Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1957 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1957 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
COGNOME NOME;
– intimato – avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di RAGIONE_SOCIALE n. 2040/2020 depositata il 08/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/05/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Con ricorso depositato innanzi al Giudice di Pace di Bari, NOME COGNOME -in proprio e nella sua qualità di l.r.p.t. della sRAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25010/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati BASILE ROSARIA (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE -chiedeva l’annullamento dell’ordinanza -ingiunzione n. 08/2011 del 17.01.2011 emessa dall’ufficio competente del Comune di Bari, con la quale il Comune chiedeva il pagamento di €5.025,80 a titolo di sanzione amministrativa per l’accertata violazione degli artt. 18, comma 4, e 27, comma 1, L.R. Puglia n. 11 del 2003 (Nuova disciplina del commercio) , ossia la mancata osservanza dell’obbligo di chiusura domenicale dell’esercizio commerciale gestito dal trasgressore, che effettuava vendita di prodotti alimentari, compresi prodotti da forno.
Con sentenza depositata il 30.11.2011, il Giudice di Pace di Bari rigettava l’opposizione. La pronuncia veniva, quindi, impugnata dal COGNOME innanzi al Tribunale di Bari il quale, con sentenza n. 2040/2020 accoglieva il gravame, e annullava l’ordinanza -ingiunzione del Comune di Bari n. 08/2011. A sostegno della sua decisione osservava il giudice che:
-risulta accertato che nell’esercizio degli appellanti si svolgevano attività commerciali di vendita di generi alimentari e attività di panificazione, entrambe ricadenti nell’obbligo di chiusura settimanale a norma dell’art. 8, comma 4, L.R. Puglia n. 11/2003 (vendita) e degli artt. 11, comma 4, 12 e 13 d.lgs. n. 114/1998;
-tuttavia, pur sussistendo l’illecito, si deve prendere atto che la L.R. n. 11 del 2003 è stata abrogata dall’art. 63 L.R. 24/2015, che all’art. 9 ha rimesso alla libera determinazione degli esercenti gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio;
non potendosi nel caso de quo escludere il carattere punitivo della sanzione in questione, né rinvenendosi esigenze di tutela di interessi di rango costituzionale, a mente delle sentenze della Corte Cost. n. 193
del 2016 e n. 63/2019 si deve riconoscere effetto retroattivo all’abrogazione di cui sopra.
Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione il Comune di Bari, affidandolo ad un unico motivo.
COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE restavano intimate.
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 63 della L.R. Puglia n. 24 del 2015, dell’art. 3 della Cost. e dell’art. 1 della legge n. 689/1981, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui attribuisce alla pronuncia della Corte Cost. n. 63/2019 l’introduzione di un principio generale di retroattività della sanzione amministrativa più favorevole. Nella ricostruzione del ricorrente, con la pronuncia citata la Consulta ha sancito l’applicabilità del principio del favor rei , di matrice penalistica, anche alle sanzioni amministrative di natura «punitiva», censurando una specifica disposizione di regime transitorio ( l’ art. 6, comma 2, d.lgs. n. 72/2015) nella parte in cui ha escluso l’applicazione retroattiva della diminuzione delle sanzioni amministrative previste per gli illeciti disciplinati dagli artt. 187bis e ter d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. Resta, dunque, ferma la piena applicazione dell’art. 1, legge n. 689/81, che dispone l’indiscriminata applicazione irretroattiva delle sanzioni amministrative, anche nel caso di modifiche in mitius (in assenza di disposizioni ad hoc di diritto transitorio che dispongano diversamente). In ogni caso, deve escludersi la natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative de qua , alla luce dei criteri RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Il motivo è fondato. Escluso il riconoscimento di alcun vincolo di matrice convenzionale ovvero costituzionale in ordine alla previsione generalizzata del principio della retroattività della legge più favorevole
(nella quale si sostanzia, nel ragionamento della sentenza impugnata, l’effetto abrogativo della L.R. n. 11 del 2003), da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative, neanche può dirsi sussistente un principio di inderogabilità assoluta della retroattività in mitius anche in materia di sanzioni afflittive non penali. Sul punto, è sufficiente rimettersi a quanto chiarito dalla Corte costituzionale, secondo la quale rispetto a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità «punitiva», il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della materia penale – ivi compreso, dunque, il principio di retroattività della lex mitior -potrà estendersi anche a tali sanzioni, nei limiti, tuttavia, dettati dalla stessa Corte costituzionale e dalla Corte EDU. La regola della retroattività in mitius della legge penale (e, quindi, di specifiche sanzioni amministrative con finalità punitiva) «è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli» (Corte Cost., sentenza n. 236 del 2011). La giurisprudenza costituzionale citata dal Tribunale barese (Corte Cost., sentenza n. 63 del 21.03.2019, punto 6.1.) giunge ad assegnare al principio della retroattività della lex mitior il limite della sua derogabilità.
1.1.1. Del resto, e la questione può ritenersi dirimente, deve escludersi la natura sostanzialmente punitiva della sanzione de qua alla luce dei «criteri RAGIONE_SOCIALE» che, a partire dalla celebre pronuncia della Corte EDU del 1976, RAGIONE_SOCIALE c. Paesi Bassi , sono stati suddivisi in un triplice ordine (e sono peraltro tra loro alternativi, non cumulativi): (a) la qualificazione giuridica formalmente amministrativa dell’illecito; (b) la natura effettiva della violazione, da valutarsi alla luce della struttura della norma (rivolta ad una platea specifica di destinatari) nonché della tipologia degli interessi oggetto di tutela (regolamentazione del mercato alimentare); (c) la natura e il grado di severità della sanzione,
desumibile dallo scopo della sanzione e dalla procedura prevista per la sua adozione (nel caso di specie, si tratta di sanzione non avente scopo retributivo, affidata ad una procedura amministrativa di irrogazione) e dalla sua gravità (nel caso di specie, limitata ad un valore economico contenuto). Cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19030 del 13/06/2022, Rv. 664993 -01.
1.1.2. In definitiva, trattandosi di illecito amministrativo, i principii di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell’analogia, di cui all’art. 1 della l. n. 689 del 1981, comportano l’assoggettamento del comportamento considerato alla legge del tempo in cui si è verificato e la conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore, anche se abrogatrice o più favorevole (Cass. sez. 2, 02.03.2023, n. 6295; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13336 del 28.04.2022, Rv. 664620 -01; Cass. sez. 2 18-6-2019 n. 16322).
1.2. Per scrupolo di completezza, occorre precisare che il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.R. Puglia n. 24/2015, poiché lo Stato ha competenza esclusiva in materia di concorrenza: in particolare, tra gli altri, ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 9, comma 4, e 13, comma 7, lett. c, che prevedono interventi regolativi degli «orari di apertura e di chiusura» degli esercizi commerciali, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di «tutela della concorrenza» (Corte cost. n. 239 del 2016).
1.2.1. Sulla scorta di questa premessa, con due ordinanze interlocutorie del 30 e del 18 giugno 2020 (rispettivamente, n. 13142 e n. 11808 del 2020), la Corte di cassazione, sezione seconda civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della Regione Puglia del 2003, n. 1 (come modificato e integrato
dall’art. 12 della legge della Regione Puglia 7 maggio 2008, n. 5, recante «Modifiche e integrazioni alla legge regionale 1° agosto 2003, n. 11»). Tale disposizione è stata censurata nelle parti in cui disciplina l’obbligo della chiusura domenicale degli esercizi di vendita al dettaglio e indica le fattispecie in cui è possibile derogarvi. Ponendo limiti e prescrizioni alle aperture domenicali, essa invaderebbe, ad avviso dei giudici rimettenti, la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela della concorrenza», ledendo quindi l’art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione, in quanto si porrebbe in contrasto con la previsione della piena liberalizzazione dei giorni di apertura degli esercizi commerciali introdotta dall’art. 3, comma 1, lettera dbis ), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, nella formulazione risultante dalle modifiche ad esso apportate dall’art. 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. Norma, questa, a mente della quale «le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: dbis ), il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio». I rimettenti, in sostanza, ritengono che il dedotto contrasto tra la disposizione regionale censurata e quella statale evocata comporti l’illegittimità costituzionale della prima sin dal momento del suo ingresso nell’ordinamento e, in particolare, nel
periodo precedente all’entrata in vigore (il 6 dicembre 2011) della menzionata norma statale. In questa prospettiva, l’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale, producendo gli effetti retroattivi di cui agli artt. 136, primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), inciderebbe anche sulle fattispecie oggetto dei processi a quibus .
1.2.2. Investita, dunque, della questione di legittimità costituzionale la Consulta, con sentenza 30.11.2021, n. 223, ha rigettato l’istanza. Non condividendo la prospettiva dalla quale muovevano le due ordinanze, secondo cui l’evocata norma statale, sopravvenuta nel 2011, costituisce parametro interposto idoneo, ratione temporis , a valutare la legittimità costituzionale di una disciplina legislativa regionale previgente, in quanto risalente a un arco temporale anteriore all’entrata in vigore del parametro stesso, le questioni così prospettate sono state dichiarate non fondate. La Corte costituzionale ha chiarito che, nel caso di successione nel tempo di discipline statali che costituiscono parametro interposto ai fini del riparto di competenza fra Stato e Regioni la valutazione della legittimità costituzionale di una norma regionale non può prescindere dalla considerazione del pertinente quadro normativo statale vigente al momento della sua entrata in vigore ( ex plurimis , sentenze n. 42 del 2021 e n. 5 del 2020). Pertanto, se, come nel caso in esame, nell’esercizio di una competenza esclusiva trasversale, lo Stato in un momento successivo introduce nuove e diverse previsioni, l’antinomia determina unicamente un vizio sopravvenuto di violazione del riparto di competenza tra Stato e Regioni e deve essere esclusa l’illegittimità della norma regionale per il periodo precedente l’insorgenza del vizio stesso.
L’intervento di un nuovo parametro statale, in sostanza, non produce l’illegittimità costituzionale della norma regionale per il suo intero arco di vigenza, ma solo con riguardo al periodo successivo all’entrata in vigore della novella statale (sentenze n. 189 del 2021, n. 70 del 2020 e n. 218 del 2017). Tale conclusione non è scalfita dal rilievo che le ordinanze di rimessione vorrebbero attribuire alla retroattività, sancita dagli artt. 136, primo comma, Cost. e 30, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, delle sentenze che pronunciano l’illegittimità di una norma di legge.
In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e, decidendo nel merito, l’opposizione deve essere respinta .
Stante il carattere controverso della questione, anche per gli interventi della Corte costituzionale, le spese dell’intero giudizio sono compensate integralmente.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’opposizione.
Spese integralmente compensate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione