Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22327 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22327 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
AFFITTO AGRARIO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4060/2022 R.G. proposto da BANCA DEL RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata –
avverso la sentenza n. 1275/2021 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE -SEZIONE SPECIALIZZATA AGRARIA, depositata il giorno 2 agosto 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Banca del Territorio Lombardo Credito Cooperativo -società cooperativa (in appresso, per brevità: B.T.L.), creditrice della società agricola RAGIONE_SOCIALE pignorò, nelle forme di cui all’art. 543 cod. proc. civ., i crediti di quest’ultima nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, causalmente ascritti a canoni di affitto di fondo rustico e di affitto di ramo di azienda.
All’esito del procedimento espropriativo , venne emessa in favore della B.T.L. ordinanza di assegnazione degli importi dovuti per tali causali dal terzo pignorato affittuario al debitore esecutato affittante, in misura pari, per il canone mensile di affitto di fondo, ad euro 1.500.
Verificatosi il mancato pagamento dei canoni per le mensilità di marzo, aprile e maggio 2020, la B.T.L., agendo in surrogatoria ai sensi dell’art. 2900 cod. civ., domandò al Tribunale di Pisa -sezione specializzata agraria la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, ritenendo integrata la risoluzione di diritto per clausola risolutiva espressa pattiziamente convenuta.
Nel costituirsi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE, formulò istanza per la concessione di termine per la sanatoria della morosità, che venne accordato dal giudice.
Alla successiva udienza, riscontrato l’avvenuto pagamento della complessiva somma di euro 5.754, la B.RAGIONE_SOCIALE. contestò la satisfattività della stessa, siccome non comprensiva degli interessi legali dovuti nella misura stabilita dall’art. 1284, quarto comma, cod. civ.
r.g. n. 4060/2022 Cons. est. NOME COGNOME
A definizione del giudizio di prime cure, il Tribunale di Pisa -sezione specializzata agraria, considerata la somma versata inidonea alla sanatoria integrale della morosità in quanto non inclusiva degli interessi al saggio di cui all’art. 1284, quarto comma, cod. civ., dichiarò la risoluzione del contratto di affitto, con condanna al rilascio del fondo.
La decisione in epigrafe indicata ha accolto l’appello interposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e, in riforma della prima sentenza, rigettato l’originaria domanda della B.T.L. , disponendo la compensazione integrale delle spese dei due gradi di giudizio.
Per quanto ancora qui d’interesse, la Corte fiorentina ha ritenuto:
) la clausola contrattuale prevedente la risoluzione di diritto dell’affitto in caso di omesso pagamento di tre canoni consecutivi come non ostativa alla concessione del termine di grazia per la sanatoria giudiziale della morosità prevista da apposita norma processuale;
-) l’importo versato interamente satisfattivo, dovendosi computare gli interessi al tasso legale ex art. 1284, primo comma, cod. civ., in difetto della proposizione di una domanda giudiziale di pagamento dei canoni, presupposto per l’applicazione del tasso maggiorato previsto dal quarto comma del medesimo art. 1284.
Ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi.
Resiste, con controricorso, dispiegando altresì ricorso incidentale articolato in tre motivi RAGIONE_SOCIALE Cenaia RAGIONE_SOCIALE Resta intimata la società agricola RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione dell’art. 1456 cod. civ., in relazione agli artt. 1362 e 1375 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ..
Deduce, in estrema sintesi, che alcune clausole del contratto di affitto (segnatamente, la n. 4 e la n. 13), prevedenti la risoluzione di diritto del contratto ex art. 1456 cod. civ. in caso di mancato o ritardato
r.g. n. 4060/2022 Cons. est. NOME COGNOME
pagamento di almeno tre canoni consecutivi, erano espressione della volontà dei contraenti di rinunciare alla disciplina della sanatoria dell’inadempimento.
Sostiene altresì che « avendo la parte attrice chiesto, in principalità, pronuncia di sentenza dichiarativa della risoluzione già avvenuta e non costitutiva la sanatoria della morosità non poteva dispiegare alcun effetto » e il termine di grazia non andava concesso.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
1.1. Inammissibile là dove prospetta l’esistenza di una rinuncia convenzionale alla sanatoria giudiziale della morosità: trattasi, invero, di questione nuova, dedotta per la prima volta in sede di legittimità.
Di siffatta questione -non affrontata e nemmeno menzionata come costituente il thema decidendum nella sentenza gravata – la ricorrente ha omesso di specificare l’avvenuta proposizione davanti al giudice di merito della questione e di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito: e tanto rende inammissibile il motivo di impugnazione di legittimità ( ex multis, Cass. 17/11/2022, n. 33925; Cass. 30/01/2020, n. 2193; Cass. 13/08/2018, n. 20712; Cass. 06/06/2018, n. 14477).
1.2. Infondato là dove ritiene l’inoperatività del meccanismo giudiziale di sanatoria della morosità nel caso di domanda di risoluzione del contratto fondata su clausola risolutiva espressa.
Sul punto, conforme a diritto è l’argomentazione svolta dal giudice territoriale, per vero soltanto genericamente avversata dalla ricorrente.
La compatibilità dell’istituto della sanatoria della morosità con la clausola risolutiva espressa costituisce affermazione consolidata nella giurisprudenza di nomofilachia, pur con riferimento alla previsione dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 concernente rapporti di locazione: con la precisazione che, formulata istanza di termine di
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grazia, l’efficacia della clausola risolutiva espressa invocata dal locatore rimane sospesa, divenendo definitivamente inefficace ove il conduttore sani effettivamente la morosità (Cass. 16/11/1993, n. 11284; Cass. 07/05/1991, n. 5031; Cass. 27/11/1986, n. 6995).
Eguale principio non può che trovare applicazione ove venga in rilievo clausola risolutiva pattuita per un contratto di affitto agrario.
La conclusione si giustifica non soltanto per la evidente omologia dei contratti in questione, ma anche in forza dello specifico disposto dell’art. 11, ottavo comma, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150.
Questa norma accorda infatti all’affittuario la possibilità di sanare la morosità nel termine concesso dal giudice ogni qualvolta venga « convenuto in giudizio per morosità »: formulazione ampia e generale, che ricomprende ogni ipotesi di deduzione in lite di inadempimento del pagamento dei canoni, cioè a dire che si attaglia a qualsivoglia azione di risoluzione del contratto, sia se esercitata ai sensi dell’art. 1453 cod. civ. sia se promossa invocando una fattispecie di risoluzione c.d. di diritto, per termine essenziale, diffida ad adempiere oppure – come nella specie – in forza di clausola risolutiva espressa.
Inoltre, indipendentemente dal rilievo assorbente della inderogabilità della norma in quanto -almeno in via diretta processuale, la stessa previsione della concessione a mera richiesta del convenuto sottende che la norma deve trovare applicazione pure nelle dette ipotesi, concernendo una sorta di diritto potestativo dell’affittuario di elidere le conseguenze della risoluzione anche verificatasi di diritto.
Con il secondo motivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1284, quarto comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., parte ricorrente assume la debenza, nella specie, degli interessi previsti dalla norma citata sui canoni non corrisposti, dacché l’obbligazione pecuniaria, di matrice contrattuale,
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era stata dedotta in giudizio e posta a fondamento della domanda di risoluzione del contratto.
Censura pertanto la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto integralmente sanata la morosità mediante la corresponsione degli interessi al saggio di cui al primo comma dell’art. 1284 cod. civ..
2.1. Il motivo è infondato.
Ai fini della inapplicabilità al caso di specie del saggio di interessi fissato dall’art. 1284, quarto comma, cod. civ. valenza dirimente assume, ancora una volta, l’art. 11, ottavo comma, del d.lgs. n. 150 del 2011, nella parte in cui stabilisce che « il giudice, alla prima udienza, concede al convenuto stesso un termine per il pagamento dei canoni scaduti, i quali, con l ‘ instaurazione del giudizio, vengono rivalutati, fin dall ‘ origine, in base alle variazioni del valore della moneta secondo gli indici ISTAT e maggiorati degli interessi di legge ».
Per l’ipotesi di domanda di risoluzione del contratto di affitto per morosità, la trascritta disposizione pone una disciplina speciale circa gli accessori da corrispondere sui canoni scaduti onde conseguire la sanatoria da parte del conduttore: sancisce infatti la necessità, a tal fine, della corresponsione sulla sorte capitale dell’incremento a titolo di rivalutazione (dal momento di proposizione della lite) ed altresì della maggiorazione degli interessi al tasso di legge.
La specialità della norma si ravvisa proprio nella previsione della debenza della rivalutazione, automatica ed ipso iure , sulle somme dovute dall’affittuario (con la peculiare decorrenza stabilita) in aggiunta ai frutti civili normalmente prodotti dalle stesse, ovvero gli interessi dalle scadenze dei canoni: diversamente da quanto prescritto dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978 il quale, per la sanatoria giudiziale della morosità per canoni di locazione, impone al conduttore unicamente il pagamento degli interessi legali maturati sulle pigioni.
Una lex specialis , dunque, ispirata a finalità di più pregnante tutela della parte affittante, che connota l ‘obbligazione pecuniaria gravante sull’affittuario qualora dedotta a fondamento di un’azione di risoluzione del contratto e che, in ragione della evidenziata natura e per un equo contemperamento delle contrapposte situazioni, esclude l’ applicabilità del saggio di interessi ex art. 1284, quarto comma, cod. civ., limitando gli interessi dovuti sui canoni di affitto non pagati alla misura del minore tasso fissato dal primo comma di siffatto articolo.
Ma tanto – è doveroso puntualizzarlo – con esclusivo riferimento alla evenienza della sanatoria giudiziale della morosità per canoni di affitto agrario, trovando invece nuovamente spazio operativo il saggio c.d. superlegale degli interessi ove l’affittante – pure congiuntamente alla richiesta di risoluzione del contratto – formuli specifica domanda giudiziale di pagamento dei canoni insoluti.
D’altro canto, il quarto comma dell’art. 1284 cod. civ., esigendo la domanda giudiziale come presupposto per l’applicabilità del saggio maggiorato, non può che riferirla alla domanda diretta ad ottenere gli interessi stessi: domanda che, nel caso, non era stata avanzata.
Comunque, lo si osserva ad abundantiam , se pure vi fosse stata, non avrebbe potuto assumere rilievo ai fini dell’applicazione della norma del comma 8 dell’art. 11: esso, quando fa riferimento come oggetto della morosità ai canoni scaduti e ne prevede la corresponsione, stabilisce la rivalutazione secondo gli indici ISTAT dal momento dell’instaurazione del giudizio e la maggiorazione degli interessi di legge. Detta, dunque, una disciplina speciale che, facendo riferimento all’instaurazione del giudizio non può non fare riferimento al giudizio relativo alla risoluzione e, dunque, alla relativa domanda, che non è quella di pagamento dei canoni. Con l’espressione interesse di legge non può che alludere al primo comma dell’art. 1284. Il tutto, naturalmente, ai fini della sanatoria della morosità. Ove, poi, vi sia,
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congiunta con la domanda di risoluzione quella di condanna al pagamento dei canoni insoluti, in tal caso, semmai sarebbe predicabile che, ferma la rilevanza del solo comma 8 ai fini della sanatoria, il concedente possa avere diritto al di più quanto aglio interessi, ma sempre se ci sia una domanda.
Ai fini della sanatoria -questo è quello si vuol dire e rileverebbe nel nostro caso, in cui la problematica concerna la domanda di risoluzione -assume rilievo assorbente, come sì è detto, la lex specialis del comma 8 dell’art. 11.
Per le illustrate considerazioni – anche ad integrazione ed emenda della motivazione della sentenza gravata -nella vicenda in scrutinio la pretesa dell’affittante, odierno ricorrente, ad ottenere gli interessi ex art. 1284, quarto comma, cod. civ. sui canoni insoluti posti alla base della istanza di risoluzione dell’affitto è destituita di fondamento, sicché – non essendo stata sollevata questione sulla corresponsione della rivalutazione su tali canoni -va confermata la sanatoria della morosità dichiarata dalla Corte territoriale.
Il rigetto del ricorso principale importa l’assorbimento dei primi due motivi del ricorso incidentale, costituenti la mera riproposizione di motivi di appello formulati dalla qui ricorrente incidentale ma rimasti assorbiti dall’accoglimento di altro, pregiudiziale, profilo dell’appello: la conferma del capo principale della sentenza di appello rende infatti superfluo l’esame di tali doglianze.
Il terzo motivo del ricorso incidentale, per « violazione dei princìpi di buona fede e ragionevolezza e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. » critica la statuizione di compensazione delle spese di lite, assumendo che nella specie non si configuri alcuna delle ipotesi che consente la deroga al principio della soccombenza.
4.1. Il motivo è infondato.
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La Corte territoriale ha individuato nel contegno processuale serbato dalla società affittuaria (segnatamente, l’essersi « determinata ad effettuare i pagamenti solo dopo l’introduzione del giudizio ») gravi ed eccezionali ragioni giustificanti la compensazione, per l’intero, delle spese processuali del doppio grado di merito.
Avuto riguardo ai limiti di sindacabilità in àmbito di legittimità della corretta applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., si tratta di una motivazione non illogica né manifestamente erronea: per un verso, la causazione del giudizio era ab origine riconducibile all’inadempimento della resistente (qui ricorrente incidentale); per altro verso, il mancato accoglimento della domanda di risoluzione è stato generato dall’esercizio lite pendente della facoltà di sanatoria della morosità riconosciuta dall’art. 11, ottavo comma, del d.lgs. n. 150 del 2011.
In definitiva: sono rigettati tanto il ricorso principale quanto il ricorso incidentale.
La reciproca soccombenza e la novità della questione inerente agli interessi dovuti in caso di sanatoria giudiziale della morosità per canoni di affitto agrario giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
L’oggetto della controversia (concernente un affitto agrario) esclude l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per cui si dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte di ciascun ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il relativo ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno 13 maggio 2025.
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Il Presidente NOME COGNOME