Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8645 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8645 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14196-2022 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo STUDIO RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo STUDIO RAGIONE_SOCIALE
Oggetto
Licenziamento per giusta causa
R.G.N. 14196/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 18/12/2024
CC
rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 207/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/04/2022 R.G.N. 532/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME
CASO.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Venezia rigettava il reclamo principale proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 229/2021, che aveva respinto sia la sua opposizione che quelle della RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOME all’ordinanza dello stesso Tribunale, resa nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, così confermando tale pronuncia nel capo in cui il giudice aveva dichiarato l’illegittimità per sproporzione del licenziamento intimato da detta società al Celani con missiva datata 8.10.2018, condannando la stessa società al risarcimento del danno commisurato a 14 mensilità, nonché confermando l’illegittimità delle sanzioni disciplinari conservative pure impugnate dal lavoratore; con la stessa sentenza la Corte dichiarava l’improcedibilità dei reclami incidentali della RAGIONE_SOCIALE e dell’Ambrosini contro la sentenza di primo grado.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, riferiti gli otto motivi del reclamo principale del lavoratore e quelli dei reclami incidentali, giudicava improcedibili questi ultimi, e, dopo aver individuato ciò che non era più controverso e che comunque non poteva più porsi in discussione, riteneva di
essere chiamata a valutare le sole doglianze del reclamante principale e in particolare se la tutela accordata dal giudice, nel ritenere provati i fatti contestati con il recesso (peraltro non così gravi da integrare giusta causa), fosse stata corretta, poiché il reclamante COGNOME assumeva anche in questo grado la natura ritorsiva del licenziamento.
2.1. Premetteva ancora la Corte che detto reclamante, per fondare la domanda di nullità del licenziamento per ritorsione, in sede di discussione -invertendo l’ordine dei motivi esposti nell’atto di reclamo aveva sostenuto che la violazione della norma c ontrattuale di cui all’art. 227 CCNL riproposta alla fine del terzo motivo di reclamo -renderebbe nullo il licenziamento; nullità da cui deriverebbe la ritorsività del licenziamento determinato da motivo unico, determinante e illecito, con conseguente riforma della sentenza di primo grado.
Ciò premesso, la Corte d’appello reputava infondata la doglianza di violazione della norma contrattuale di cui al cit. art. 227, con conseguente validità del licenziamento sotto il profilo formale.
Riteneva, inoltre, che il recesso, come evidenziato dai giudici delle fasi precedenti, era sorretto da addebiti fondati.
4.1. Rilevava anzitutto che nella lunga lettera di contestazione (di cui riportava ampio stralcio testuale) la società aveva addebitato al COGNOME, responsabile del reparto no food presso il punto vendita RAGIONE_SOCIALE di Vicenza, una molteplicità di addebiti inerenti le modalità di esposizione delle merci, dei prezzi, delle offerte (che risultavano ancora esposte nonostante fossero già terminate), realizzati nel periodo di servizio del lavoratore prima delle ferie estive e rilevati non appena la
gestione era stata temporaneamente affidata ad altri collaboratori.
4.2. Notava, quindi, che il lavoratore, tramite l’organizzazione sindacale di riferimento, si era limitato a contestare genericamente gli addebiti, condividendo pertanto la Corte le conclusioni del primo giudice rispetto ai menzionati inadempimenti contestati, e che, a fronte delle ammissioni della fase disciplinare, appariva corretta la decisione dello stesso giudice che aveva ritenuto provati gli addebiti; valutazioni che la Corte giudicava non superate dalle generiche allegazioni dell’allora reclamante, perché le critiche di quest’ultimo non erano state supportare da prova, né da allegazioni dotate di sufficiente verosimiglianza.
Secondo la Corte, l’esistenza delle condotte disciplinarmente rilevanti costituiva già ragione sufficiente a rigettare la richiesta di riforma della sentenza impugnata sollevata dal lavoratore con il primo motivo di reclamo, in cui s’insisteva per l’ill iceità del recesso per ritorsione.
Tuttavia, per la Corte, motivi di completezza imponevano di esaminare l’aspetto della ritorsività anche con riferimento alla domanda risarcitoria di cui anche in secondo grado il reclamante aveva chiesto l’accoglimento con il secondo motivo.
6.1. Riesaminate, quindi, le relative risultanze processuali, i giudici del reclamo in sintesi ritenevano che le frasi pronunciate dall’COGNOME il quale, come capo area non era legittimato a emettere provvedimenti disciplinari, tanto meno di recesso, de ponevano per l’interpretazione del primo giudice: il superiore aveva chiarito al dipendente che se fosse rimasto nella posizione
di responsabile del reparto no food la società non avrebbe più tollerato le sue mancanze senza assumere provvedimenti disciplinari, ma che nessuna minaccia di licenziamento vi era stata.
Infine, la Corte giudicava infondati gli ulteriori motivi del reclamo principale relativi alla tutela applicabile, in cui il reclamante lamentava che la sproporzione riconosciuta dal giudice di primo grado avrebbe dovuto condurre alla reintegrazione trattandosi di condotta sanzionata dal contratto collettivo con sanzione conservativa.
7.1. Infatti, la Corte d’appello – premettendo che le molteplici condotte contestate nella lettera riportata nei precedenti punti della sua decisione, secondo la società, erano state realizzate in violazione delle norme contrattuali di cui agli artt. 220 e 225 del CCNL, e degli artt. 2104 e 2109 c.c. -considerava dette norme collettive, nonché quella di cui all’art. 229 del medesimo CCNL, ma concludeva nel senso di escludere che le condotte contestate al COGNOME rientrassero in ipotesi di specifiche condotte sanzionate dalle parti collettive con sanzione conservativa.
Avverso tale decisione COGNOME Pietro ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.
Gli intimati hanno resistito con distinti controricorsi.
Tutte le parti private hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 18 comma 1 L. 300/70 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3: la natura ritorsiva
del licenziamento intimato al ricorrente’. Lamenta che il giudice del merito abbia ‘ritenuto che l’esistenza degli addebiti che pure si contestano sia per la loro sussistenza che per la loro irrilevanza sotto il profilo disciplinare sia, infine, per la mancata prova, gravante sul datore di lavoro, del loro concreto verificarsi -che hanno portato al licenziamento del ricorrente escluderebbe già di per sé l’illiceità dello stesso per la sua dedotta natura ritorsiva’.
Con un secondo motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 18 comma 1 L. 300/70 e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.: la natura ritorsiva del licenziamento intimato al ricorrente’. ‘Censura la se ntenza della Corte d’Appello per aver erroneamente escluso la natura ritorsiva del recesso intimato al COGNOME e comunque la sua nullità per motivo illecito determinante essendo, invece, stato irrogato unicamente come rappresaglia per la mancata adesione da parte del lavoratore alla proposta datoriale di demansionamento’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 612 c.p., dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 18 comma 1 L. 300/70 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Censura la sentenza della Corte d’appello per ‘aver erroneamente escluso che nella condotta tenuta dall’COGNOME nell’incontro e nel colloquio con il ricorrente dell’8/5/2018 fosse ravvisabile la fattispecie penale della minaccia/violenza di cui all’art. 612 c.p. escludendo così la richiesta tutela risarcitoria richiesta dal ricorrente per il danno non patrimoniale subito, incorrendo in errore di diritto per violazione/falsa applicazione alla fattispecie verificatasi’ delle norme in rubrica indicate.
Con il quarto motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 18 L. 300/70 e dell’art. 3 L. 604/66 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Censura la sentenza ‘per aver erroneamente ritenuto provati i fatti oggetto della contestazione disciplinare che hanno portato al licenziamento del sig. COGNOME non avendo, invero, la datrice di lavoro fornito prova della sussistenza e della gravità degli stessi ed essendo, tutt’al più, disciplinarmente irrilevanti’.
Con il quinto motivo denuncia ‘violazione/errata applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.: violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 227 CCNL terziario distribuzione e servizi in relazio ne all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Deduce la violazione ed erronea applicazione delle norme indicate in rubrica ‘in relazione all’eccezione sollevata dal ricorrente di tardività del licenziamento, avendo deciso tale eccezione, rigettandola, sulla base di prove non introdotte dalle parti. In particolare, a fronte dell’eccezione del lavoratore di tardività del recesso, la Corte ha errato nel disattendere il principio per cui era onere della convenuta fornire adeguata prova delle difficoltà riscontrate nella valutazione delle controdeduzioni -prova mai fornita -, sovvertendo, così, l’ onus probandi e, anzi, sostituendosi alla convenuta nell’individuare le ragioni legittimanti la proroga -ed ha errato nel non aver posto a fondamento della propria decisione l’affermazione contenuta nella memoria COGNOME in sede di reclamo in cui affermava l’irrilevanza delle giustificazioni rese dal lavoratore’. Inoltre, secondo il ricorrente, ‘La Corte è altresì incorsa in violazione del disposto dell’art. 227 CCNL ritenendo legittimo l’esercizio da parte della datrice di lavoro del potere di avvalersi della proroga di giorni 30 nell’adozione del provvedimento disciplinare sin
dalla lettera di contestazione del 29-30/8/2018 che ha poi portato al licenziamento, e nonostante non sia emerso né provato lo svolgimento da parte della società di ulteriori verifiche a seguito delle giustificazioni del lavoratore, unica ipotesi legittimante il ricorso alla proroga della disposizione collettiva citata’.
Con il sesto motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione degli artt. 220 e 225 CCNL terziario distribuzione e servizi ed art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Assume la violazione/falsa applicazione delle norme indica te in rubrica per essersi la Corte d’appello ‘limitata, dopo aver confermato la sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva concluso per l’illegittimità del licenziamento per ricoprire i fatti addebitati al ricorrente quel grado di rilevanza e gravità tali da legittimare la giusta causa di recesso, a verificare che le condotte addebitate al lavoratore non rientrassero nelle condotte sanzionate dalle parti collettive con sanzioni conservative, pure se tali previsioni sono espresse in clausole generiche ed elastiche e, pertanto, per aver omesso di verificare la possibilità di sussumere la fattispecie concreta in dette previsioni di sanzioni conservative” .
Con il settimo motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione degli artt. 220 e 225 CCNL terziario distribuzione e servizi ed art. 1362 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5) c.p.c.; omesso esame dei fatti oggetto di discussione tra le parti. Nullità della sentenza per difetto di motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c. n. 4 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.’. Si riferisce, quali fatti e circostanze decisivi, alle ‘risultanze per cui non è emerso dagli atti di causa che il numero di etichette non esposte o non ritirate o la scorretta esposizione di articoli non
ha avuto ripercussioni significative sull’attività del punto vendita, tenuto conto delle sue dimensioni, e sui rapporti con la clientela così come la mancata considerazione che l’entità dei resi pari ad euro 135,78 denotava l’irrilevanza delle conseguenze della condotta del lavoratore sul piano economico e, pertanto, sull’attività della società oltre all’irrilevanza del numero delle etichette/prodotti contestati in ragione del considerevolissimo numero di referenze e di prodotti affidati al ricorrente e al suo reparto’. Lamenta, peraltro, un ‘totale difetto del requisito della motivazione: manca, infatti, nella sentenza della Corte d’Appello di Venezia totalmente la motivazione circa la premessa dell’oggetto del decidere ovverosia l’irrilevanza disciplinare dei fatti addebitati al lavoratore con la lettera di contestazione e successiva lettera di licenziamento in ordine alle già dedotte circostanze circa il minimo numero di referenze la cui mancata esposizione o ritiro ovvero scorretta esposizione, l’inesistenza di alcun danno all’immagine della società nonché economico e la mancata percezione da parte della clientela della addebitate negligenze al lavoratore’.
Con l’ottavo motivo denuncia ‘violazione/errata/falsa applicazione dell’art. 18 commi 4 e 5 L. 300/70 come modificato dalla L. 92/2012 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c.’. Si duole del fatto che la Corte d’appello abbia ‘erroneamente applic ato la tutela indennitaria di cui all’art. 18 comma 5 L. 300/70, senza considerare che i fatti contestati integravano una fattispecie punita con sanzione conservativa, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata di cui al comma 4 del l’art. 18 L. 300/70’.
Nello scrutinare i molteplici motivi di ricorso secondo un plausibile ordine logicogiuridico, occorre muovere dall’esame
del quinto motivo, che torna sulla questione della decadenza eccepita dal lavoratore in relazione all’adozione del licenziamento disciplinare sulla base dell’art. 227 del CCNL terziario, distribuzione e servizi.
Tale censura è in parte inammissibile e in parte infondata.
Questa Corte di legittimità si è più volte espressa sulle disposizioni collettive che vengono in considerazione in causa.
10.1. Ebbene, l’art. 227 del CCNL, sotto la rubrica ‘Normativa provvedimenti disciplinari’, recita al primo comma: ‘ L’eventuale adozione del provvedimento disciplinare dovrà essere comunicata al lavoratore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore stesso per presentare le sue controdeduzioni ‘. Il comma seguente prevede inoltre: ‘ Per esigenze dovute a difficoltà nella fase di valutazione delle controdeduzioni e di decisione nel merito, il termine di cui sopra può essere prorogato di 30 giorni, purché l’azienda ne dia preventiva comunicazione scritta al lavoratore ‘.
Circa tale disposizione, questa Corte ha ritenuto che, in tema di licenziamento per giusta causa, l’art. 227 del c.c.n.l. dipendenti terziario del 18 luglio 2008, laddove prevede la possibilità di proroga del termine di quindici giorni per l’adozione del provvedimento disciplinare, impone al datore solo un obbligo di comunicazione al lavoratore, ma non la precisazione dei motivi; a tale ultimo fine, il datore di lavoro è tenuto, prima dello spirare del termine da prorogare, a manifestare per iscritto la vol ontà di avvalersi della proroga e l’avvio della procedura di
comunicazione si realizza con la consegna dell’atto al soggetto incaricato di curare il recapito, in applicazione del principio della scissione tra il momento in cui la volontà di recedere è manifestata e quello in cui si producono i relativi effetti, valevole in tutto il procedimento disciplinare (così Cass., sez. lav., 22.9.2017, n. 22171).
Nella motivazione (al § 3.2.) di Cass. n. 22171/2017, ora cit., è stato specificato che la scelta di avvalersi del termine lungo ‘non è assolutamente insindacabile, sicché, qualora il lavoratore contesti la ricorrenza di ragioni che legittimano la proroga, poiché le stesse incidono sulla tempestività dell’atto di recesso, l’indagine che il giudice del merito è chiamato ad effettuare non è dissimile da quella allo stesso riservata nelle ipotesi in cui si assuma la tardività della contestazione’.
La più recente Cass. n. 15324/2024 ha, poi, ribadito che la decorrenza del termine di cui all’art. 227 di detto CCNL, entro il quale il datore di lavoro deve comunicare il relativo provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, è collegata alla scadenza del termine assegnato al lavoratore per presentare le sue difese.
10.2. La decisione della Corte territoriale in parte qua è aderente a tali principi, avendo richiamato appunto Cass. n. 22171/2017 (che del resto era stata invocata proprio dall’allora reclamante: cfr. pag. 10 della sua sentenza).
10.3. In particolare, la Corte ha tenuto conto anzitutto del fatto che il lavoratore aveva, tra l’altro, sostenuto che la società si sarebbe illegittimamente avvalsa sin dalla lettera di contestazione della proroga di 30 giorni prevista dall’art. 227 CCNL (cfr. sempre pag. 10 della sentenza).
Ha, però, accertato che: .
Ora, rilevato che il ricorrente non pone in dubbio tale ricostruzione cronologica, operata dalla Corte di merito, quest’ultima ha anche fatto capo alla data dell’effettiva ricezione della nota di licenziamento da parte del lavoratore e in favore di quest’u ltimo (laddove secondo i principi di diritto enunciati in Cass. n. 22171/2017 cit. sarebbe stato necessario, ma sufficiente ‘che, prima dello spirare del termine finale, il datore di lavoro manifesti per iscritto la volontà di avvalersi del prolungamento e entro il medesimo termine, ove non provveda alla consegna dell’atto, avvii la procedura di comunicazione mediante consegna al soggetto incaricato di curare il recapito’: cfr. in extenso a riguardo i §§ 3.3., 3.4. e 3.5. di detta sentenza).
10.4. Ma la Corte territoriale, pur avendo preso atto che, secondo Cass. n. 22171/2017, l’art. 227 del CCNL non imponeva al datore di lavoro di precisare i motivi che rendevano necessaria o opportuna la scelta di avvalersi del termine lungo già nella relativa comunicazione, ha senz’altro considerato che il lavoratore chiedeva in giudizio di sindacare tale scelta datoriale.
10.5. Ha, infatti, osservato: ‘E’ sufficiente poi esaminare la lettera di licenziamento per comprendere che la società non si era limitata a prendere atto delle giustificazioni del lavoratore confermando gli addebiti come contestati con la lettera precedente, ma -in particolar modo nelle pagg. 25 e 26 della lettera di cui al doc. 14 di parte reclamante -aveva evidenziato di aver effettuato ulteriori accertamenti successivi alle giustificazioni che le avevano consentito di confermare gli addebiti inizial i. La lettura dell’atto di recesso in cui la società non si era limitata a richiamare per relationem la lettera di contestazione disciplinare ma esprimeva ulteriori valutazioni, consente al Collegio di confermare la necessità e veridicità degli accertamenti eseguiti a ulteriore verifica della fondatezza degli addebiti che in sede di giustificazioni il lavoratore aveva contrastato non tanto nella loro materialità quanto piuttosto nella loro rilevanza disciplinare’ (ma v. in extenso anche le ulteriori considerazioni nello stesso senso alle pagg. 11-12 dell’impugnata sentenza).
10.6. E tutte tali motivate argomentazioni rispecchiano un accertamento fattuale e un apprezzamento probatorio, riservati ai giudici di merito.
Pertanto, la censura in esame è inammissibile per tutti i profili in cui, deducendosi anche la violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., si criticano in realtà tali apprezzamenti e si propone una diversa lettura delle risultanze processuali, assumendosi in particolare che la società non avrebbe ‘espresso alcuna ulteriore e diversa valutazione rispetto a quanto contestato nella lettera di addebito’ (cfr. pagg. 43 -48 del ricorso).
11.1. Come si è visto, la Corte distrettuale nella sua valutazione si è avvalsa essenzialmente di prove documentali indotte dalle parti, consistenti in atti unilaterali dell’una e dell’altra, la cui interpretazione, riservata ai giudici di merito, in questa sede di legittimità poteva essere censurata solo deducendo la violazione dei canoni ermeneutici legali di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., nei limiti valevoli per tali atti per il tramite dell’art. 1324 c.c.
Possono ora essere congiuntamente esaminati, in quanto strettamente connessi, il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che risultano complessivamente infondati, presentando rilevanti profili d’inammissibilità.
Più nello specifico, dev’essere disatteso il primo motivo in una duplice chiave.
13.1. La Corte, dopo aver richiamati taluni precedenti di legittimità, ha concluso che ‘l’esistenza delle condotte disciplinarmente rilevanti per quanto esposto in diritto costituisce già motivo sufficiente a rigettare la richiesta di riforma della sentenza impugnata sollevata dal lavoratore con il primo motivo’.
In primo luogo, tale affermazione segue l’estesa parte di motivazione nella quale la stessa Corte aveva spiegato perché il recesso datoriale era ‘sorretto da addebiti fondati’,
condividendosi a riguardo le valutazioni dei giudici della doppia fase del primo grado (cfr. l’intero § 8 alle pagg. 12 -16 della sentenza).
13.2. Inoltre, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (così Cass. n. 23702/2023 ed ivi in motivazione i precedenti in senso conforme).
13.3. In secondo luogo, il ricorrente non considera (o meglio, lo considera solo nei successivi tre motivi) che i giudici del reclamo, non solo avevano confermato i fatti addebitati nella loro materialità e nella loro rilevanza disciplinare, ma avevano anche e comunque esaminato nel merito le deduzioni del reclamante principale circa la ritorsività del licenziamento da lui sostenuta (cfr. in particolare §§ 10 e 11 della motivazione).
E il secondo motivo s’incentra appunto circa la dedotta ritorsività su una diversa lettura delle risultanze processuali, e, segnatamente, della conversazione intercorsa tra il COGNOME ed il suo Capo Area Sig. COGNOME avvenuta in data 8.5.2018.
Trattasi del contenuto di una trascrizione del colloquio registrato, che la Corte d’appello ha senz’altro considerato
(ponendo peraltro in luce che la registrazione era avvenuta all’insaputa del superiore COGNOME), insieme però ad altre emergenze istruttorie, tra le quali il dato che lo stesso COGNOME ‘in sede di libero interrogatorio di data 24.5.2019 aveva confermato d i aver ricevuto la proposta’ di essere collocato in mansioni diverse all’interno dello stesso punto vendita ‘prima del colloquio dell’8.5.2018 e di essere interessato alla modifica, confermando di aver ricevuto alcune critiche dai superiori sulle modalità di esposizione delle merci’ (cfr. in particolare pagg. 17-18 della sua sentenza).
E analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo nel quale non si denuncia in realtà un vizio di sussunzione, ma si propone una rilettura, peraltro essenzialmente assertiva, sempre del colloquio dell’8.5.2018 (cfr. in particolare pag. 35 del ricorso); contrapposta a quella argomentatamente esposta dai giudici di secondo grado, secondo i quali le affermazioni dell’COGNOME in quella occasione ‘non potevano assumere il contenuto estorsivo lamentato dal reclamante’, dopo aver già escluso la ‘minaccia di licenziamento’ da parte di quello e condividendo a riguardo le argomentazioni del primo giudice.
Parimenti è infondato il quarto motivo, che torna sui fatti contestati per sostenere che essi devono ritenersi insussistenti e comunque indimostrati.
16.1. Com’è agevole constatare dallo sviluppo di tale censura (cfr. in particolare pagg. 3841 del ricorso), anch’essa propone una propria completa rivisitazione delle risultanze processuali.
Peraltro, in questo caso la motivazione resa dalla Corte distrettuale è praticamente ignorata, anche nella parte in cui
aveva sottolineato le ammissioni del lavoratore incolpato nella fase disciplinare.
E’ , invece, fondato il sesto motivo.
Giova premettere che, secondo un ormai consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla l. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, come novellato dalla l. 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali ed elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione de l principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo (cfr., tra le altre, Cass. n. 13744/2022; n. 11665/2022; n. 13065/2022; n. 20780/2022; n. 13063/2022; n. 10435/2023).
Ebbene, come anticipato, questa Corte si è più volte occupata di casi nei quali venivano in considerazione anche gli artt. 220 e 225 del CCNL applicato al rapporto di cui è causa.
19.1. Prim’ancora che si formasse l’indirizzo testé considerato, Cass. n. 18135/2021 aveva rigettato il ricorso per cassazione della datrice di lavoro avverso sentenza di merito che aveva ricondotto la fattispecie concreta all’ipotesi prevista dall’art. 225 del CCNL, legittimante l’irrogazione della sanzione della multa, prevista per l’ipotesi in cui il dipendente ‘esegua con negligenza il lavoro affidatogli’.
19.2. Poco dopo la prima decisione espressiva dello stesso indirizzo (ossia, Cass. n. 11665/2022 cit.), Cass. sent. n. 20682/2022 aveva considerato che la Corte territoriale aveva ‘svolto correttamente’ l’indagine richiesta dal riferito indirizzo, ‘sottolineando che la mancanza del requisito della ‘gravità’, in ordine alla condotta ravvisata nel caso concreto (mancata osservanza, nel modo più scrupoloso, dei doveri di ufficio e del segreto di ufficio, di usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doversi, art. 220 del CCNL) non consentiva la adozione del licenziamento ai sensi dell’art. 225 del CCNL di settore, bensì la sanzione conservativa della multa essendo ipotizzabile solo una esecuzione negligente, da parte del lavoratore, del lavoro affidatogli, come previsto dallo stesso CCNL’.
19.3. Da ultimo, Cass. n. 20698/2024, dopo aver richiamato lo stesso orientamento, ha accolto, questa volta, il ricorso di una lavoratrice contro una sentenza di merito in caso analogo a quello che ci occupa.
In tale ordinanza, difatti, si è considerato che Cass. n. 13744/2022, ossia, un’altra delle decisioni di legittimità rientranti n el ridetto orientamento, ‘ha ricostruito il quadro dei provvedimenti disciplinari stabilito dal CCNL per i dipendenti di aziende del terziario distribuzione e servizi del 18 luglio 2008, sancendo che il comportamento non grave di un lavoratore che cioè non attinga a quel grado di gravità di violazione degli obblighi di cui all’art. 220, 1° e 2° comma, che giustifica il licenziam ento disciplinare ai sensi dell’art. 225 dello stesso CCNL -‘ben può essere sussunto nell’ipotesi, prevista dall’art. 220, secondo comma del CCNL citato, del lavoratore che : e pertanto
espressa con norma elastica, sanzionata in via conservativa con la multa, nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità già eseguito dalle parti sociali attraverso detta previsione’.
Tanto premesso, la Corte distrettuale, dopo aver confermato la sentenza di primo grado per la parte in cui riconosceva la sussistenza dei fatti addebitati ed il loro rilievo disciplinare, come la non proporzionalità della sanzione espulsiva anche con preavviso, ha osservato che le condotte contestate ‘secondo la società erano state realizzate in violazione delle norme contrattuali di cui all’art. 220 CCNL -225 CCNL, 2104 c.c. e 2119 c.c.’.
20.1. Quindi, ha riportato il testo dell’art. 220 del CCNL, uno stralcio, peraltro incompleto, dell’art. 225 del CCNL, omettendo, in particolare, di riportare la parte di tale ultimo articolo che sanziona con la multa il lavoratore che ‘ – esegua con negligenza il lavoro affidatogli ‘ , ed ha, quindi, fatto riferimento a parte del testo dell’art. 229 dello stesso CCNL.
20.2. Conclusivamente, ha ritenuto che: ‘L’esame delle norme consente di escludere che le condotte contestate al Celani rientrassero in ipotesi di specifiche condotte sanzionate dalle parti collettive con sanzione conservativa’ (cfr. §§ 12 e 12.1. della sua sentenza).
Osserva allora il Collegio che tale ragionamento decisorio risulta in contrasto con i principi sin qui illustrati, peraltro per lo più riferiti proprio alle previsioni collettive che vengono in considerazione nel caso di specie.
21.1. A fronte, infatti, di specifico motivo di reclamo che riguardava per l’appunto la riconducibilità delle condotte accertate a quelle punite dal CCNL con sanzione conservativa, il
giudizio espresso dalla Corte a riguardo è essenzialmente assertivo, non spiegandosi perché l’esame delle norme collettive, riportate peraltro in stralcio incompleto, e non commentate, consentiva ‘di escludere che le condotte contestate al COGNOME rientrassero in ipotesi di specifiche condotte sanzionate dal le parti collettive con sanzione conservativa’.
Invero, la Corte di merito, subito dopo i passi su riassunti, si è limitata a richiamare precedente di legittimità, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo, circa il non essere vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva; affermazione, questa, che non è assolutamente in grado di lumeggiare perché le condotte addebitate al lavoratore non fossero riconducibili a nessuna delle disposizioni collettive richiamate.
Soprattutto , la valutazione della stessa Corte d’appello è all’evidenza difforme dalla giurisprudenza di legittimità in precedenza richiamata, anche specificamente riferita a norme del CCNL identiche a quelle nel caso di specie da considerare, non essendosi neanche p resa in esame l’ipotesi di cui all’art. 225 del CCNL, da leggersi in relazione alle ipotesi di cui al precedente art. 220, nella parte in cui prevede che ‘Il provvedimento della multa si applica’, tra gli altri casi, ‘nei confronti del lavor atore che: … -esegua con negligenza il lavoro affidatogli’; ipotesi, quest’ultima, che, alla stregua dei precedenti innanzi citati, integra norma elastica.
Resta, di conseguenza, assorbito l’esame dell’ottavo motivo di ricorso, che concerne la tutela (reintegratoria c.d. attenuata o indennitaria c.d. forte) da applicare, il che dipenderà
da un corretto riesame del caso in base ai principi di diritto innanzi richiamati.
Invece, il settimo motivo è inammissibile dove si riferisce al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., stante, a tacer d’altro, la preclusione di cui all’art. 348 ter, commi quarto e quinto, c.p.c., in presenza di c.d. ‘doppia conforme’. Lo stesso motivo si appalesa, invece, privo di fondamento per la parte in cui vi si deduce un difetto di motivazione, perché nella sentenza impugnata è senz’altro presente una motivazione sui punti cui si riferisce il ricorrente, ed essa risulta piuttosto non condivisibile in diritto limitatamente alla questione sollevata con il sesto motivo.
Conclusivamente, rigettati i primi cinque motivi ed il settimo motivo , e dichiarato assorbito l’ottavo motivo, in accoglimento del sesto nei termini specificati in motivazione, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla medesima Corte territoriale che, in differente composizione, oltre a regolare le spese anche di questo giudizio di cassazione, riesaminerà il caso conformandosi ai principi di diritto enunciati ai §§ 18, 19, 19.1., 19.2. e 19.3. di questa motivazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbito l’ottavo e rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 18.12.2024.
La Presidente
NOME COGNOME