Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8307 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8307 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1125/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
sul controricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME
(CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende -ricorrente incidentale- contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente al ricorso incidentaleavverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2578/2012 depositata il 29/05/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha convenuto nel 2005 RAGIONE_SOCIALE davanti al Tribunale di Roma per chiederne la condanna alla restituzione tra quanto oggetto di cessione di credito pro solvendo in favore della convenuta in data 6 aprile 1993 – credito già vantato dall’attrice nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in Concordato preventivo e comprensivo di interessi maturati alla data dei pagamenti della sorte capitale – e gli importi già addebitati per affidamenti e regolati in conto corrente; in particolare, si trattava degli importi risultanti dalle facilitazioni bancarie di cui godeva l’attrice regolati sul c/c n. 7385, già acceso dal 1980 presso la filiale di Foligno e passato a sofferenza in data 2 settembre 2004 . L’attrice ha chiesto , inoltre, accertarsi l’indebita applicazione di interessi e spese non dovuti, con condanna alla restituzione dell’indebito oggettivo .
In particolare, la società attrice ha dedotto -quanto alla prima domanda – che la suddetta cessione di credito, dell’importo di
n. 1125/2021 R.G.
vecchie Lit. 27.910.869.431, estinta in sorte capitale tra il 24 marzo e il 1° settembre 1994, avesse ad oggetto anche la quota di interessi maturati e maturandi al tasso del 16,75%, i quali erano stati oggetto di indebita rinuncia da parte della cessionaria; ha dedotto l’inopponibilità della rinuncia al cedente e ha chiesto la restituzione degli importi oggetto di rinuncia. In relazione alla seconda domanda, l’attrice ha dedotto la nullità delle clausole contrattuali in tema di maturazione degli interessi convenzionali (ultralegali) e di capitalizzazione degli interessi, con conseguente rideterminazione dei saldi.
Il Tribunale di Roma ha rigettato le domande relative alla cessione del credito e ha accolto parzialmente la domanda relativa all’indebito oggettivo , accertando la nullità della pattuizione ultralegale degli interessi e della clausola anatocistica.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza non definitiva, ha rigettato l’appello incidentale della banca e ha parzialmente accolto l’appello principale della società correntista. Ha ritenuto il giudice di appello -in relazione all’ appello incidentale della banca, per quanto qui rileva -che, quanto alla decorrenza della prescrizione relativa all’azione di indebito oggettivo in punto interessi , la prescrizione decorre dalla estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati, stante la declaratoria di incostituzionalità della norma interpretativa di cui a ll’art. 2, comma 61, d.l. n. 225/2010, confermando il giudizio tratto dal giudice di primo grado relativo alla natura delle rimesse, meramente ripristinatoria della provvista.
Quanto all’appello principale della società correntista, la sentenza impugnata -per quanto qui rileva – ha ritenuto prescritti i diritti relativi alla cessione del credito già vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, atteso che l’estinzione della sorte capitale era avvenuta in data
1° settembre 1994 e il primo atto di interruzione risale al 26 ottobre 2004. Ha, poi, ritenuto che il conto anticipi su cui erano affluite le somme derivanti dalla cessione di credito e il conto corrente ove era depositato il residuo dovevano ritenersi conti autonomi in conformità a quanto rilevato dal CTU, confermando la prescrizione dei diritti connessi alla cessione di credito all’atto della chiusura del conto anticipi « all’uopo costituito ». Sulla base di tale accertamento in fatto, è stata, inoltre, confermata la sentenza di primo grado in punto quantificazione del credito della società attrice in € 391.395,42 .
Propone ricorso la società, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste la banca con controricorso, la quale propone a sua volta ricorso incidentale affidato a un unico motivo , corredati anch’essi da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1260, 1198 cod. civ., nonché dell’art. 1844, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 2935 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto prescritti i diritti derivanti dalla cessione pro solvendo in forza della circostanza in fatto che il primo atto di contestazione fosse successivo di oltre dieci anni rispetto all’ultimo p agamento del credito ceduto.
Osserva, in proposito, parte ricorrente principale che il giudice di appello, avrebbe qualificato la cessione di credito pro solvendo a scopo di garanzia, ma avrebbe fatto applicazione della disciplina della cessione pro solvendo a titolo di adempimento, con finalità solutoria. La natura di cessione di credito a scopo di garanzia deriverebbe dall’interpretazione dell’ art. 6 del rogito del 6 aprile 1993, con riferimento a diverse facilitazioni attribuite alla società, quali una apertura di credito nelle forme di anticipazione bancaria e
di qualsiasi altra ragione di credito vantata dalla banca, circostanza confermata dal perdurare dell’esposizione debitoria alla data del 1° settembre 1994. Trattandosi, pertanto, di rapporto accessorio, condizionato all’adempimento dell’obbligazione garantita (estinzione del rapporto principale di conto corrente), la riscossione del debito ceduto non avrebbe comportato la cessazione del l’operatività della cessione se non sino alla totale estinzione del rapporto principale oggetto di garanzia. Per l’effetto, la prescrizione dell’azione della società prenderebbe a decorrere dal passaggio a sofferenza del conto affidato o, diversamente, dalla conoscenza dell’avvenuta rinuncia al credito in quota interessi da parte di BNL S.p.A.
Il primo motivo è inammissibile, conformemente alle deduzioni di parte controricorrente. Parte ricorrente, allo scopo di far decorrere la prescrizione dall’integrale pagamento del credito ceduto, denuncia l’erroneità della applicazione del regime della cessione di credito pro solvendo in luogo di adempimento, anziché quale cessione di credito in garanzia. Così facendo, parte ricorrente intende rimettere in discussione un accertamento in fatto, compiuto dal giudice di appello, conformemente al giudice di primo grado, circa la natura della cessione di credito, che il giudice di appello ha ritenuto estinta all’atto della chiusura del conto anticipi e non al momento dell’estinzione del rapporto garantito . Costituisce, difatti, accertamento in fatto stabilire se il credito sia stato ceduto a garanzia di ogni credito bancario o solo per l’estinzione del solo affido sul conto anticipi.
Va, ulteriormente, osservato -così assorbendosi l’osservazione di parte controricorrente, contenuta anche in memoria, secondo cui la sentenza impugnata appare fondata su una ratio decidendi differente – che la questione dedotta dal ricorrente non risulta tracciata negli esatti termini nella sentenza impugnata.
La sentenza impugnata ha dato atto (pag. 17 sent. imp., righi 1-6) che la ricorrente, in appello, aveva dedotto -anche ai fini della prescrizione dei diritti derivanti dalla cessione di credito -il collegamento funzionale tra i due conti (conto anticipi e conto corrente), in modo che « la sopravvivenza del secondo comportava anche la durata del primo» ; che è argomento diverso dal sostenere che la cessione, essendo a scopo di garanzia, non comporterebbe l’immediata liberazione del debitore originario e, di converso, determinerebbe la decorrenza della prescrizione ex art. 2935 cod. civ. solo dalla estinzione integrale del rapporto principale garantito. Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata negli esatti termini nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., n. 32804/2019; Cass., n. 2038/2019).
Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 1852 e ss. cod. civ. in combinato disposto con gli artt. 1823, 1842 e 1846 cod. civ., nonché dell’art. 1362 cod. civ. in relazione all’art. 2395 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la quantificazione del credito restitutorio nei confronti della banca. Osserva parte ricorrente che la sentenza impugnata ha erroneamente considerato il conto anticipi separatamente dal conto corrente, laddove il giudice di appello avrebbe dovuto valutare i rapporti bancari in modo unitario, sia in
quanto il conto anticipi avrebbe evidenza meramente contabile, sia in quanto gli interessi venivano periodicamente addebitati sul conto ordinario, ciò al fine di ravvisare un collegamento negoziale tra i due rapporti bancari, con conseguente unitarietà del regime prescrizionale. Erronea sarebbe, pertanto, la valorizzazione della chiusura del conto anticipi ai fini della prescrizione della domanda di ripetizione di indebito.
Il secondo motivo è inammissibile, conformemente anche in tal caso alle deduzioni di parte controricorrente. Il giudice di appello ha accertato che il conto anticipi costituisce conto separato e a sé stante (autonomo) rispetto ai conti correnti di corrispondenza intestati allo stesso cliente anziché conto transitorio, collegato al conto corrente, caso nel quale il saldo a debito del conto anticipi rappresenta effettivamente il capitale anticipato e non rimborsato, quale posizione giuridicamente distinta rispetto al saldo (a credito o a debito) degli altri conti dello stesso cliente (Cass., n. 14321/2022). Tale conclusione del giudice di appello si fonda su un accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità.
Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia del motivo di appello relativo all ‘ applicazione in relazione al calcolo dei saldi di conto corrente del criterio del « saldo zero» in mancanza degli estratti conto anteriori al 1° gennaio 1993, senza poter così la banca comprovare il saldo negativo di conto corrente a tale data, a dispetto delle contestazioni della correntista.
Con il quarto motivo del ricorso principale si deduce, in via gradata rispetto al superiore motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc.
e 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché dell’art. 111, sesto comma, Cost., nella parte in cui si ritenga che la sentenza impugnata si sia pronunciata sul motivo di appello relativo al « saldo zero» , non essendo state esplicitate le ragioni della conferma della sentenza di primo grado .
Il terzo motivo del ricorso principale è fondato. Il ricorrente ha allegato di avere proposto in appello, a confutazione delle conclusioni del CTU, l’utilizzo del criterio dell’azzeramento del primo saldo contabile della banca in dare alla data del 1° gennaio 1993, deducendo che la mancanza degli estratti conto a tale data non può che ricadere sulla banca e non sul correntista. Su tale questione il giudice di appello non si è pronunciato, per cui la sentenza va cassata per esame del motivo di appello. Il quarto motivo del ricorso principale è, conseguentemente, assorbito.
10 . Con l’unico motivo del ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2935, 2946 e 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di prescrizione decennale. Osserva parte ricorrente incidentale che la sentenza impugnata non avrebbe fatto distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie della provvista. Sotto questo profilo, parte ricorrente incidentale richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui alla banca convenuta in giudizio per la ripetizione di indebito è sufficiente allegare -oltre all’inerzia del titolare del diritto, la natura solutoria della rimessa, verificando la prescrizione in relazione alle singole rimesse solutorie, salvo l’assolvimento dell’onere della natura ripristinatoria delle rimesse da parte del correntista.
Il ricorso incidentale è inammissibile. Risulta dallo stesso controricorso -nonché dalla sentenza del Tribunale di Roma in data
n. 1125/2021 R.G.
27 gennaio 2012, prodotta dal ricorrente sub C) – che il Tribunale di Roma ha rigettato l’eccezione di prescrizione sul presupposto che la banca convenuta non avesse « dimostrato che nel corso del rapporto la parte attrice avesse effettuato sul conto versamenti da considerarsi pagamento invece che mere rimesse di provvista» (pag. 8, quarto cpv. sent. primo grado all. ricorso), facendo decorrere sulla base di questo accertamento in fatto la prescrizione dalla chiusura del rapporto. La decorrenza della prescrizione dalla chiusura del conto è, pertanto, derivata dalla mancata prova che le rimesse in conto avessero natura solutoria e della conseguente natura ripristinatoria delle stesse, natura ripristinatoria costituente eccezione in senso lato rilevabile d’ufficio purché l’affidamento risulti dagli elementi di causa (Cass., n. 20455/2023).
12. In relazione a tale accertamento in fatto, il motivo di ricorso non risulta sufficientemente specifico, non essendo stato indicato (né ciò risulta dalla sentenza impugnata) se il secondo motivo di appello incidentale esaminato dal giudice del gravame contenesse una espressa censura di questa statuizione del giudice di primo grado circa la natura ripristinatoria delle rimesse e di quali fossero i presupposti in base ai quali questa conclusione fosse stata tratta dal giudice di primo grado, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso a termini di quanto disposto da ll’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. Analogamente, va rilevato che la censura è ulteriormente priva di specificità, essendo limitata all’astratta enunciazione del principio di diritto, senza specificazione se pagamenti solutori vi siano stati una volta che la Corte di merito, confermando la decisione di primo grado, ha riconosciuto la natura ripristinatoria di tutti i versamenti.
13. Il ricorso principale va, pertanto, accolto in relazione al terzo motivo, cassandosi la sentenza impugnata con rinvio per esame del motivo di appello pretermesso. Il ricorso incidentale va, invece,
dichiarato inammissibile. Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato per il ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta i primi due motivi del ricorso principale e dichiara assorbito il quarto motivo del medesimo ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma,