Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21334 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21334 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26913 – 2021 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. prof. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso con gli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
PROVINCIA DI VERONA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Verona, presso l’avv. NOME COGNOME dalla quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3142/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, pubblicata il 15/3/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/10/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato in data 17/1/2018, NOME COGNOME titolare della azienda agricola esercente agriturismo «Camposilvano», in Comune di Velo Veronese (VR), propose opposizione, dinnanzi al Tribunale di Treviso, avverso l’ordinanza -ingiunzione 13 dicembre 2017 n. 347, pronunciata dalla Provincia di Verona nei suoi confronti per l’importo di Euro 19.250,00, a titolo di sanzione ex art. 28 comma 3 della legge regionale del Veneto n. 28 del 10 agosto 2012, per violazione dell’art. 8, comma 61, della st essa legge, secondo cui la somministrazione dei pasti alle persone non alloggiate degli esercizi agrituristici era ammessa soltanto stagionalmente e per un numero massimo di posti a sedere, pari a ottanta, qualora l’azienda agrituristica svolgesse attività per un massimo di centosessanta giorni di apertura all’anno e a sessanta qualora l’azienda agrituristica svolgesse attività per un massimo di duecentodieci giorni di apertura all’anno.
Con verbale del 15 maggio 2014, era stato infatti contestato che, in data 4 maggio 2014, in occasione di controllo svolto da agenti del Corpo di polizia provinciale presso l’agriturismo autorizzato a svolgere attività di alloggio e di ristorazione, era stato accertato l’allestimento di n. 161 «posti con coperti preparati», oltre a n. 12 posti già occupati, a fronte di n. 80 posti a sedere autorizzati.
Con sentenza n. 1704/2019, il Tribunale di Verona respinse l’opposizione; con sentenza n. 3142/2020, la Corte d’appello di Venezia confermò il rigetto, escludendo, per quel che qui ancora rileva, la
natura penale della sanzione applicata e ritenendo perciò, che alla fattispecie non fosse applicabile la modifica sopravvenuta dell’art.28 della legge regionale, attesa la norma transitoria e il generale principio di cui all’art. 1 l.689/1981, per cui il comportamento dev’essere valutato in riferimento alla legge del tempo in cui si è verificata la violazione; quindi, quanto alla condotta sanzionata, ritenne che, per la chiara formulazione della legge, per individuare la condotta in violazione dovesse farsi riferimento non al numero dei pasti preparati ma al numero dei posti a sedere apparecchiati.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi; la Provincia di Venezia ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha denunciato la violazione dell’art. 8 della legge regionale del Veneto n. 28 del 2012: la Corte d’appello di Venezia non avrebbe correttamente individuato il contenuto precettivo del comma 6 di quest’articolo nella sua originaria formulazione; dal complessivo tenore delle norme della legge regionale Veneto n. 28 del 2012, anche nella sua formulazione anteriore alla legge regionale Veneto n. 35 del 2013, si ricaverebbe, infatti, che l’attività di «somministrazione di pasti» rilevante ai fini della sanzione deve essere identificata come l’attività di «vendita dei pasti per il loro consumo sul posto»; pertanto, sebbene i limiti dell’attività di somministrazione di pasti siano stati individuati facendo riferimento al «numero massimo di posti a sedere», la sanzione amministrativa sarebbe collegata non all’apparecchiatura di un numero di posti a sedere superiore a quello concesso, ma all’effettiva vendita dei pasti
per l’asporto o il consumo sul posto; quel che dunque rileverebbe, in relazione alle suesposte corrispondenze tra le differenti nozioni di attività di somministrazione e vendita non è l’apparecchiatura del posto a sedere, ma necessariamente anche la corrispondente vendita del pasto o comunque il consumo sul posto da parte del commensale; in tal senso, la riscontrata apparecchiatura di un numero di posti superiore al previsto non integrerebbe una condotta rilevante.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 28 della legge regionale del Veneto n. 28 del 2012, in relazione agli art. 2 comma II, 3 e 4 cod. pen. e agli art. 3 e 117 Cost. per avere la Corte erroneamente escluso la natura penale della sanzione irrogata e, in conseguenza, l’applicabilità retroattiva delle norme sopravvenute a disciplinare la fattispecie sanzionata.
Il secondo motivo, da esaminarsi logicamente per primo per individuare la norma applicabile alla fattispecie, è infondato.
Per principio consolidato di questa Corte, l’equiparazione della sanzione amministrativa a quella penale non può essere effettuata in termini assoluti e astratti perché, al contrario, proprio la pronuncia della Corte europea risulta fortemente aderente ai connotati specifici della singola fattispecie concreta.
Ciò precisato, come chiaramente argomentato dalla Corte d’appello, perché ricorra la natura penale è necessario verificare se la sanzione comminata dalla Provincia di Verona abbia funzione punitiva secondo il complesso dei criteri enucleati dalla Corte di Strasburgo che, a tal fine, non è necessario ricorrano congiuntamente, perché alternativi e non cumulativi (CEDU, Engel and Others v. The Netherlands, Grande Camera 8/6/1976; Grande Stevens e RAGIONE_SOCIALE c. Italia , Sezione seconda 4/3/2014).
Nella specie, dunque, riscontrata la qualificazione di sanzione amministrativa operata dal diritto interno, deve escludersi la funzione repressiva/dissuasiva della norma per la generalità dei consociati, atteso che, come rilevato condivisibilmente dalla Co rte d’appello, la previsione è destinata a un ambito ristretto di operatori economici in funzione di una migliore organizzazione del mercato che li concerne, né appare «destinata, nelle intenzioni del legislatore, a eccedere in misura sproporzionata il valore del profitto in concreto conseguibile dall’autore, perché alla preparazione dei posti a sedere in numero superiore a quello consentito si accompagna presumibilmente l’effettiva somministrazione di altrettanti pasti, con il connesso e conseguente lucro; la previsione della misura della sanzione per numero di posti eccedenti assicura, quindi, la proporzione fra afflittività in concreto della norma e gravità della condotta sanzionata; a ciò deve aggiungersi, infine, l’assenza di sanzioni accessorie personali o reali.
Queste considerazioni escludono la natura penale della sanzione irrogata; conseguentemente, non risultando applicabile la legge più favorevole sopravvenuta, ex art. 3 legge n.689/81, la fattispecie resta regolata dalla norma in vigore al tempo della violaz ione, cioè l’art. 8 comma 6 della legge regionale Veneto n. 28/2012 nella formulazione a tale data.
Sul punto, deve infatti considerarsi che, come rilevato nella sentenza impugnata, l’art. 28 della l.r. 35/13 che ha modificato il comma 6 dell’art. 8 e il comma 3 dell’art. 24 ha previsto che la disciplina della determinazione del limite massimo annuo di offerta di pasti, spuntini e bevande delle attività di somministrazione di cui all’articolo 8 e all’articolo 10 della legge regionale 10 agosto 2012, n. 28, così come modificati rispettivamente dagli articoli 6 e 8 della presente legge, operasse a decorrere dalla data di pubblicazione sul
Bollettino ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento della Giunta regionale di cui al comma 1 bis dell’articolo 4 e al comma 3 dell’articolo 9 della legge regionale 10 agosto 2012, n. 28 così come modificati rispettivamente dagli articoli 4 e 7 della stessa legge.
La pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione del Veneto del provvedimento previsto dalla disposizione transitoria, che la Giunta regionale ha adottato con deliberazione n. 1483 del 05.08.2014, è avvenuta il 22.08.2014, sicché sino a tale data ha continuato a trovare applicazione la norma prevista dall’art. 28, comma 3 della l.r. n. 28 del 2012, nella sua formulazione originale; la fattispecie, pertanto, è regolata dalla norma nell’originaria formulazione, perché la violazione è stata accertata in data 4 maggio 2014.
2.1. Ciò stabilito, è infondato anche il primo motivo, concernente l’asserita erroneità della individuazione della condotta sanzionata.
L’opponente ha sostenuto che per la consumazione dell’illecito integrato dalla violazione dell’art. 8, comma sesto e sanzionato dal terzo comma dell’art. 28, anche prima delle modificazioni introdotte dalla l.r. n. 35/2013, fosse necessario che all’apparecchiatura dei posti a sedere in numero superiore a quello autorizzato dovesse accompagnarsi l’effettiva somministrazione dei pasti ai clienti.
La ricostruzione della fattispecie vietata non può essere condivisa.
È vero, infatti, che l’art. 8 fissava, al comma 6, il limite della somministrazione stagionale dei pasti in relazione al numero massimo di posti a sedere, ma è vero altresì che, inequivocabilmente, l’art.28 comma 3 prevedeva, al comma terzo, che i titolari di aziende agrituristiche o ittituristiche che, in sede di controllo, risultassero aver superato il numero massimo di posti a sedere, fossero assoggettati a una sanzione amministrativa di euro duecentocinquanta moltiplicata
per il numero di posti a sedere superiore a quello autorizzato, come specificato nella SCIA di cui all’articolo 24.
Come rilevato dalla Corte d’appello e in senso opposto da quanto sostenuto dal ricorrente, la lettera della legge è chiara laddove utilizza la locuzione «posti a sedere» e non «pasti somministrati» o «venduti», avendo già utilizzato nella costruzione delle norme precettive e sanzionatorie entrambe le espressioni verbali in senso differente, perché ha individuato con la prima delle due locuzioni il limite di legittimità della situazione descritta dalla seconda.
Per principio consolidato, il tenore letterale, per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca del senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, rappresenta il criterio cardine nella interpretazione della legge e concorre alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie.
Ove l’interpretazione letterale sia sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il significato e la portata precettiva di una norma di legge o regolamentare, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario della mens legis che acquista un ruolo paritetico e comprimario rispetto al criterio letterale soltanto nel caso in cui, nonostante l’impiego del criterio letterale e del criterio teleologico singolarmente considerati, la lettera della norma rimanga ambigua (cfr., in ultimo, Sez. 3, n. 24165 del 04/10/2018).
Quel che dunque la norma vigente all’epoca dei fatti ha ritenuto rilevante, al fine dell’accertamento del superamento del limite di somministrazione consentito, è stata proprio l’apparecchiatura di posti in numero superiore al prefissato perché alla predisposizione di quel numero di posti poteva agevolmente presumersi corrispondente il numero di pasti somministrati.
L’individuazione del numero dei «posti a sedere», in altri termini, ha costituito, per il legislatore regionale del 2012, un indice certo e di immediata percezione che più agevolmente, rispetto al numero dei «pasti somministrati», consentiva di controllare che la ristorazione agrituristica non assumesse caratteristiche e dimensioni tipiche di una attività commerciale di ristorazione, non in corretta concorrenza con imprese che operano in regime ordinario, senza beneficiare delle stesse agevolazioni fiscali, contributive, finanziarie, amministrative.
D’altro canto, né dalla sentenza impugnata né dall’argomentazione del ricorso risulta che il ricorrente abbia offerto una spiegazione dell’apparecchiatura dei posti che permettesse di individuare una funzione diversa da quella di consentire il consumo del pasto o del prodotto fornito dall’azienda e, dunque, prima ancora, l’attività di somministrazione come definita al comma primo dell’art. 8.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore della Provincia di Verona, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore della Provincia di Verona, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione