Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2257 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2257 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
R.G.N. 13147/2019
C.C. 24/10/2024
SANZIONI AMMINISTRATIVE
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13147/2019) proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
U.T.G. di Agrigento, in persona del Prefetto p.t.;
–
resistente
– avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n. 1220/2018, pubblicata il 9 ottobre 2018;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 24 ottobre 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di pace di Agrigento, decidendo – con sentenza n. 400/2017 -sull’opposizione formulata da COGNOME NOME avverso l’ordinanza -ingiunzione emessa in data 22 marzo 2016 dal Prefetto di Agrigento con la quale gli veniva irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 516,00 (oltre a quella accessoria del divieto di emettere assegni per 24 mesi) in ordine alla violazione dell’art. 2 della legge n. 386/1990, la respingeva.
Detta sentenza veniva confermata dal Tribunale di Agrigento con sentenza n. 1220/2018, il quale ravvisava l’infondatezza di tutti i motivi formulati relativi alla contestazione della mancata notificazione del verbale relativo alla violazione contestatagli, all’allegata circostanza dell’avvenuta produzione in copia del verbale stesso senza alcuna attestazione di conformità all’originale e all’addotta applicabilità dell’art. 2 della legge n. 241/1990.
Il Cavallo impugnava per cassazione la citata sentenza di appello con ricorso affidato a tre motivi.
L’intimato Prefetto ha depositato un mero atto di costituzione al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
Il Presidente della Sezione, in persona del dr. NOME COGNOME ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., sul presupposto della ravvisata manifesta infondatezza di tutte le censure.
Il citato ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso in virtù del comma 2 dell’indicato art. 380 -bis c.p.c.
Il giudizio è stato, conseguentemente, fissato per l’adunanza camerale nelle forme dell’art. 380 -bis.1. c.p.c., in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero avuto riguardo alla circostanza che egli non aveva ritualmente ricevuto alcun atto valido, o comunicazione o legittimo verbale relativo alla violazione contestatagli, fino alla notifica dell’ordinanza -ingiunzione opposta, avvenuta in data 14.04.2016.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto’, nonché ‘insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo’ della sentenza impugnata, nella parte in cui non ha rilevato la tardività dell’emissione dell’ordinanza -ingiunzione che, in assenza di un termine specificamente previsto dalla legge, avrebbe dovuto essere
emanata dal Prefetto entro il termine di 90 giorni ordinariamente contemplato per la conclusione dei procedimenti amministrativi ai sensi della legge n. 241/1990.
Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la ‘violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014’ oltre che ‘insufficiente e/o carente motivazione’ in ordine all’eccessività dei compensi liquidati con la sentenza impugnata in favore dell’appellato Prefetto.
Ritiene il collegio che va integralmente condivisa la proposta di definizione anticipata formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., con riguardo alla quale, peraltro, la memoria depositata dal ricorrente non offre alcun argomento per una specifica e idonea confutazione (essendosi lo stesso limitato a dichiarare di ‘ non condividere le conclusioni di cui alla prefata proposta e pertanto di non volervi aderire, per le ragioni di cui al ricorso per cassazione, che si abbiano qui per riportate ‘).
Con riferimento al primo motivo si fa valere -da un lato – un vizio di motivazione ricondotto all’antecedente formulazione del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., ormai non più ammissibile (cfr. Cass. SU n. 8053/2014, Cass. n. 23940/2017 e Cass. n. 7090/2022), e -dall’altro un’asserita violazione dell’art. 2712 c.c., che è, invece, manifestamente priva di fondamento.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto si deve, infatti, osservare che -per quanto emergente dallo stesso contenuto del ricorso (v., in particolare, pag. 4) la contestazione circa l’efficacia probatoria delle confutate riproduzioni era stata formulata del tutto genericamente, avendo il ricorrente, nell’atto introduttivo del giudizio di primo rado, dedotto che ‘grava sulla P.A. la dimostrazione della ritualità e tempestività delle comunicazioni e notifiche previste dalla legge, così come sulla stessa incombe l’onere di dimostrare (attraverso l’esibizione degli originali della relata di notifica e degli avvisi di ricevimento) la materiale consegna del plico a mani o spedito tramite il servizio postale’, così risolvendosi detta contestazione in una generica prospettazione dell’assunto mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del Prefetto (v. Cass. n.
17526/2016 e Cass. n. 12794/2021), prescindendo del tutto dalla fattispecie concreta.
6. Anche il secondo motivo è manifestamente privo di fondamento. Infatti, è da considerarsi ormai pacificamente acquisito nella giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cass. SU n. 9591/2006, seguita, tra le tante, da Cass. 8763/2010, Cass. n. 4363/2015 e Cass. n. 31239/2021) in principio secondo cui, i n tema di sanzioni amministrative, alla mancata previsione nella legge n. 689 del 1981 del termine per l’emissione dell’ordinanza -ingiunzione, non si può ovviare applicando quello, peraltro non perentorio, previsto per la conclusione del procedimento amministrativo dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 (originariamente trenta giorni, poi novanta a seguito della modifica apportata dal d.l. n. 35 del 2005, convertito nella legge n. 80 del 2005), in quanto la legge n. 689 del 1981 costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso in sede amministrativa, scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve.
Ne consegue che è applicabile il termine quinquennale di cui all’art. 28 della legge n. 689 del 1981, ancorché detta norma faccia letteralmente riferimento al termine per riscuotere le somme dovute per le violazioni (v., ad es., Cass. n. 17526/2009 e Cass. n. 21706/2018).
Il terzo ed ultimo motivo è pur esso manifestamente infondato, dovendo ribadirsi il principio generale già ricordato nella proposta ex art. 380-bis c.p.c., ovvero che, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo
scostamento e la misura di esso (cfr ., ex multis , Cass. n. 14198/2022).
Da ciò deriva che, nel caso di specie, le spese liquidate dal giudice di appello (nella misura di euro 800,00) sono state contenute entro il limite massimo tabellare (euro 994,00), atteso che, in materia di spese processuali, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore, il d.m. n. 55 del 2014 non prevede alcun compenso specifico per la fase istruttoria, ma prevede un compenso unitario per la fase di trattazione, che comprende anche quella istruttoria, con la conseguenza che nel computo dell’onorario deve essere compreso anche il compenso spettante per la fase istruttoria, a prescindere dal suo concreto svolgimento (v. Cass. n. 8561/2023 e Cass. n. 23630/2024).
8. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto.
In difetto di rituale costituzione dell’intimato Prefetto mediante controricorso, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, così come non può -pur in presenza della conformità della decisione alla proposta di cui all’art. 380 -bis c.p.c. -disporsi la condanna prevista dall’art. 96, comma 3, c.p.c., mentre trova applicazione quella al pagamento della somma indicata al successivo comma dello stesso articolo 96, quantificata nella misura di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c., della somma di euro 600,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile