Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12489 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12489 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29786/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
nonché da
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente adesivo incidentale – contro
RAGIONE_SOCIALE per mezzo della mandataria di RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO
135, presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOMEcontroricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMEcontroricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 180/2020 depositata il 13/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. – Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Torino ha confermato la decisione del Tribunale di Novara che aveva respinto la domanda proposta da Pino RAGIONE_SOCIALE e dalla garante NOME COGNOME nei confronti di Banca Popolare di Novara s.p.a. e Banco Popolare Società Cooperativa, volta alla rideterminazione del saldo di un conto corrente ordinario – cui erano annessi vari conti anticipi le cui competenze erano girocontate sul primo – in ragione dell’illegittima applicazione di anatocismo per la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, banca, commissioni di massimo scoperto, interessi ultralegali non debitamente pattuiti e valute non debitamente computate, interessi usurari; con conseguente condanna delle banche convenute al pagamento del saldo creditorio di euro 976.069,19, e alla declaratoria di nullità della fideiussione prestata dalla sig. COGNOME
Le banche convenute contestavano la fondatezza della domanda, eccepivano la parziale prescrizione della pretesa e proponevano domanda riconvenzionale per il pagamento della somma di euro
123.211,39 quale saldo debitore del conto corrente dedotto in giudizio.
– Il Tribunale, accertata la prescrizione in relazione ai conti anticipi nn. NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA e – con riferimento a tutte le somme addebitate dalla banca – per l’intero periodo anteriore al 17.6.2000 (data corrispondente al primo atto interruttivo compiuto dalla banca), all’esito della disposta CTU, rideterminava il saldo debitore della correntista nella minor somma di euro 37.689,98; perciò respingeva la domanda di condanna delle banche convenute, dichiarava l’improcedibilità della domanda riconvenzionale nei confronti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, intervenuto nelle more del giudizio, e condannava la sola NOME COGNOME al pagamento in favore della Banca Popolare soc. coop. della somma di 37.689,98 €, respingendo la domanda di nullità della fideiussione del tutto priva di supporto argomentativo.
– La Corte d’appello di Bari ha respinto il gravame principale proposto dal Fallimento NOME COGNOME e quello incidentale di analogo contenuto proposto da NOME COGNOME nei confronti di Banco BPM s.p.a. (successore a titolo universale di Banco Popolare soc. coop. in cui si era fusa Banca Popolare di Novare s.p.a.) cui nel corso del giudizio, si è aggiunta, in quanto cessionarie del credito litigioso, RAGIONE_SOCIALE tramite la mandataria RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE; in particolare affermando, per quanto qui ancora interessa:
quanto all’eccezione di prescrizione di cui al secondo motivo di appello principale, che la banca non era tenuta a indicare analiticamente tutte le rimesse che riteneva prescritte ma solo a far valere il decorso del tempo e l’inerzia del titolare del relativo diritto; che non era dimostrato un affidamento di fatto di entità superiore a quello indicato nel contratto; che la individuazione e verifica dei pagamenti indebiti, andava effettuata con riferimento ai
c.d. saldi banca, posto che in quelli ricalcolati il corrispondente addebito non è più presente;
quanto all’appello incidentale, ha escluso che nella specie la lacuna probatoria addebitabile alla banca e relativa alla produzione solo parziale degli estratti conto potesse essere colmata facendo riferimento al criterio c.d. del saldo zero.
– Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME affidato a quattro motivi di cassazione. Hanno resistito, con controricorso Banco BPM s.p.a. e la RAGIONE_SOCIALE per mezzo della mandataria RAGIONE_SOCIALE Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione si è costituito aderendo integralmente ai motivi di impugnazione proposti dalla sig. COGNOME affermando di farli propri attraverso il controricorso con impugnazione incidentale, con l’unica eccezione relativa al terzo motivo riguardante la nullità della fideiussione non avendo interesse processuale all’impugnazione sul punto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., del combinato disposto di cui agli artt. 2033 e 2046 c.c. nonché degli artt. 1815, 1820, 1826, 1843, per avere la Corte d’appello individuato le rimesse solutorie soggette all’eccezione di prescrizione sulla scorta del saldo banca in luogo del saldo rideterminato dal CTU, dando luogo ad una sentenza contraddittoria che ha, da un lato, riconosciuto fondato il saldo ricalcolato dal CTU dal quale era stata eliminata ogni forma di capitalizzazione degli interessi debitori e ogni altro illegittimo addebito applicato nel corso del rapporto, dall’altro, ha poi sterilizzato l’effetto della capitalizzazione e di tali ulteriori addebiti illegittimi mantenendo le indebite annotazioni effettuate dall’Istituto di credito ai fini dell’individuazione delle rimesse solutorie, laddove, invece, per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di
credito in conto corrente avesse avuto natura solutoria o solo ripristinatoria all’esito della declaratoria di nullità delle clausole anatocistiche e delle ulteriori spese non previamente indicate nel contratto, avrebbe dovuto previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’Istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista; richiama la giurisprudenza di legittimità affermatasi in proposito.
1.1- Il motivo è fondato.
E’ consolidato l’orientamento di legittimità per cui nelle controversie aventi ad oggetto la domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 7721/2023).
1.2- La questione di quale saldo contabile (il “saldo banca” che offre una ricostruzione delle operazioni contabili così come si sono susseguite nel tempo, oppure il “saldo rettificato”, epurato dalle annotazioni illegittime effettuate dall’istituto di credito) debba utilizzarsi nei contenziosi bancari aventi ad oggetto (come la odierna controversia) la nullità delle indebite annotazioni effettuate dalla banca nel corso di un rapporto di conto corrente a fronte dell’eccezione di prescrizione della consequenziale azione di ripetizione ex art. 2033 cod. civ., è stato oggetto di ampio dibattito, sostenendosi da parte dei fautori del cd. “saldo banca” che, utilizzando il saldo rettificato, si finirebbe per eludere il disposto dell’articolo 1422 c.c., a tenore del quale l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.
Altro orientamento, invece, ha sottolineato che se il contratto di conto corrente è viziato da nullità delle annotazioni in esso
presenti, anche l’estratto conto presenterà dei saldi viziati, inidonei a individuare le rimesse solutorie effettuate dal correntista. Pertanto – si è sostenuto – non si può fare affidamento su quelle che sono le risultanze finali offerte dalla banca, in quanto sono basate su clausole contrattuali e prassi contabili contrarie a norme imperative ed inderogabili, creando, così, una realtà contabile solo apparente e virtuale. Ne discende -secondo tale impostazione -che per riscontrare se i singoli versamenti abbiano avuto natura solutoria (ovvero di pagamento di un debito), occorre effettuare una ricostruzione contabile del conto corrente depurandolo da tutti gli addebiti, indebitamente ascritti dalla banca, conseguenti a clausole e prassi nulle ed inefficaci; e, per il calcolo delle rimesse solutorie, va preso a riferimento il saldo rettificato, al fine di non confondere rimesse “apparentemente solutorie” con rimesse “effettivamente solutorie”.
1.3- In un siffatto contesto è intervenuta questa Suprema Corte, con l’ordinanza n. 9141 del 2020, la quale, pronunciandosi su tale vexata quaestio , ha sottolineato la netta separazione tra l’azione di ripetizione e quella di accertamento della nullità delle competenze illegittime addebitate dalla banca, ed affermato che, ricalcolare il reale ed effettivo rapporto di dare/avere, eliminando tutte le competenze addebitate dalla banca illegittimamente e, quindi, nulle, risulta essere una mera operazione preventiva e legittima rispetto a quella di individuazione dei versamenti solutori. Così facendo, infatti, si viene solamente ad operare una fictio iuris finalizzata a contrappore una realtà giuridica a quella storica offerta dalla banca senza che il disposto dell’art. 1422 cod. civ. ne risulti violato, poiché esso varrà per tutte le rimesse “realmente” solutorie individuate in base al saldo ricalcolato.
1.4. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della pronuncia appena descritta (confermate dalla successiva Cass. n. 3858 del 2021 nonché da Cass.7721/2023 già citata). Sicché deve
ribadirsi che, nelle controversie che hanno ad oggetto l’azione di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili e la relativa domanda di ripetizione di indebito, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere affrontata attraverso un iter procedurale che vede, in via preliminare, l’individuazione e la cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito, solo all’esito di tale operazione di rettifica potendosi individuare i versamenti solutori effettuati dal correntista nel corso del rapporto contrattuale di conto corrente con apertura di credito o comunque scoperto, ferma la non ripetibilità di quei versamenti per i quali è maturata la prescrizione del relativi diritto (v. Cass. n. 9756/2024).
2.- Il secondo motivo denuncia violazione falsa applicazione, ex articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 119 TUB ovvero la violazione dei criteri di accertamento del saldo in mancanza del primo estratto conto e violazione del principio del c.d. saldo zero. Reputa la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato laddove ha ritenuto di fare ricorso per il ricalcolo del saldo del conto corrente dal saldo debitorio del primo estratto conto disponibile, anziché fare applicazione del criterio c.d. del saldo zero laddove si trattava di controversia con domande di pagamento rivolte reciprocamente dalle parti l’una nei confronti dell’altra, confermando sul punto la sentenza di primo grado nonostante l’odierna ricorrente avesse proposto in proposito uno specifico motivo d’appello incidentale; la Corte d’appello avrebbe errato perché si è limitata puramente e semplicemente a rilevare come l’onere della prova del saldo iniziale incombesse esclusivamente sulla società correntista attrice, ignorando il fatto che le contestazioni mosse alla legittimità degli addebiti operati era incompatibile con l’ammissione di una situazione debitoria inerente all’arco di tempo antecedente al primo degli estratti conto prodotto
in atti, onde non difettava né una contestazione del correntista circa il saldo risultante dal primo estratto conto, né una condotta omissiva rispetto all’onere probatorio incombente sul medesimo, laddove la parzialità della produzione degli estratti conto era stata determinata anche dal mancato riscontro della banca alla richiesta di consegna della documentazione formulata dal correntista ex art. 119 comma 4 TUB; ha in aggiunta osservato che, trattandosi di conto corrente che al momento dell’avvio del giudizio era aperto e portava un saldo passivo, era evidente che, ove il cliente avesse semplicemente contestato il credito e rifiutato di adempiere, invece di agire per la nullità delle clausole regolative contestate e dei relativi addebiti in conto onde accertare il diverso saldo, la mancata conservazione e produzione di tutti gli estratti da parte della banca avrebbe posto la banca stessa di fronte alla sicura applicazione del criterio del saldo zero, in quanto parte attrice nella strutturale impossibilità di fornire la prova del proprio credito e di procedere, così, al recupero coattivo del medesimo.
In definitiva la ricorrente reputa errata la sentenza poiché, in presenza di produzione parziale degli estratti conto ed in presenza di saldo iniziale debitore per il correntista, il giudice di merito avrebbe dovuto procedere all’azzeramento del primo saldo disponibile a prescindere dal fatto che attore fosse anche il correntista che agiva per l’accertamento e la condanna della banca, laddove anche questa agiva in riconvenzionale per il pagamento del saldo debitore finale.
2.1 Il motivo è fondato.
Sul punto la Corte d’appello di Torino richiama la valutazione del giudice di prime cure che aveva ritenuto che « nel caso di specie la parte attrice non aveva contestato il saldo al 1° gennaio 1998 (data del primo estratto conto disponibile in atti) nella sua correttezza contabile, lamentando, invece, l’illegittimo addebito delle suddette competenze e formulando una domanda di ripetizione che
presupponeva la relativa prova da parte sua mediante la produzione degli estratti conto » (v. pag. 16 della sentenza gravata); nell’esaminare il relativo motivo di appello incidentale della sig. COGNOME la Corte territoriale ha ritenuto lo stesso infondato osservando che « il principio dettato dalla Corte di legittimità e richiamato dalla appellanti è legato al profilo probatorio della legittimità del saldo del conto nell’ipotesi in cui non si tratti del saldo iniziale »; che il Tribunale aveva affermato che l’onere della prova incombeva sulla correntista e che la doglianza della COGNOME circa la mancata evasione da parte della banca della richiesta di documentazione formulata dalla cliente non era stata seguita da alcuna istanza di esibizione da parte della correntista o della garante come desumibile dalle conclusioni trascritte nella sentenza di primo grado; pertanto la carenza probatoria, in definitiva, doveva imputarsi ad esse correntista e garante e non poteva essere colmata facendo riferimento al c.d. saldo zero.
2.1L’argomentazione della Corte d’appello in punto distribuzione nella specie dell’onere della prova non è corretta.
A proposito della possibilità di ricostruire il rapporto dare avere tra le parti di un conto corrente la giurisprudenza di legittimità è giunta ad approdi consolidati, che tengono conto dei diversi ruoli processuali che le parti assumono in giudizio, anche in ragione di c.d. domande c.d. incrociate, che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità. Per quel che qui interessa -stante le censure mosse dalla ricorrente -l’onere della prova si configura diversamente laddove agisca una sola delle parti (il correntista o la banca) per ottenere in giudizio il riconoscimento del proprio preteso diritto e l’altra resti solo convenuta, e laddove, invece, nello stesso giudizio entrambe le parti facciano valere le proprie opposte pretese. Perciò giova chiarire che:
questa Corte con orientamento costante afferma che laddove l’attore correntista non adempia compiutamente all’onere di dare
prova -mediante deposito degli estratti periodici di conto – tanto dei pagamenti che dell’assenza di valida causa debendi in riferimento ad un determinato periodo di durata del rapporto, per la determinazione del saldo del periodo successivo a quello non documentato in presenza di un primo saldo risultante a debito del cliente (con riferimento al periodo precedente di svolgimento del rapporto, non documentato), non si deve partire da un saldo pari a zero; poiché il sollecitato accertamento del dare e dell’avere fra le parti del cessato rapporto deve essere effettuato dal giudice di merito partendo dal primo saldo a debito del cliente, risultante dal primo estratto disponibile prodotto dall’attore oppure dalla banca in adempimento di un ordine di esibizione a lei impartito dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 30789 del 2023; Cass. n. 12993 del 2023; Cass. n. 11543 del 2019; Cass. n. 30822 del 2018; Cass. n. 28945 del 2017; Cass. n. 500 del 2017); peraltro è stato puntualizzato (v. Cass. n. 37800 del 2022 confermata dalle già menzionate Cass. n. 7697 del 2023 e Cass. n. 12993 del 2023), opportunamente, che « l’estratto conto, , non costituisce l’unico mezzo di prova attraverso cui ricostruire le movimentazioni del rapporto ; in assenza di un indice normativo che autorizzi una diversa conclusione, non può escludersi che l’andamento del conto possa accertarsi avvalendosi di altri strumenti rappresentativi delle intercorse movimentazioni. In tal senso, a fronte della mancata acquisizione di una parte dei citati estratti, il giudice del merito potrebbe valorizzare, esemplificativamente, le contabili bancarie riferite alle singole operazioni o, a norma degli artt. 2709 e 2710 c.c., le risultanze delle scritture contabili (ma non l’estratto notarile delle stesse, da cui risulti il mero saldo del conto: Cass. n. 10692/2007 e Cass. n. 23974/2010) . Rilevano, altresì, la condotta processuale della controparte ed ogni altro elemento idoneo a costituire argomento di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. Ne deriva che l’incompletezza della serie degli estratti conto si
ripercuote comunque sul cliente, gravato dall’onere della prova degli indebiti pagamenti: in quanto, a quel punto, si comincia volta a volta dal ‘saldo a debito’, risultante dal primo estratto conto disponibile o da quelli intermedi dopo intervalli non coperti che, nel quadro delle risultanze di causa, è il dato più sfavorevole allo stesso attore »;
b) questa Corte, poi, ha puntualizzato anche (cfr. Cass. n. 7697 del 2023) che, nel giudizio in cui la banca vanti un credito derivato dal saldo finale di segno negativo del rapporto di conto corrente, pretesa cui si contrapponga il correntista che eccepisca la nullità di alcune pattuizioni in funzione della rideterminazione di tale saldo finale con la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, l’onere della prova della banca implica la produzione di tutti gli estratti conto a partire dalla apertura del c/c, non potendo ritenersi provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione, incompleta, in giudizio depositata dalla banca (cfr. Cass. n. 21466/ 2013 e Cass. n. 15148/ 2018, entrambe richiamate, in Cass. n. 35979/ 2022); indirizzo ermeneutico, questo, precisato da Cass. n. 23852/ 2020 e Cass. n. 22387/ 2021, secondo cui: nei rapporti bancari di conto corrente, ove alla domanda principale – diretta al pagamento del saldo del rapportoproposta dalla banca, si contrapponga la domanda riconvenzionale del correntista di accertamento del saldo e di ripetizione dell’indebito, ciascuna delle parti è onerata della prova delle operazioni da cui si origina il saldo; con la conseguenza che la mancata documentazione di una parte delle movimentazioni del conto, il cui saldo sia a debito del correntista, non esclude una definizione del rapporto di dare e avere fondata sugli estratti conto prodotti da una certa data in poi: la mancata produzione degli estratti conto assume, infatti, una colorazione neutra sul piano della ricostruzione del rapporto di dare e avere e giustifica, come
tale, un accertamento del saldo di conto corrente che non è influenzato dalle movimentazioni del periodo non documentato. Invero, proprio in quanto ognuna delle parti assume la veste di attore all’interno del giudizio, è inconcepibile che l’una e l’altra possano giovarsi delle conseguenze del mancato adempimento dell’onere probatorio della controparte, sicché, ove manchi la prova delle movimentazioni del conto occorse nel periodo iniziale del rapporto, il correntista non potrà aspirare al rigetto della domanda di pagamento della banca, ma, nel contempo, quest’ultima non potrà invocare, in proprio favore, l’addebito della posta iniziale del primo degli estratti conto prodotti (cfr. Cass. n. 22276 del 2023);
con riguardo al criterio del cd. saldo zero, Cass. n. 25417/2023, ha chiarito che « il criterio del cd. saldo zero, che consente, nel caso in cui la mancata produzione di parte degli estratti conto impedisca di ricostruire l’intero andamento del rapporto, di determinare il saldo finale considerando pari a zero il saldo iniziale del primo degli estratti conto prodotti, è utilizzabile, in quanto più sfavorevole alla banca, soltanto nel caso in cui il giudizio sia stato promosso dalla stessa, e non possa provvedersi all’accertamento del dare e dello avere sulla base di altri mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe e complete in ordine al saldo maturato all’inizio del periodo documentato, ovvero sulla base di ammissioni compiute dal correntista, idonee ad escludere quanto meno che, con riferimento al periodo non documentato, egli abbia maturato un credito d’imprecisato ammontare ».
infine. Cass. n. 1763/2024 (cui numerose pronunce non massimate hanno dato continuità) ha precisato in controversia (come quella oggi in esame) in cui – in presenza di contrapposte domande della banca e della correntista- nessuna delle due parti aveva ritualmente e tempestivamente depositato gli estratti conto integrali, ha affrontato funditus la questione, che anche qui rileva, se operando il c.d. azzeramento del conto alla data dell’estratto
più risalente nel tempo depositato dalla banca in giudizio, il giudice di merito finisca per attribuire l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, finendo in sostanza per violare l’art. 2697 cod. civ.; ed ha escluso che detta censura meriti accoglimento, giacché nei giudizi con domande incrociate: (i) « il reciproco onere probatorio deve trovare concreta attuazione in modo tale da scongiurare, ove possibile, il risultato di ritenere che, nell’ambito della medesima causa, il saldo da prendere in considerazione (la cui determinazione costituisce, come appare intuitivo, il sostrato comune delle contrapposte istanze) possa essere diverso a seconda che si valuti la domanda di una o dell’altra parte »; (ii) « parimenti, occorre evitare di gravare una delle parti dell’onere di dimostrare l’eventuale insussistenza di un credito o di un minor debito dell’altra ».
Sicchè, ha concluso « potrà certamente trovare applicazione il criterio dell’azzeramento del saldo o del cd. saldo zero, il quale altro non rappresenta che uno dei possibili strumenti attraverso il quale può esplicitarsi il meccanismo della ripartizione dell’onere probatorio tra le parti sancito dall’art. 2697 cod. civ. », specificando come si atteggia detta ripartizione a seconda dei casi:
d.1) ove la banca agisca in giudizio per il pagamento dell’importo risultante a saldo passivo -com’è nella specie avendo la banca, convenuta con azione di accertamento negativo ripetizione di indebito e relativa condanna, proposto detta domanda in via riconvenzionale -ed il correntista chieda, a sua volta, la rideterminazione del saldo, concludendo per la condanna dell’istituto di credito a pagare la differenza in proprio favore o per l’accoglimento della domanda principale in misura inferiore, l’eventuale carenza di alcuni estratti conto o, comunque di altra
documentazione che consenta l’integrale ricostruzione dell’andamento del rapporto, comporta che:
per quanto riguarda la banca, il calcolo del dovuto potrà farsi: a.1) nell’ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all’inizio del rapporto, azzerando il saldo di partenza del primo estratto conto disponibile (ove quest’ultimo non coincida, appunto, con il primo estratto del rapporto) e procedendo, poi, alla rideterminazione del saldo finale utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura del conto o alla data della domanda; a.2) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi -ipotesi che qui non interessaazzerando i soli saldi intermedi, intendendosi con tale espressione che non si dovrà tenere conto di quanto eventualmente accumulatosi nel periodo non coperto da documentazione, sicché si dovrà ripartire, nella prosecuzione del ricalcolo, dalla somma che risultava a chiusura dell’ultimo estratto conto disponibile;
per quanto riguarda, invece, il correntista che lamenti l’illegittimo addebito di importi non dovuti a vario titolo e ne chieda la restituzione (come nel caso di specie), il calcolo del dovuto potrà farsi tenendo conto che: b.1) nell’ipotesi in cui non ci sia in atti documentazione che risalga all’inizio del rapporto, egli, salvo dimostri l’eventuale vantata esistenza iniziale di un saldo positivo in suo favore, o di un minore saldo negativo a suo carico (onde procedere ad una rideterminazione più favorevole) beneficia, comunque, dell’azzeramento del saldo di partenza del primo estratto conto disponibile che va operato in ragione della domanda riconvenzionale della banca e della successiva rideterminazione del saldo finale avvenuta utilizzando la completa documentazione relativa al periodo successivo fino alla chiusura o alla data della domanda; b.2) laddove manchi documentazione riguardante uno o più periodi intermedi, anche in tal caso, egli, se sostiene che in
quei periodi si è accumulata una somma a suo credito o un minore importo a suo debito per effetto di interessi o commissioni non dovute, lo deve provare, producendo la corrispondente documentazione che, in tal caso, però, nuovamente sarà utilizzabile anche per la controparte, secondo il meccanismo di acquisizione processuale; in caso contrario, lo stesso beneficerà del meccanismo di azzeramento del o dei saldi intermedi, con il risultato che la banca, per quel o quei periodi, non ottiene niente ed il correntista, per lo stesso o gli stessi periodi, nulla recupera; così da prevenire, in definitiva, il rischio di due saldi difformi per la banca o il correntista all’esito del ricalcolo.
In altre parole, ove si riscontri la mancanza di una parte degli estratti conto, il primo dei quali rechi un saldo iniziale a debito del cliente – e in assenza tanto di elementi di prova che consentano di accertare il saldo nel periodo non documentato, quanto di allegazioni delle parti che permettano di ritenere pacifica l’esistenza, in quell’arco di tempo, di un credito o di un debito di un certo importo – è la proposizione di contrapposte domande da parte della banca e del correntista (che implica che ciascuna delle parti sia onerata della prova della propria pretesa) che conduce alla possibilità del correntista di avvalersi nella rideterminazione del rapporto di dare e avere, dell’azzeramento del saldo a debito che risulti dal primo degli estratti prodotti, in quanto detto criterio si applicherà per la banca – onerata della ricostruzione integrale dell’andamento del conto in ragione della pretesa avanzata in giudizio – in mancanza degli estratti conto iniziali e quindi della dimostrazione della formazione del primo saldo debitorio disponibile.
Laddove, invece, il correntista non possa avvantaggiarsi di tale azzeramento che avviene in funzione dell’accertamento del diritto fatto valere nello stesso giudizio dalla banca, poiché -appuntodetto accertamento non è necessario non essendo esso oggetto del
giudizio (ovvero nell’ipotesi che la banca non abbia proposta la relativa domanda), questi non potrà pretendere l’azzeramento del primo saldo « a debito », poiché è proprio da questo che si dovrà partire in assenza di dimostrazione a suo carico che tale debito non esiste o era di minor importo.
3.- Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. del combinato disposto degli artt. 1325, 1375,1421, 1944, 1939, artt.112, 115, e 116; nonché con riferimento all’art. 2 comma 2 lett. a) l. n. 287/1990 Nullità della fideiussione.
Deduce la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe dovuto rilevare che il contratto di fideiussione era nullo perché conforme allo schema dell’ABI dichiarato illegittimo dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55 del 2.5.2005 in quanto risultante da una intesa restrittiva della concorrenza come tale vietata ex art. 2 l. n. 287/1990, nullità che poteva essere proposta in ogni stato e grado del giudizio, e, quindi, anche in sede di giudizio di legittimità; nella specie, invero, la ricorrente aveva sollevato la questione sin dal primo atto costitutivo, e la banca aveva contestato l’eccezione producendo i contratti controversi e postulandone la legittimità.
3.1 -Il motivo è inammissibile.
Premesso che dalla sentenza gravata (v. pag.18) risulta che il Tribunale aveva respinto la domanda di accertamento della dedotta nullità della fideiussione in quanto era completamente priva di supporto argomentativo e che, pur affermando di aver sollevato la questione sin dal primo atto costitutivo, la ricorrente non precisa come avrebbe dovuto ex art. 366 comma 1 n.4 e 6 c.p.c.- come e dove avrebbe sollevato detta questione, deve darsi continuità al principio consolidato affermato da questa Corte per cui la rilevazione della nullità – sia pure d’ufficio – presuppone che la parte abbia tempestivamente allegato, nel corso del giudizio di merito, le circostanze fattuali tali da consentire la rilevazione
medesima (v. da ultimo Cass. n. 16102/2024), poiché anche la rilevazione d’ufficio della nullità per violazione di norme imperative ha come condizione che i relativi presupposti di fatto, sebbene non dedotti sotto forma di eccezione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (v. ex aliis Cass. n. 4867/2024, Cass. n. 34053/2023), dal momento che il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 26242/2014, i cui princìpi sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251/2018, Cass. n. 26495/ 2019, Cass. n. 20170/2022 e Cass. n. 28377/2022) deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di aggirare i limiti processuali scanditi dal maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie; in breve, la rilevazione officiosa della nullità è circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati e provati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713/ 2023 e Cass. nn. 2607, 5038, 5478, 10712 e 19401 del 2024).
3.2- Nel caso di specie con il motivo la ricorrente non spiega né quale ipotesi di nullità avesse inteso coltivare (vale a dire la nullità « integrale » del contratto e/o quella parziale relativa alle singole clausole comprese nello schema ABI oggetto del provvedimento dell’autorità d vigilanza) né sulla base di quali elementi di fatto, laddove – va rammentato – i contratti di fideiussione « a valle » dell’intesa sanzionata dall’allora Autorità Garante, sono stati ritenuti parzialmente nulli ove risulti che senza le tre clausole i contraenti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione, e spetta « a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità
parziale all’intero contratto » (Cass. n. 18794 del 2023) e che la rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto « a valle » dell’intesa anticoncorrenziale, richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione; mentre nella fattispecie i ricorrenti non hanno indicato le clausole della fideiussione corrispondenti allo schema ABI ritenuto contrario alla c.d. legge antitrust dal provvedimento della Banca d’Italia né deducono alcunché a proposito della riferibilità della fideiussione all’intervallo temporale rilevante secondo detto provvedimento, che non hanno neppure prodotto, come sarebbe stato doveroso (trattandosi di atto regolamentare per cui, non opera il principio iura novit curia ) unitamente allo schema ABI cui il medesimo fa riferimento (v. da ultimo Cass. 24380/2024 conforme a Cass. n. 20713/2023).
Indipendentemente dal rilievo della nullità, manca un accertamento di fatto in ordine alle circostanze fattuali rilevanti, né risulta la specifica indicazione, nel motivo di censura, della sede di ingresso, si intende tempestivo, delle circostanze in discorso nel processo di merito.
Il quarto motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 comma 2 n.4 c.p.c. in riferimento al combinato disposto dell’art.112 con art. 34, art. 163 comma 3 n. 3, art. 164 n. 4 c.p.c. e 183 comma 6 n.1 c.p.c., ovvero difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, omesso esame della domanda dell’attore circa la nullità dei conti correnti anticipi e conseguente limitazione nella rideterminazione del saldo del conto principale.
La ricorrente censura la sentenza gravata laddove ha respinto la censura mossa alla sentenza di primo grado che aveva determinato l’oggetto del giudizio limitandolo ai soli rapporti sostanziali indicati in citazione, escludendo dal perimetro delle domande i rapporti di conto corrente accessori (conti anticipi) non menzionati
analiticamente nell’atto introduttivo ma da ritenersi richiamati ivi per relationem attraverso il riferimento alla consulenza tecnica di parte allegata.
In particolare, la ricorrente muove detta censura sotto tre profili alle argomentazioni sul punto della Corte territoriale:
ha osservato che l’aver contestato l’illegittimità di tutti gli addebiti delle remunerazioni e dei costi applicati sul c/c. 7514 anche in virtù di conti anticipi e finanziamento – comportava di per sé l’inclusione nel perimetro del giudizio instaurato anche degli addebiti derivanti da detti conti, che non costituirebbero rapporti distinti e autonomi da quello di conto corrente ma modalità di contabilizzazione degli oneri maturati sull’utilizzo della disponibilità fondata dall’unico rapporto di conto corrente;
l’integrazione della domanda attraverso l’indicazione nominativa di detti conti accessori nella memoria ex art. 183 comma 6 n.1 c.p.c., non costituiva come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale una mutatio libelli, laddove in detta memoria parte attrice aveva solo proceduto a precisare la domanda, avendo già contestato il conto corrente principale e il meccanismo di riversamento che si veniva a determinare tra conti anticipi e quello principale; trattandosi di diritti eterodeterminati, che si identificano con la loro fonte, questa sarebbe in questo caso da identificarsi con il titolo costituito « dal saldo legittimo del rapporto di conto corrente principale »;
avendo sostanzialmente fondato il mancato accertamento dei conti anticipi sull’assunto che l’attore non avesse operato un’esatta individuazione del petitum e della causa petendi attraverso una corretta ed esaustiva esposizione dei fatti posti a sostegno della domanda giudiziale, avrebbe dovuto rilevare detta patologia dell’atto di citazione di cui all’art. 164 c 4 c.p.c., dichiarare la nullità dell’atto di citazione e attivare il meccanismo per la sanatoria della stessa.
4.1 -Il motivo è inammissibile.
4.2 -La Corte d’appello, ha anzitutto dato conto del ragionamento decisorio del Tribunale in proposito, che, onde delimitare l’oggetto del giudizio, aveva osservato: (i) che gli unici rapporti espressamente menzionati nell’atto di citazione erano il conto corrente 7514 e i conti anticipi nn. 3942, 3918 e 3043; (ii) che l’inciso « con annessi una serie di conti anticipi/finanziamento per come meglio esplicitati nella perizia del dr. COGNOME » non era sufficiente ad integrare la domanda per relationem, avuto riguardo al tecnicismo della materia controversia, poiché l’espressione « conti anticipo/finanziamento » non era di univoco significato, potendo riferirsi a fattispecie anche assai diverse tra loro, caratterizzati da meccanismi di operatività e di collegamento col conto principale assai differenti (ed invero nella relazione peritale di parte erano menzionati indistintamente come conti anticipi, conti salvo buon fine, conti finanziamento, e mere operazioni di anticipo); l’espressione « con annessi una serie di conti anticipi/finanziamento », quindi, aveva valore meramente descrittivo del rapporto per come si era concretamente atteggiato; (iv) l’estensione della domanda a detti conti effettuata nella prima memoria 183 comma 6 c.p.c. aveva integrato una domanda nuova e come tale inammissibile.
Ciò premesso, la Corte territoriale ha, quindi, ritenuto inammissibile il relativo motivo d’appello per due ragioni: a) il Tribunale « ha motivato a proposito della necessità di formulare censure coerenti con la peculiarità di ogni singolo rapporto – stante la non univocità dell’espressione «conti anticipi/finanziamento» svolgendo argomentazioni che non sono state specificamente censurate e in realtà neppure affrontate », perciò ha ritenuto che il motivo «da tale punto di vista, è del tutto astratto » ; b) «i noltre, come espressamente affermato al punto 1) dell’atto di citazione in primo grado, le relative competenze -vale a dire quelle derivanti
da tutti i rapporti appena menzionati al punto 1- sono state in ogni caso girocontate sul conto ordinario n. 7514 con ogni conseguenza di legge e soprattutto sull’ammontare del saldo contabile finale e la circostanza viene anche precisata nella relazione tecnica COGNOME: ciò comporta che il saldo di tutti i rapporti ( e di ciascuno di essi) intrattenuti dalla società appellante con la banca, siano confluiti sul conto corrente di corrispondenza esaminato dal CTU, ma sul punto nel motivo in esame non vi è alcuna specifica argomentazione » .
Ha concluso che « pertanto il motivo è inammissibile, in primo luogo, perché non è idoneo a dimostrare l’erroneità della decisione e della sua motivazione, inoltre non è in grado di portare ad una diversa decisione sul piano sostanziale ».
4.3- Due sono, quindi, le rationes decidendi che sorreggono la statuizione di inammissibilità del motivo d’appello, con nessuna delle quali, in effetti, la ricorrente si confronta – come anche eccepito nei due controricorsi – giacché la censura che muove in questa sede alla pronuncia gravata è la medesima doglianza che ha proposto avanti alla Corte d’appello contro la sentenza di prime cure. Per un verso deve ritenersi che la corte territoriale abbia valutato inammissibile il motivo ai sensi dell’art. 342 c.p.c.; per l’altro, la corte ha ritenuto che, essendo stato tutto girocontato sul conto principale, sul piano sostanziale non vi sarebbe una decisione diversa valutando anche gli altri conti. Si tratta di rationes decidendi che non risultano impugnate.
Il ricorso incidentale del Fallimento NOME COGNOME nella misura in cui ripropone gli stessi motivi di cassazione formulati dalla sig. COGNOME va accolto quanto ai primi due motivi e respinto per il terzo.
4.- In conclusione vanno accolti il primo e secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, respinto il terzo e quarto motivo del ricorso principale nonché il terzo motivo del ricorso incidentale. Di conseguenza la sentenza va cassata con rinvio alla
Corte d’Appello di Torino in diversa composizione affinché si attenga ai principi indicati, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, respinto il terzo e il quarto motivo del ricorso principale nonché il terzo motivo del ricorso incidentale;
rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sez. Civile