Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3710 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3710 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19205/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente in via incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 30/2021 depositata il 05/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE emise nei confronti di COGNOME NOME un’ordinanza ingiunzione per il pagamento della somma di € 735.413,08, a titolo di concorso, ex art.5 della Legge n.689 del 1981, nella violazione amministrativa commessa da COGNOME NOME, che aveva fraudolentemente percepito indebiti contributi comunitari erogati dall’RAGIONE_SOCIALE.
La vicenda traeva origine da una complessa indagine nei confronti di più società che emettevano ed utilizzavano fatture per operazioni inesistenti, al fine di accedere ai contributi comunitari; dagli accertamenti svolti e dalle intercettazioni era emerso l’interessamento del COGNOME, dipendente dell’Agenzia RAGIONE_SOCIALE Entrate per garantire il buon esito RAGIONE_SOCIALE pratiche relative all’RAGIONE_SOCIALE; inoltre, nell’abitazione del COGNOME erano stati rinvenuti ordini di pagamento emessi dall’RAGIONE_SOCIALE in favore dell’RAGIONE_SOCIALE.
L’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione venne respinta dal Tribunale e la sentenza venne confermata dalla Corte d’appello di Roma.
La Corte d’appello rigettò la richiesta di sospensione del giudizio fino all’esito del procedimento penale, sulla base dell’art.3, comma 1 della Legge n. 898 del 1986, che non prevede alcun vincolo di pregiudizialità logica o necessaria rispetto al procedimento penale .
Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte d’appello ritenne insussistente la violazione dell’art. 4 L. 898/86 e dell’art.14 L.689/81 in quanto, ai fini della decorrenza del termine semestrale doveva
tenersi conto non della data dell’accertamento del fatto nella sua materialità ma dall’esito della valutazione degli accertamenti da parte dell’Autorità amministrativa competente a emettere la sanzione, che avevano richiesto, invece, un congruo periodo di tempo, in considerazione della loro complessità.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte di merito ritenne necessaria la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, ponendo una presunzione di colpa a carico di chi ha commesso la violazione; mentre, nel caso di specie, il COGNOME non aveva fornito elementi a discarico nel giudizio innanzi al Tribunale di Roma; al contrario, dagli accertamenti svolti era emerso che costui aveva reiteratamente accelerato le pratiche riguardanti l’RAGIONE_SOCIALE, a nulla rilevando la circostanza che non avesse cagionato un danno erariale.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso COGNOME NOME sulla base di quattro motivi.
Ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale il RAGIONE_SOCIALE sulla base di un unico motivo.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.295 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 e 4 c.p.c., oltre all’omessa ed apparente motivazione in ordine alla mancata sospensione del giudizio d’appello in attesa della definizione del procedimento penale, attesa la stretta connessione tra l’illecito
amministrativo e il reato. Secondo il ricorrente, la sanzione amministrativa deriverebbe dall’imputazione di corruzione, in quanto al COGNOME era stato contestato, ai sensi dell’art.5 della Legge n.689 del 1981, il concorso in corruzione e, in relazione a tale reato, la condanna del predetto era stata annullata con rinvio da parte della Corte di Cassazione.
Il motivo è infondato.
L’art.2, comma 1 della L. 898/86 prevede che: ‘Chiunque, mediante l’esposizione di dati o notizie falsi, consegue indebitamente, per sé o per altri, aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del RAGIONE_SOCIALE è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni’.
L’art.3 della L. 898/86 dispone che ‘indipendentemente dalla sanzione penale’ e qualunque sia l’importo indebitamente percepito, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell’art. 2 il percettore è tenuto, oltre alla restituzione dell’indebito, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’importo indebitamente percepito.
L’art.5 della L. 689/81 stabilisce che q uando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge.
Ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nell’illecito amministrativo, a norma dell’art. 5 l. 24 novembre 1981 n. 689, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile della violazione, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando l’illecito, senza la condotta di
agevolazione, sarebbe stato egualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà (Cassazione civile sez. I, 13/07/2006, n.15929).
Nel caso di specie, la Corte d’appello, con apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede, ha ravvisato una condotta del COGNOME agevolatrice nell’indebito conseguimento dei contributi da parte di COGNOME NOME, sicché non è era ravvisabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra il giudizio penale a carico di COGNOME NOME per il reato di corruzione ed il giudizio amministrativo per concorso nell’indebita percezione di contributi in favore dell’RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.4 L.898/86 e dell’art.14 L.689/81, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., oltre all’omessa valutazione di un punto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte d’appello dichiarato l’estinzione del giudizio per tardività della contestazione, che sarebbe avvenuta oltre sei mesi dall’accertamento dei fatti. Tale termine decorrerebbe dalla perquisizione domiciliare, avvenuta il 7.7.2004 o, al più tardi dal 12.7.2004, data in cui il RAGIONE_SOCIALETRAGIONE_SOCIALE Veneto aveva sollecitato alla Procura della Repubblica a richiedere la misura custodiale; nel caso di specie, invece, la notifica del verbale di contestazione sarebbe stato tardivamente notificato il 27.9.2005.
Il motivo è infondato.
Deve essere ribadito l’RAGIONE_SOCIALE di questa Corte, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, nel caso di mancata contestazione immediata dalla violazione, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il fatto nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo
necessario alla valutazione dei dati acquisiti e afferenti gli elementi, oggettivi e soggettivi, della infrazione, e, quindi, della fase finale di deliberazione correlata alla complessità RAGIONE_SOCIALE indagini, tese a riscontrare la sussistenza della infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita, sì da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione. Compete al giudice di merito, in caso di contrasto sul punto, determinare il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile, completa, conoscenza, individuando il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, l. n. 689 del 1981 (Cassazione civile sez. un., 31/10/2019, n.28210).
In tale ambito assumono rilievo tutte le complesse attività finalizzate all’accertamento, tra cui rientrano non solo gli atti di indagine effettuati, ma anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi già acquisiti, onde ritenerne l’incidenza e la sufficienza ai fini della completa disamina di tutti gli aspetti della fattispecie.
In definitiva, l’accertamento non coincide con la generica e approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento RAGIONE_SOCIALE indagini necessarie per riscontrare, secondo le modalità previste dall’articolo 13, l’esistenza di tutti gli elementi della infrazione, anche in relazione alla complessità o meno della fattispecie (Cassazione civile sez. II, 20/06/2018, n.16286).
La Corte d’appello ha correttamente ritenuto che, ai fini della decorrenza del termine semestrale non doveva tenersi conto della data dell’accertamento, né della perquisizione domiciliare, né del sollecito da parte della Guardia di Finanza alla Procura per l’adozione della misura cautelare; poiché si trattava di accertamenti complessi
per il numero dei soggetti indagati e l’entità dei contributi illegittimamente percepiti da COGNOME, la Corte ha ritenuto congruo il termine impiegato dall’autorità amministrativa competente ad emettere la sanzione.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L.898/86, dell’art.5 L.689/81 , artt.2697 c.c., 2727 c.c., artt.115 c.p.c. e 116 c.p.c,, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c. oltre all’omessa e apparente motivazione su un punto decisivo del giudizio costituito dalla sentenza di assoluzione emessa nei confronti del ricorrente dal reato di corruzione, che farebbe stato nel giudizio amministrativo. Il giudicato penale avrebbe escluso che il COGNOME accelerasse le pratiche di liquidazione dei contributi comunitari sicché, una volta ritenute inutilizzabili le dichiarazioni accusatorie rese dal coimputato, nessun’altra prova sussisterebbe a carico del ricorrente, essendo fumoso il contenuto RAGIONE_SOCIALE intercettazioni. Gli ordini di pagamento rinvenuti nel corso della perquisizione domiciliare sarebbero copie fotostatiche di atti amministrativi firmati e compiuti da soggetti nei cui confronti il COGNOME aveva avviato le pratiche istruttorie per l’ottenimento dei contributi. Detta documentazione sarebbe, peraltro, andata smarrita, impedendo al ricorrente una puntuale difesa in ordine alle contestazioni elevate nei suoi confronti. La sentenza sarebbe viziata da motivazione apparente perché priva di elementi specifici e puntuali in ordine al concorso del COGNOME nell’agevolazione della ditta RAGIONE_SOCIALE nella percezione dei contributi, avendo la Corte d’appello omesso di indicare una sola pratica dalla quale evincere il concorso nell’indebito percezione dei contributi.
Il motivo è infondato.
L’art.3 della L. 898/86 dispone che ‘indipendentemente dalla sanzione penale’ e qualunque sia l’importo indebitamente percepito, per il fatto indicato nei commi 1 e 2 dell’art. 2, il percettore è tenuto, oltre alla restituzione dell’indebito, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’importo indebitamente percepito.
In tema di sanzioni amministrative, l’art. 3 della l. n. 689 del 1981 pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, gravando sul trasgressore l’onere di provare di aver agito senza colpa ( Cass. Civ. , Sez. II, 26.9.2019, n.24081).
La Corte di merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha accertato che le dichiarazioni accusatorie del coimputato COGNOME in ordine al reato di corruzione, da cui il COGNOME era stato assolto in seguito alla dichiarazione di inutilizzabilità di dette dichiarazioni, costituivano uno degli elementi probatori della condotta illecita del ricorrente in ordine all’agevolato per la percezione dei contributi da parte dell’RAGIONE_SOCIALE. Dagli accertamenti di Polizia Tributaria e dalle intercettazioni telefoniche era, infatti, emerso il continuo interessamento del ricorrente per accelerare e garantire il buon esito RAGIONE_SOCIALE pratiche, né il COGNOME avrebbe fornito elementi a discarico.
Il motivo di ricorso, lungi dal censurare la violazione o la falsa interpretazione di legge, si limita a contestare in modo generico la valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie.
Infondata è, altresì, la doglianza relativa alla violazione dell’art. 115 c.p.c., che è ravvisabile solo ove il giudice abbia deciso in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, ponendo a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi
riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art.116 c.p.c.
Quanto alla dedotta violazione dell’art.116 c.p.c., essa è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art.360, comma 1, n.5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, n.20867).
Deve essere esaminato il ricorso incidentale.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.11 comma 1 RG 30.10.1933, n.1611 e dell’art.144 c.p.c., con riferimento all’art.91 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., perché il COGNOME avrebbe citato il RAGIONE_SOCIALE e non l’Avvocatura dello RAGIONE_SOCIALE; l’erroneità della notifica avrebbe avuto rilievo con riferimento all’omessa condanna dell’appellante alle spese di lite.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
L’atto di appello è stato erroneamente notificato all’amministrazione dello RAGIONE_SOCIALE e non all’Avvocatura dello RAGIONE_SOCIALE, come prescrive il R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, il quale stabilisce che “tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle amministrazioni dello RAGIONE_SOCIALE presso l’ufficio dell’Avvocatura dello RAGIONE_SOCIALE nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente’.
Va, però, rilevato che, nonostante l’erroneità della notifica, nessun pregiudizio è derivato al RAGIONE_SOCIALE che, in grado d’appello, non aveva svolto attività difensiva.
Considerata la parziale soccombenza RAGIONE_SOCIALE parti, le spese di lite, che si liquidano in dispositivo, vanno compensate tra le parti nella misura di 1/3 a carico del RAGIONE_SOCIALE e dei 2/3 a carico di COGNOME NOME.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità ponendole per 1/3 a carico del RAGIONE_SOCIALE e 2/3 a carico di COGNOME NOME e, per l’effetto condanna il ricorrente alle spese di lite nei confronti del controricorrente nella misura, così ridotta, di € 10.400,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione