  domanda  risarcitoria  di  cui  anche  in  secondo grado il reclamante aveva chiesto l’accoglimento con il secondo motivo.
6.1. Riesaminate, quindi, le relative risultanze processuali, i giudici del reclamo in sintesi ritenevano che le frasi pronunciate dall’COGNOME, il quale, come capo area non era legittimato a emettere  provvedimenti  disciplinari,  tanto  meno  di  recesso, de ponevano per l’interpretazione del primo giudice: il superiore aveva chiarito al dipendente che se fosse rimasto nella posizione
di responsabile del reparto no food la società non avrebbe più tollerato  le  sue  mancanze  senza  assumere  provvedimenti disciplinari,  ma  che  nessuna  minaccia  di  licenziamento vi  era stata.
Infine, la Corte giudicava infondati gli ulteriori motivi del reclamo  principale  relativi  alla  tutela  applicabile,  in  cui  il reclamante  lamentava  che  la  sproporzione  riconosciuta  dal giudice di primo grado avrebbe dovuto condurre alla reintegrazione trattandosi di condotta sanzionata dal contratto collettivo con sanzione conservativa.
7.1. Infatti, la Corte d’appello – premettendo che le molteplici condotte contestate nella lettera riportata nei precedenti punti della sua decisione, secondo la società, erano state realizzate in violazione delle norme contrattuali di cui agli artt. 220 e 225 del CCNL, e degli artt. 2104 e 2109 c.c. -considerava dette norme collettive, nonché quella di cui all’art. 229 del medesimo CCNL, ma concludeva nel senso di escludere che le condotte contestate al COGNOME rientrassero in ipotesi di specifiche condotte sanzionate dalle parti collettive con sanzione conservativa.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.
Gli intimati hanno resistito con distinti controricorsi.
Tutte le parti private hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione/errata/falsa  applicazione  dell’art.  18  comma  1  L. 300/70 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3: la natura ritorsiva
del licenziamento intimato al ricorrente’. Lamenta che il giudice del merito abbia ‘ritenuto che l’esistenza degli addebiti che pure si contestano sia per la loro sussistenza che per la loro irrilevanza sotto il profilo disciplinare sia, infine, per la mancata prova, gravante sul datore di lavoro, del loro concreto verificarsi -che hanno portato al licenziamento del ricorrente escluderebbe  già  di  per  sé  l’illiceità  dello  stesso  per  la  sua dedotta natura ritorsiva’.
Con un secondo motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 18 comma 1 L. 300/70 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.: la natura ritorsiva del licenziamento intimato al ricorrente’. ‘Censura la se ntenza della Corte d’Appello per aver erroneamente escluso la natura ritorsiva del recesso intimato al COGNOME e comunque la sua nullità per motivo illecito determinante essendo, invece, stato irrogato unicamente come rappresaglia per la mancata adesione da parte del lavoratore alla proposta datoriale di demansionamento’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 612 c.p., dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 18 comma 1 L. 300/70 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Censura la sentenza della Corte d’appello per ‘aver erroneamente escluso che nella condotta tenuta dall’COGNOME nell’incontro e nel colloquio con il ricorrente dell’8/5/2018 fosse ravvisabile la fattispecie penale della minaccia/violenza di cui all’art. 612 c.p. escludendo così la richiesta tutela risarcitoria richiesta dal ricorrente per il danno non patrimoniale subito, incorrendo in errore di diritto per violazione/falsa applicazione alla fattispecie verificatasi’ delle norme in rubrica indicate.
 Con  il  quarto  motivo  denuncia  ‘violazione/errata/falsa applicazione  dell’art.  18  L.  300/70  e  dell’art.  3  L.  604/66  in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Censura la sentenza ‘per  aver  erroneamente  ritenuto  provati  i  fatti  oggetto  della contestazione disciplinare che hanno portato al licenziamento del sig. COGNOME non avendo, invero, la datrice di lavoro fornito prova della sussistenza e della gravità degli stessi ed essendo, tutt’al più, disciplinarmente irrilevanti’.
Con il quinto motivo denuncia ‘violazione/errata applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.: violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 227 CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e servizi in relazio ne all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Deduce la violazione ed erronea applicazione delle norme indicate in rubrica ‘in relazione all’eccezione sollevata dal ricorrente di tardività del licenziamento, avendo deciso tale eccezione, rigettandola, sulla base di prove non introdotte dalle parti. In particolare, a fronte dell’eccezione del lavoratore di tardività del recesso, la Corte ha errato nel disattendere il principio per cui era onere della convenuta fornire adeguata prova delle difficoltà riscontrate nella valutazione delle controdeduzioni -prova mai fornita -, sovvertendo, così, l’ onus probandi e, anzi, sostituendosi alla convenuta nell’individuare le ragioni legittimanti la proroga -ed ha errato nel non aver posto a fondamento della propria decisione l’affermazione contenuta nella memoria RAGIONE_SOCIALE in sede di reclamo in cui affermava l’irrilevanza delle giustificazioni rese dal lavoratore’. Inoltre, secondo il ricorrente, ‘La Corte è altresì incorsa in violazione del disposto dell’art. 227 CCNL ritenendo legittimo l’esercizio da parte della datrice di lavoro del potere di avvalersi della proroga di giorni 30 nell’adozione del provvedimento disciplinare sin
dalla  lettera  di  contestazione  del  29-30/8/2018  che  ha  poi portato  al  licenziamento,  e  nonostante  non  sia  emerso  né provato  lo  svolgimento  da  parte  della  società  di  ulteriori verifiche  a  seguito  delle  giustificazioni  del  lavoratore,  unica ipotesi  legittimante  il  ricorso  alla  proroga  della  disposizione collettiva citata’.
Con il sesto motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione degli artt. 220 e 225 CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e servizi ed art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Assume la violazione/falsa applicazione delle norme indica te in rubrica per essersi la Corte d’appello ‘limitata, dopo aver confermato la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva concluso per l’illegittimità del licenziamento per ricoprire i fatti addebitati al ricorrente quel grado di rilevanza e gravità tali da legittimare la giusta causa di recesso, a verificare che le condotte addebitate al lavoratore non rientrassero nelle condotte sanzionate dalle parti collettive con sanzioni conservative, pure se tali previsioni sono espresse in clausole generiche ed elastiche e, pertanto, per aver omesso di verificare la possibilità di sussumere la fattispecie concreta in dette previsioni di sanzioni conservative” .
Con il settimo motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione degli artt. 220 e 225 CCNL RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e servizi ed art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5) c.p.c.; omesso esame dei fatti oggetto di discussione tra le parti. Nullità della sentenza per difetto di motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c. n. 4 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.’. Si riferisce, quali fatti e circostanze decisivi, alle ‘risultanze per cui non è emerso dagli atti di causa che il numero di etichette non esposte o non ritirate o la scorretta esposizione di articoli non
ha avuto ripercussioni significative sull’attività del punto vendita, tenuto conto delle sue dimensioni, e sui rapporti con la clientela così come la mancata considerazione che l’entità dei resi pari ad euro 135,78 denotava l’irrilevanza delle conseguenze della condotta del lavoratore sul piano economico e, pertanto, sull’attività della società oltre all’irrilevanza del numero delle etichette/prodotti contestati in ragione del considerevolissimo numero di referenze e di prodotti affidati al ricorrente e al suo reparto’. Lamenta, peraltro, un ‘totale difetto del requisito della motivazione: manca, infatti, nella sentenza della Corte d’Appello di Venezia totalmente la motivazione circa la premessa dell’oggetto del decidere ovverosia l’irrilevanza disciplinare dei fatti addebitati al lavoratore con la lettera di contestazione e successiva lettera di licenziamento in ordine alle già dedotte circostanze circa il minimo numero di referenze la cui mancata esposizione o ritiro ovvero scorretta esposizione, l’inesistenza di alcun danno all’immagine della società nonché economico e la mancata percezione da parte della clientela della addebitate negligenze al lavoratore’.
Con l’ottavo motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 18 commi 4 e 5 L. 300/70 come modificato dalla L. 92/2012 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ‘erroneamente applic ato la tutela indennitaria di cui all’art. 18 comma 5 L. 300/70, senza considerare che i fatti contestati integravano una fattispecie punita con sanzione conservativa, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata di cui al comma 4 del l’art. 18 L. 300/70’.
Nello scrutinare i molteplici motivi di ricorso secondo un plausibile  ordine  logicogiuridico,  occorre  muovere  dall’esame
del  quinto  motivo,  che  torna  sulla  questione  della  decadenza eccepita dal lavoratore in relazione all’adozione del licenziamento  disciplinare  sulla  base  dell’art.  227  del  CCNL RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e servizi.
 Tale  censura  è  in  parte  inammissibile  e  in  parte infondata.
Questa Corte di legittimità si è più volte espressa sulle disposizioni collettive che vengono in considerazione in causa.
10.1. Ebbene, l’art. 227 del CCNL, sotto la rubrica ‘Normativa provvedimenti disciplinari’, recita al primo comma: ‘ L’eventuale adozione del provvedimento disciplinare dovrà essere comunicata al lavoratore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore stesso per presentare le sue controdeduzioni ‘. Il comma seguente prevede inoltre: ‘ Per esigenze dovute a difficoltà nella fase di valutazione delle controdeduzioni e di decisione nel merito, il termine di cui sopra può essere prorogato di 30 giorni, purché l’azienda ne dia preventiva comunicazione scritta al lavoratore ‘.
Circa tale disposizione, questa Corte ha ritenuto che, in tema di licenziamento per giusta causa, l’art. 227 del c.c.n.l. dipendenti RAGIONE_SOCIALE del 18 luglio 2008, laddove prevede la possibilità di proroga del termine di quindici giorni per l’adozione del provvedimento disciplinare, impone al datore solo un obbligo di comunicazione al lavoratore, ma non la precisazione dei motivi; a tale ultimo fine, il datore di lavoro è tenuto, prima dello spirare del termine da prorogare, a manifestare per iscritto la vol ontà di avvalersi della proroga e l’avvio della procedura di
comunicazione si realizza con la consegna dell’atto al soggetto incaricato di curare il recapito, in applicazione del principio della scissione  tra  il  momento  in  cui  la  volontà  di  recedere  è manifestata e quello in cui si producono i relativi effetti, valevole in  tutto  il  procedimento  disciplinare  (così  Cass.,  sez.  lav., 22.9.2017, n. 22171).
Nella motivazione (al § 3.2.) di Cass. n. 22171/2017, ora cit., è stato specificato che la scelta di avvalersi del termine lungo ‘non è assolutamente insindacabile, sicché, qualora il lavoratore contesti la ricorrenza di ragioni che legittimano la proroga, poiché le stesse incidono sulla tempestività dell’atto di recesso, l’indagine che il giudice del merito è chiamato ad effettuare non è dissimile da quella allo stesso riservata nelle ipotesi in cui si assuma la tardività della contestazione’.
La più recente Cass. n. 15324/2024 ha, poi, ribadito che la decorrenza del termine di cui all’art. 227 di detto CCNL, entro il quale il datore di lavoro deve comunicare il relativo provvedimento  conclusivo  del  procedimento  disciplinare,  è collegata alla scadenza del termine assegnato al lavoratore per presentare le sue difese.
10.2.  La  decisione  della  Corte  territoriale in  parte  qua è aderente  a  tali  principi,  avendo  richiamato  appunto  Cass.  n. 22171/2017 (che del resto era stata invocata proprio dall’allora reclamante: cfr. pag. 10 della sua sentenza).
10.3. In particolare, la Corte ha tenuto conto anzitutto del fatto che il lavoratore aveva, tra l’altro, sostenuto che la società si sarebbe illegittimamente avvalsa sin dalla lettera di contestazione della proroga di 30 giorni prevista dall’art. 227 CCNL (cfr. sempre pag. 10 della sentenza).
Ha,  però,  accertato  che:  .
Ora, rilevato che il ricorrente non pone in dubbio tale ricostruzione cronologica, operata dalla Corte di merito, quest’ultima ha anche fatto capo alla data dell’effettiva ricezione della nota di licenziamento da parte del lavoratore e in favore di quest’u ltimo (laddove secondo i principi di diritto enunciati in Cass. n. 22171/2017 cit. sarebbe stato necessario, ma sufficiente ‘che, prima dello spirare del termine finale, il datore di lavoro manifesti per iscritto la volontà di avvalersi del prolungamento e entro il medesimo termine, ove non provveda alla consegna dell’atto, avvii la procedura di comunicazione mediante consegna al soggetto incaricato di curare il recapito’: cfr. in extenso a riguardo i §§ 3.3., 3.4. e 3.5. di detta sentenza).
10.4. Ma la Corte territoriale, pur avendo preso atto che, secondo Cass. n. 22171/2017, l’art. 227 del CCNL non imponeva al datore di lavoro di precisare i  motivi  che  rendevano necessaria o opportuna la scelta di avvalersi del termine lungo già nella relativa comunicazione, ha senz’altro considerato che il  lavoratore  chiedeva  in  giudizio  di  sindacare  tale  scelta datoriale.
10.5. Ha, infatti, osservato: ‘E’ sufficiente poi esaminare la lettera di licenziamento per comprendere che la società non si era limitata a prendere atto delle giustificazioni del lavoratore confermando gli addebiti come contestati con la lettera precedente, ma -in particolar modo nelle pagg. 25 e 26 della lettera di cui al doc. 14 di parte reclamante -aveva evidenziato di aver effettuato ulteriori accertamenti successivi alle giustificazioni che le avevano consentito di confermare gli addebiti inizial i. La lettura dell’atto di recesso in cui la società non si era limitata a richiamare per relationem la lettera di contestazione disciplinare ma esprimeva ulteriori valutazioni, consente al Collegio di confermare la necessità e veridicità degli accertamenti eseguiti a ulteriore verifica della fondatezza degli addebiti che in sede di giustificazioni il lavoratore aveva contrastato non tanto nella loro materialità quanto piuttosto nella loro rilevanza disciplinare’ (ma v. in extenso anche le ulteriori considerazioni nello stesso senso alle pagg. 11-12 dell’impugnata sentenza).
10.6. E tutte tali motivate argomentazioni rispecchiano un accertamento fattuale e un apprezzamento probatorio, riservati ai giudici di merito.
Pertanto, la censura in esame è inammissibile per tutti i profili in cui, deducendosi  anche  la violazione e falsa
applicazione  degli  artt.  115  c.p.c.  e  dell’art.  2697  c.c.,  si criticano in realtà tali apprezzamenti e si propone una diversa lettura delle risultanze processuali, assumendosi in particolare che la società non avrebbe ‘espresso alcuna ulteriore e diversa valutazione rispetto a quanto contestato nella lettera di addebito’ (cfr. pagg. 43 -48 del ricorso).
11.1.  Come  si  è  visto,  la  Corte  distrettuale  nella  sua valutazione si è avvalsa essenzialmente di prove documentali indotte  dalle  parti,  consistenti  in  atti  unilaterali  dell’una  e dell’altra, la cui interpretazione, riservata ai giudici di merito, in questa sede di legittimità poteva essere censurata solo deducendo la violazione dei canoni ermeneutici legali di cui agli artt.  1362  e  segg.  c.c.,  nei  limiti  valevoli  per  tali  atti  per  il tramite dell’art. 1324 c.c.
 Possono  ora  essere  congiuntamente  esaminati,  in quanto strettamente connessi, il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che risultano complessivamente infondati, presentando rilevanti profili d’inammissibilità.
Più nello specifico, dev’essere disatteso il primo motivo in una duplice chiave.
13.1. La Corte, dopo aver richiamati taluni precedenti di legittimità, ha concluso che ‘l’esistenza delle condotte disciplinarmente rilevanti per quanto esposto in diritto costituisce  già  motivo  sufficiente  a  rigettare  la  richiesta  di riforma della sentenza impugnata sollevata dal lavoratore con il primo motivo’.
In primo luogo, tale affermazione segue l’estesa parte di motivazione nella quale la stessa Corte aveva spiegato perché il recesso datoriale era ‘sorretto da addebiti fondati’,
condividendosi a riguardo le valutazioni dei giudici della doppia fase  del  primo  grado  (cfr.  l’intero  §  8  alle  pagg.  12 -16 della sentenza).
13.2. Inoltre, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (così Cass. n. 23702/2023 ed ivi in motivazione i precedenti in senso conforme).
13.3.  In  secondo  luogo,  il  ricorrente  non  considera  (o meglio, lo considera solo nei successivi tre motivi) che i giudici del reclamo, non solo avevano confermato i fatti addebitati nella loro materialità e nella loro rilevanza disciplinare, ma avevano anche  e  comunque  esaminato  nel  merito  le  deduzioni  del reclamante principale circa la ritorsività del licenziamento da lui sostenuta (cfr. in particolare §§ 10 e 11 della motivazione).
E il secondo motivo s’incentra appunto circa la dedotta ritorsività su una diversa lettura delle risultanze processuali, e, segnatamente, della conversazione intercorsa tra il COGNOME ed il suo Capo Area Sig. COGNOME avvenuta in data 8.5.2018.
Trattasi  del  contenuto  di  una  trascrizione  del  colloquio registrato,  che  la  Corte  d’appello  ha  senz’altro  considerato
(ponendo peraltro in luce che la registrazione era avvenuta all’insaputa del superiore COGNOME), insieme però ad altre emergenze istruttorie, tra le quali il dato che lo stesso COGNOME ‘in sede di libero interrogatorio di data 24.5.2019 aveva confermato d i aver ricevuto la proposta’ di essere collocato in mansioni diverse all’interno dello stesso punto vendita ‘prima del colloquio dell’8.5.2018 e di essere interessato alla modifica, confermando di aver ricevuto alcune critiche dai superiori sulle modalità di esposizione delle merci’ (cfr. in particolare pagg. 17-18 della sua sentenza).
E analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo nel quale non si denuncia in realtà un vizio di sussunzione, ma si propone una rilettura, peraltro essenzialmente assertiva, sempre del colloquio dell’8.5.2018 (cfr. in particolare pag. 35 del ricorso); contrapposta a quella argomentatamente esposta dai giudici di secondo grado, secondo i quali le affermazioni dell’COGNOME in quella occasione ‘non potevano assumere il contenuto estorsivo lamentato dal reclamante’, dopo aver già escluso la ‘minaccia di licenziamento’ da parte di quello e condividendo a riguardo le argomentazioni del primo giudice.
Parimenti è infondato il quarto motivo, che torna sui fatti contestati per sostenere che essi devono ritenersi insussistenti e comunque indimostrati.
16.1.  Com’è  agevole  constatare  dallo  sviluppo  di  tale censura (cfr. in particolare pagg. 3841 del ricorso), anch’essa propone  una  propria  completa  rivisitazione  delle  risultanze processuali.
Peraltro,  in  questo  caso  la  motivazione  resa  dalla  Corte distrettuale  è  praticamente  ignorata,  anche  nella  parte  in  cui
aveva sottolineato le ammissioni del lavoratore incolpato nella fase disciplinare.
E’ , invece, fondato il sesto motivo.
Giova premettere che, secondo un ormai consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla l. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, come novellato dalla l. 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali ed elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione de l principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo (cfr., tra le altre, Cass. n. 13744/2022; n. 11665/2022; n. 13065/2022; n. 20780/2022; n. 13063/2022; n. 10435/2023).
Ebbene, come anticipato, questa Corte si è più volte occupata di casi nei quali venivano in considerazione anche gli artt. 220 e 225 del CCNL applicato al rapporto di cui è causa.
19.1. Prim’ancora che si formasse l’indirizzo testé considerato, Cass. n. 18135/2021 aveva rigettato il ricorso per cassazione della datrice di lavoro avverso sentenza di merito che aveva ricondotto la fattispecie concreta all’ipotesi prevista dall’art. 225 del CCNL, legittimante l’irrogazione della sanzione della multa, prevista per l’ipotesi in cui il dipendente ‘esegua con negligenza il lavoro affidatogli’.
19.2. Poco dopo la prima decisione espressiva dello stesso indirizzo (ossia, Cass. n. 11665/2022 cit.), Cass. sent. n. 20682/2022 aveva considerato che la Corte territoriale aveva ‘svolto correttamente’ l’indagine richiesta dal riferito indirizzo, ‘sottolineando che la mancanza del requisito della ‘gravità’, in ordine alla condotta ravvisata nel caso concreto (mancata osservanza, nel modo più scrupoloso, dei doveri di ufficio e del segreto di ufficio, di usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doversi, art. 220 del CCNL) non consentiva la adozione del licenziamento ai sensi dell’art. 225 del CCNL di settore, bensì la sanzione conservativa della multa essendo ipotizzabile solo una esecuzione negligente, da parte del lavoratore, del lavoro affidatogli, come previsto dallo stesso CCNL’.
19.3. Da ultimo, Cass. n. 20698/2024, dopo aver richiamato lo stesso orientamento, ha accolto, questa volta, il ricorso di una lavoratrice contro una sentenza di merito in caso analogo a quello che ci occupa.
In tale ordinanza, difatti, si è considerato che Cass. n. 13744/2022, ossia, un’altra delle decisioni di legittimità rientranti n el ridetto orientamento, ‘ha ricostruito il quadro dei provvedimenti disciplinari stabilito dal CCNL per i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE servizi del 18 luglio 2008, sancendo che il comportamento non grave di un lavoratore che cioè non attinga a quel grado di gravità di violazione degli obblighi di cui all’art. 220, 1° e 2° comma, che giustifica il licenziam ento disciplinare ai sensi dell’art. 225 dello stesso CCNL -‘ben può essere sussunto nell’ipotesi, prevista dall’art. 220, secondo comma del CCNL citato, del lavoratore che : e pertanto
espressa con norma elastica, sanzionata in via conservativa con la multa, nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità già eseguito dalle parti sociali attraverso detta previsione’.
 Tanto  premesso,  la  Corte  distrettuale,  dopo  aver confermato  la  sentenza  di  primo  grado  per  la  parte  in  cui riconosceva la sussistenza dei fatti addebitati ed il loro rilievo disciplinare, come la non proporzionalità della sanzione espulsiva  anche  con  preavviso,  ha  osservato  che  le  condotte contestate ‘secondo la società erano state realizzate in violazione delle norme contrattuali di cui all’art. 220 CCNL -225 CCNL, 2104 c.c. e 2119 c.c.’.
20.1. Quindi, ha riportato il testo dell’art. 220 del CCNL, uno  stralcio, peraltro  incompleto,  dell’art.  225  del  CCNL, omettendo, in  particolare,  di  riportare  la  parte  di  tale  ultimo articolo che sanziona con la multa il lavoratore che ‘ – esegua con  negligenza  il lavoro  affidatogli ‘ , ed  ha,  quindi,  fatto riferimento a parte del testo dell’art. 229 dello stesso CCNL.
20.2.  Conclusivamente,  ha  ritenuto  che:  ‘L’esame  delle norme  consente  di  escludere  che  le  condotte  contestate  al COGNOME rientrassero in ipotesi di specifiche condotte sanzionate dalle parti collettive con sanzione conservativa’ (cfr. §§ 12 e 12.1. della sua sentenza).
Osserva  allora il  Collegio  che  tale  ragionamento decisorio  risulta  in  contrasto  con  i  principi  sin  qui  illustrati, peraltro per lo più riferiti proprio alle previsioni collettive che vengono in considerazione nel caso di specie.
21.1. A fronte, infatti, di specifico motivo di reclamo che riguardava per l’appunto la riconducibilità delle condotte accertate a quelle punite dal CCNL con sanzione conservativa, il
giudizio  espresso  dalla  Corte  a  riguardo  è  essenzialmente assertivo, non spiegandosi perché l’esame delle norme collettive, riportate peraltro  in  stralcio  incompleto,  e  non commentate, consentiva ‘di escludere che le condotte contestate al COGNOME rientrassero in ipotesi di specifiche condotte sanzionate dal le parti collettive con sanzione conservativa’.
Invero, la Corte di merito, subito dopo i passi su riassunti, si è limitata a richiamare precedente di legittimità, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, circa il non essere vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione  collettiva;  affermazione,  questa,  che  non  è assolutamente  in  grado  di  lumeggiare  perché  le  condotte addebitate  al  lavoratore  non  fossero  riconducibili  a  nessuna delle disposizioni collettive richiamate.
Soprattutto , la valutazione della stessa Corte d’appello è all’evidenza difforme dalla giurisprudenza di legittimità in precedenza richiamata, anche specificamente riferita a norme del CCNL identiche a quelle nel caso di specie da considerare, non essendosi neanche p resa in esame l’ipotesi di cui all’art. 225 del CCNL, da leggersi in relazione alle ipotesi di cui al precedente art. 220, nella parte in cui prevede che ‘Il provvedimento della multa si applica’, tra gli altri casi, ‘nei confronti del lavor atore che: … -esegua con negligenza il lavoro affidatogli’; ipotesi, quest’ultima, che, alla stregua dei precedenti innanzi citati, integra norma elastica.
 Resta,  di  conseguenza,  assorbito  l’esame  dell’ottavo motivo  di  ricorso,  che  concerne  la  tutela  (reintegratoria  c.d. attenuata o indennitaria c.d. forte) da applicare, il che dipenderà
da  un  corretto  riesame  del  caso  in  base  ai  principi  di  diritto innanzi richiamati.
Invece, il settimo motivo è inammissibile dove si riferisce al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., stante, a tacer d’altro, la preclusione di cui all’art. 348 ter, commi quarto e quinto, c.p.c., in presenza di c.d. ‘doppia conforme’. Lo stesso motivo si appalesa, invece, privo di fondamento per la parte in cui vi si deduce un difetto di motivazione, perché nella sentenza impugnata è senz’altro presente una motivazione sui punti cui si riferisce il ricorrente, ed essa risulta piuttosto non condivisibile in diritto limitatamente alla questione sollevata con il sesto motivo.
Conclusivamente, rigettati i primi cinque motivi ed il settimo  motivo ,  e  dichiarato  assorbito  l’ottavo  motivo,  in accoglimento del sesto nei termini specificati in motivazione, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla medesima  Corte  territoriale  che,  in  differente  composizione, oltre a regolare le spese anche di questo giudizio di cassazione, riesaminerà il caso conformandosi ai principi di diritto enunciati ai §§ 18, 19, 19.1., 19.2. e 19.3. di questa motivazione.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  sesto  motivo  di  ricorso,  assorbito l’ottavo  e  rigettati  gli  altri.  Cassa  la  sentenza  impugnata  in relazione  al  motivo  accolto  e  rinvia  alla  Corte  d’appello  di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 18.12.2024.
La Presidente
NOME COGNOME