Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11232 Anno 2025
sul ricorso 4124/2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11232 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 4825/2019 depositata il 06/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/3/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME nella sua qualità di fideiussore della Sthal Beton, ricorre per cassazione, sulla base di cinque motivi, seguiti da memoria, ai quali resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso, quale cessionaria ex art. 58 TUB del credito azionato, avverso la sopra riportata sentenza con la quale la Corte di appello di Venezia, pronunciando sul gravame interposto dal COGNOME avverso l’impugnata decisione di primo grado che ne aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo notificatogli dalla banca a fronte dello scoperto di conto imputato alla società debitrice, confermata nel resto ogni altra diversa statuizione, ha accolto il proposto atto di impugnazione limitatamente al computo degli interessi anatocistici antecedenti al terzo trimestre dell’anno 2000.
Per quel che qui ancora rileva, la Corte decidente nell’occasione ha inteso uniformarsi in principio alle risultanze peritali in punto alla quantificazione del credito azionato sul presupposto che «la rappresentazione contabile del rapporto è stata fornita in giudizio dallo stesso appellante, che ha depositato in sede di opposizione al decreto ingiuntivo una perizia di parte (doc. 2 fascicolo appellante) nella quale risultano puntualmente riportate le annotazioni in conto credito ed a debito della correntista, ciò che ha consentito (oltre che al consulente di parte) anche al Ctu di procedere, in base a dette incontestate evidenze contabili, alla ricostruzione del rapporto e alla rideterminazione del saldo». Saldo, che trova peraltro conferma -aggiunge ancora il decidente -con il non secondario effetto di
rendere così superfluo il richiesto ricorso al criterio del “saldo zero”, nella «dichiarazione ricognitiva» del debito indirizzata alla banca dalla debitrice al fine di richiedere una dilazione nei tempi di rientro. Il giudice territoriale ha, poi, ancora disatteso le doglianze in punto all’applicazione nella specie della disciplina antiusura sul rilievo che il rapporto aveva avuto origine nel 1994 «ciò che rende inapplicabile alle pattuizioni originarie, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1815, secondo comma, c.c., la disciplina in materia di usura introdotta con la l. 108/1996»; e la doglianza in punto all’applicazione di interessi anatocistici per il periodo successivo, giudicandola legittima «a seguito dell’adeguamento alla delibera CICR 9.2.2000».
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata decisione di appello con riguardo all’art. 2697 cod. civ. perché la Corte territoriale, riconoscendo nei limiti di quanto deciso la fondatezza della pretesa creditoria, avrebbe disatteso i principi giurisprudenziali in guisa dei quali si rende necessario che la domanda della banca sia suffragata dall’integrale produzione in giudizio degli estratti conto relativi alla posizione, imponendosi diversamente il ricorso al criterio del “saldo zero” -è infondato e può essere disatteso.
Questa Corte ha da tempo enunciato il principio che nei casi in cui sia accertata l’invalidità di talune pattuizioni presenti nei contratti bancari influenti nella determinazione del saldo, sebbene la produzione in giudizio degli estratti conto costituisca di regola una prova privilegiata, nondimeno la pretesa azionata, laddove si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, non possa per questo rigettarsi, all’individuazione del saldo finale, non essendo questa prova legale esclusiva, potendo infatti addivenirsi anche con l’impiego di ulteriori mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe
e complete (Cass., Sez. I, 19/07/2021, n. 20621), che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto (Cass., Sez. I, 2/05/2019, n. 11543), a cominciare, tra l’altro, dalle contabili bancarie riferite alle singole operazioni o dalle altre risultanze comunque emergenti dalle scritture bancarie (Cass., Sez. I, 27/12/2022, n. 37800) e senza escludere gli argomenti di prova desunti pure dalla condotta processuale tenuta dalle parti (Cass., Sez. I, 4/04/2019, n. 9526), il tutto nel quadro di quella più generale ripartizione dell’onere probatorio che identifica nel criterio dell’azzeramento del saldo un rimedio residuale a cui ricorrere solo quando il saldo non sia altrimenti documentabile (Cass., Sez. I, 17/01/2024, n. 1763).
A questo indirizzo si è esattamente attenuto il decidente del grado laddove, da un lato, ha inteso valorizzare, in difetto appunto di una compiuta produzione documentale a supporto della pretesa monitoria esercitata dalla banca, le risultanze contabili riepilogate nella consulenza prodotta dalla parte, trasfuse nella CTU, in uno con la dichiarazione ricognitiva del debito a cui aveva proceduto l’obbligato principale instando la banca creditrice per una dilazione nei tempi di rientro; e, dall’altro, ha dato atto che la ricostruzione cosi operata rendeva superfluo, escludendo «in radice» il corrispondente assunto dell’appellante, il ricorso al criterio del “saldo zero”.
La critica formulata con il motivo non coglie dunque nel segno.
Il secondo motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata decisione di appello per violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. perché la Corte territoriale, riconoscendo nei limiti di quanto deciso la fondatezza della pretesa creditoria, avrebbe erroneamente riscontrato un riconoscimento di debito avente ad oggetto il saldo debitorio allegato dalla banca in quella che era solo una mera
richiesta della debitrice di dilazione dei tempi di rientro imposti dalla banca -è inammissibile per difetto di interesse.
Posto che, come visto, la censurata affermazione della Corte di appello circa la riconosciuta fondatezza del credito azionato dalla banca trova conforto, oltre che nell’argomento qui oggetto di contestazione, anche nella diversa considerazione che in tal senso andavano intese anche le risultanze contabile riepilogatamente compendiate nella relazione del consulente di parte dell’impugnante, si impone, di conseguenza, la regolazione del punto, in ragione del già pronunciato rigetto del primo motivo di ricorso, alla luce del chiaro principio più volte ricordato da questa Corte secondo cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi -e cosi il rigetto pronunciato riguardo ad una di esse -rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 18/09/2006, n. 20118)
4. Il terzo motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata decisione di appello per violazione dell’art. 117 TUB perché la Corte territoriale, facendo proprie le determinazioni nel CTU nella quantificazione delle rispettive partite a credito e a debito, avrebbe condiviso l’errore di questo nell’aver riconosciuto in favore della banca interessi ultralegali anche con riferimento alla vigenza di un pregresso contratto regolante i rapporti tra le parti, supplendo alla mancanza del relativo documento con l’indicarne la misura in quella
relativa al corrispondente tasso soglia -è inammissibile per evidente novità della questione.
Il motivo -che già contravviene alle più elementari regole di censurabilità per cassazione del preteso errore di diritto in cui sarebbe incorsa la decisione impugnata, dato che non se ne contesta alcuna esplicita affermazione, quando al riguardo è imperativo nomofilattico che la censura in parola si debba dedurre mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 29/11/2016, 24298) -solleva in questa sede una questione che non ha formato oggetto di alcuna trattazione nelle pregresse fasi di merito, sebbene, trattandosi di un rilievo originato, a quel che pare, dalla disamina della CTU, la CTU fosse stata posta a base della prima sentenza di merito, come si evince infatti dalla declinazione del primo motivo di appello.
Si impone perciò al riguardo la regolazione del punto in discussione in applicazione del chiaro principio più volte enunciato da questa Corte, secondo cui non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito ( ex plurimis , Cass., Sez.I, 25/10/2017 n. 25319), in quanto il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto ivi proposte ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 26/03/2012, n. 4787).
Il quarto motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata decisione di appello per violazione dell’art. 1815 cod. civ. perché la Corte territoriale, respingendo la doglianza in punto all’usurarietà
dei tassi applicati al rapporto in quanto il rapporto era sorto prima dell’approvazione della relativa disciplina di legge, non avrebbe considerato che al primo rapporto ne era seguito un secondo sorto invece in vigenza della citata disciplina -è inammissibile per evidente estraneità al parametro normativo evocato.
Posto che, come si dianzi ricordato, la denuncia dell’errore di diritto impone che le affermazioni oggetto di critica contenute nella sentenza impugnata siano motivatamente censurate mediante argomentazioni specificatamente indirizzate a dimostrare in che modo il giudizio di diritto articolato dal decidente violi la legge o ne importi una falsa applicazione -sì che non vi rientra l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 14/01/2019, n. 640) -va più generalmente osservato, a tacitazione di ogni superstite riserva, che il controllo che la Corte di Cassazione è chiamata ad esercitare in funzione della legalità della decisione «non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 6/03/2019, n. 6519), così come a sua volta il controllo di logicità «non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo -come appunto qui -alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito ( ex plurimis , Cass., Sez. II, 19/07/2021, n. 20553).
Questi essendo, dunque, i limiti del sindacato di legittimità, la censura qui declinata esula comunque da essi.
6. Il quinto motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata decisione di appello per violazione dell’art. 1283 cod. civ. e degli artt. 117 e 120 TUB perché la Corte territoriale, respingendo la doglianza in punto di anatocismo anche per il periodo successivo al terzo trimestre del 2000 in quanto successivamente il rapporto risultava regolato in adesione alle indicazioni della delibera CICR 9.2.2000, si sarebbe astenuta dal verificare se, a seguito della mera pubblicazione sulla G.U. delle nuove condizioni in materia, vi fosse stato un peggioramento in ragione del quale si sarebbe perciò resa necessaria un’approvazione per iscritto del regime novellato -è doppiamente inammissibile per difetto di specificità e per novità della questione.
Vale, invero, osservare sotto il primo aspetto che, per come è formulato, il motivo -in cui si prospetta un errore di diritto, ma non se ne specifica il contenuto -viene meno all’onere di specificità dei motivi in ragione del quale si impone al ricorrente, che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, sicché non può demandarsi alla Corte di Cassazione, di fronte ad una denuncia astratta e puramente esplorativa, il compito di individuare essa se sussista o meno la pretesa violazione (Cass., Sez. U, 28/10/2020, n. 23745). Nondimeno, sotto il secondo aspetto, il motivo incorre pure nella preclusione discendente, per le ragioni cui si è fatto cenno sopra, dalla novità della questione sollevata, posto che, sebbene la questione dell’anatocismo abbia di certo costituito materia di pregressa trattazione, il profilo specifico su cui verte l’odierna
censura -ossia che la capitalizzazione non aveva formato, nella specie, oggetto di approvazione specifica, ancorché la sua regolamentazione fosse peggiorativa -non consta che sia stato mai affrontato nei gradi di merito, onde anche per questa ragione ne è precluso l’esame qui richiesto.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di parte resistente in euro 12200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il