Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23365 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23365 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27332/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec dei difensori;
-ricorrenti –
contro
I.P.A.B. RAGIONE_SOCIALE GUERRA, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec dei difensori;
-controricorrente –
e
ASSICURATORI RAGIONE_SOCIALE in persona del Procuratore Speciale del Rappresentante Generale per l’Italia, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrenti-
avverso la sentenza n. 109/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 20/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME premettendo che era stato loro aggiudicato, in compartecipazione al 50% ciascuno, il Lotto n. 1 Edificio RAGIONE_SOCIALE con le relative pertinenze, sita in INDIRIZZO San Donà di Piave, messo all’asta da I.P.A.B. ‘Casa di Riposo Monumento ai Caduti in Guerra’; di aver versato, in conformità alle prescrizioni del bando, il pagamento integrale del corrispettivo di vendita per € 702.000,00; di essere venuti a conoscenza, successivamente all’aggiudicazione e al versamento del prezzo, che la superficie catastale dell’immobile compravenduto era considerevolmente inferiore rispetto a quella indicata nell’avviso di gara e che il Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto aveva dichiarato l’immobile denominato ‘Villa Sara’ di interesse culturale, con conseguente sottoposizione dello stesso a tutte le disposizioni di tutela previste ex lege; di essere addivenuti, dopo lunghe trattative, alla stipula del rogito notarile nel quale veniva dato atto che i documenti catastali relativi all’immobile avevano risultato attestare che il compendio oggetto di aggiudicazione aveva una superficie inferiore a quella dichiarata nel bando di gara, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia I.RAGIONE_SOCIALE Monumento ai Caduti di Guerra’ chiedendo: a) previo accertamento della minor superficie del compendio immobiliare oggetto del contratto di compravendita del 9/12/2009, la riduzione del corrispettivo di vendita e la conseguente condanna
della convenuta alla restituzione in loro favore dell’ammontare versato in eccedenza, per importo non inferiore a € 100.000,00; b) previo accertamento del minor valore dell’immobile in dipendenza della sua sottoposizione a vincolo culturale ex art. 12 d. lgs. n. 42/2004, ridursi il corrispettivo di vendita, condannando la convenuta alla restituzione in favore degli attori dell’ammontare versato in eccedenza, in misura non inferiore a € 60.000,00 o, in via alternativa, la condanna al risarcimento del danno conseguente all’accertato minor valore dell’immobile ex artt. 1218 e segg. cod. civ., ovvero ex art. 1337, 1175 e 1375 e segg. cod. civ., ovvero ex art. 2043 cod. civ.; c) condannarsi, infine, l’Istituto convenuto a risarcire l’ulteriore danno patito, anche ‘sub specie’ di spese tecniche, di assistenza legale, di progettazione e rilevazione, in misura non inferiore a € 40.000,00.
1.1. Esperita c.t.u., volta a verificare la superficie del compendio immobiliare e a seguito della rinuncia di I.P.A.B. alle domande proposte nei confronti di terzi chiamati, ad eccezione di quelle proposte nei confronti dei Lloyd’s, la causa venne trattenuta in decisione e definita con sentenza pronunciata il 4/08/2014, con la quale il Tribunale di Venezia dichiarò la nullità della domanda di risarcimento dei danni relativa ai costi tecnici per genericità e rigettò nel resto le domande attoree. Compensò, inoltre, le spese di lite tra gli attori e RAGIONE_SOCIALE e pose a carico di quest’ultimo le spese della assicuratrice chiamata in manleva.
La Corte d’appello di Venezia, accogliendo l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE e in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannò gli appellanti anche alle spese di lite del primo grado in favore sia di RAGIONE_SOCIALE che di RAGIONE_SOCIALE confermando nel resto la pronuncia del Tribunale.
2.2. Questi, in sintesi, gli argomenti della sentenza per quel che qui può assumere rilievo:
-l’interesse storico, artistico è una qualità intrinseca di un bene, indipendente dalla volontà delle parti, ragion per cui, nel caso di specie, l’interesse culturale avrebbe in ogni caso e in qualsiasi momento determinato la sottoposizione del complesso immobiliare alla relativa disciplina di legge;
-gli appellanti erano ben a conoscenza del vincolo al momento della stipula del contratto e avevano manifestato il pieno consenso, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1321 e 1322 e segg. cod. civ., in ordine all’oggetto dello stesso, siccome esattamente descritto nell’atto;
medesime considerazioni dovevano valere anche per la diversa superficie dell’immobile: il rogito notarile aveva <>;
le parti, dunque, al momento della stipula avevano prestato un valido consenso e voluto l’accordo in relazione a tutte le circostanze loro note;
-irrilevanti, perché tardivi rispetto al momento del perfezionamento del sinallagma contrattuale, i ripensamenti, definiti riserve, degli appellanti;
alcun rilievo poteva esser dato alla circostanza che i compratori avevano versato l’intero prezzo, posto che tale procedura, prevista per le dismissioni immobiliari dell’I.P.A.B., era ben nota agli acquirenti;
la censura in merito alla violazione degli artt. 1490 e segg. e 1218 e segg. cod. civ. doveva considerarsi, prima che manifestamente infondata, inammissibile <>;
non poteva, infine, configurarsi una ipotesi di responsabilità precontrattuale della venditrice, non sussistendo alcun inadempimento di quest’ultima ed essendo stato prestato valido consenso dalle parti in ordine all’oggetto del contratto.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia, propongono ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME fondato su sei motivi. Resistono con controricorso l’I.P.A.B. ‘Casa di Riposo Monumento ai Caduti in Guerra’ e gli Assicuratori dei Lloyd’s. I ricorrenti e RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie.
Con il primo motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1490, 1489 e 1218 cod. civ., in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, cod. proc. civ., avendo la Corte d’appello di Venezia erroneamente ritenuto che il vincolo di interesse culturale costituisse una sorta di automatismo attinente alla natura intrinseca del bene, quando, di contro, il provvedimento che dichiara l’interesse culturale, storico, artistico e archeologico di un bene è in realtà frutto di un esercizio di discrezionalità tecnica.
Da ciò, secondo i ricorrenti, deriva la responsabilità del venditore, per aver ceduto una cosa gravata da oneri (il vincolo) che ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore ex artt. 1489, 1490 e 1218 cod. civ.
Nel caso di specie, in definitiva, <>.
Con il secondo motivo si censura la sentenza gravata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1537, 1538 e 1218 cod. civ., nonché delle norme in materia di interpretazione dei contratti (artt. 1362 e segg. cod. civ.), nonché degli artt. 1325 e 1346 cod. civ., relativi al consenso ed alla determinazione dell’oggetto del contratto, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.
Secondo i ricorrenti <>.
Tale errore aveva comportato non tanto e non solo la violazione delle norme concernenti le misure relative alla vendita di immobili, ma anche quelle sulla interpretazione del contratto e sugli elementi essenziali di esso, in particolar modo degli artt. 1325 e 1346 cod. civ.
D’altronde, a dire dei ricorrenti, anche laddove la disciplina di gara prevedesse espressamente un successivo atto contrattuale, il privato aggiudicatario deve ritenersi definitivamente vincolato sin dall’atto di presentazione dell’offerta. Pertanto, i ricorrenti non avrebbero potuto sottrarsi alla stipula del rogito notarile, riservandosi l’esperimento delle azioni di legge.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1322 cod. civ., 16 r.d. n. 2440/1923 e 88, 97 r.d. n. 827/1924, in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, cod. proc. civ., avendo la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che gli acquirenti avessero accettato il
vincolo e la difformità di misura del bene per avere stipulato l’atto pubblico, costituente il primo ed unico momento formativo dell’incontro della volontà delle parti.
Invece, assumono i ricorrenti, la procedura di alienazione del bene immobile pubblico si deve considerare compiuta con il provvedimento di aggiudicazione, mentre il rogito notarile, che riproduce il contenuto di bando e aggiudicazione, determina solamente gli effetti reali.
Dunque, l’aggiudicatario doveva considerarsi già negozialmente vincolato sin dalla presentazione dell’offerta e una volta corrisposto il prezzo. Di conseguenza, la volontà delle parti doveva essere valutata al momento dell’aggiudicazione e non successivamente.
Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4, cod. proc. civ., nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1357 e 1538 cod. civ., nonché degli artt. 1489 e 1490 cod. civ., in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, cod. proc. civ., avendo la Corte distrettuale errato nel giudicare inammissibile la censura riguardante la violazione degli artt. 1490 e segg. e 1218 e segg. cod. civ., mentre <>.
Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art 1337 cod. civ., in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, cod. proc. civ., essendo i Giudici di secondo grado incorsi nel medesimo errore in cui era incappato il Tribunale, il quale aveva confuso le trattative con la stipula del contratto.
A dire dei ricorrenti <>.
Infine, si soggiunge, la Corte di Venezia aveva omesso di pronunciarsi su una questione rilevante (gli appellanti avevano dedotto che la parte venditrice aveva sollecitato il Ministero dei Beni Culturali ad apporre il vincolo, violando la regola della buona fede, stante che fino alla pubblicazione del bando e alla successiva aggiudicazione i compratori non erano stati informati di una tale possibilità), sul presupposto che gli esponenti non avessero offerto produzione documentale corroborante l’assunto. Invece, trattandosi di circostanza non contestata, non sarebbe occorsa produzione alcuna.
Con il sesto motivo viene denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, cod. proc. civ., per essere state poste a carico degli odierni ricorrenti, in accoglimento dell’appello incidentale di IRAGIONE_SOCIALEARAGIONE_SOCIALE., le spese, che in primo grado erano state compensate.
10. Il primo e il terzo motivo, fra loro correlati, vanno rigettati.
Come si è anticipato, i ricorrenti prendono le mosse dall’orientamento di legittimità secondo il quale il verbale di aggiudicazione definitiva, a seguito di incanto pubblico o di licitazione privata indetta da una P.A., è idoneo a produrre in via immediata l’effetto traslativo del cespite immobiliare (Cass. n. 14545/2009).
Un tale effetto, tuttavia, non si verifica laddove, secondo l’evocata giurisprudenza, si tratti di bene immobiliare complesso, indicato soltanto in via approssimativa nel relativo bando.
Nel caso di specie, si trattava indubbiamente di un complesso immobiliare, costituito da parti edificate e altre da aree scoperte e non si ha specifica contezza che il compendio in parola sia stato esattamente e completamente individuato, potendosi, anzi, ricavare il contrario, ove si tenga conto della discrasia in ordine alla misura della superficie scoperta.
Deve, inoltre, considerarsi che con l’atto pubblico le parti conclusero un contratto in parte difforme rispetto a quanto stabilito nel verbale di aggiudicazione, quindi, nella piena consapevolezza della parte acquirente, la quale, a piena conoscenza dell’apposto vincolo e accertata la reale misura della superficie, addivenne alla stipula. In definitiva, venne concluso un contratto concernente oggetto diverso da quello individuato dal verbale di all’aggiudicazione.
Da ciò deriva che con l’atto pubblico si addivenne, in piena consapevolezza, a un negozio giuridico nuovo, che superò la precedente aggiudicazione.
Resta, quindi, non decisivo esplorare la deduzione del controricorrente, che ha richiamato l’avviso di asta pubblica, secondo la quale ‘ Il verbale non tiene luogo del contratto. Il passaggio di proprietà del bene avviene pertanto con la stipulazione del successivo contratto notarile a seguito dell’aggiudicazione definitiva ‘.
11. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il Bando imponeva la rinuncia a ogni contestazione ‘ per l’eventuale differenza fra la consistenza risultante in catasto e la consistenza effettiva dei beni oggetto della gara ‘.
Inoltre, valgono le osservazioni sviluppate in relazione al primo e al terzo motivo.
Il quarto motivo è inammissibile.
Per un verso, va rilevato che i ricorrenti lamentano che il Giudice sia incorso in omessa pronuncia, senza avvedersi che la Corte d’appello ha pronunciato sul punto, dichiarando inammissibile la censura.
Per altro verso, la pretesa violazione delle norme sostanziali richiamate nel motivo qui al vaglio è priva di specifica concludenza, stante che il motivo d’appello, proprio perché giudicato inammissibile, non aprì l’accesso al vaglio della doglianza di merito. Doglianza, che, peraltro, anche in questa sede, non risulta essere stata compiutamente esplicitata.
Il rigetto del primo e del terzo motivo conduce al rigetto anche del quinto.
Senza che qui risulti necessario pronunciarsi sulla natura del provvedimento impositivo del vincolo -se meramente ricognitiva o costitutiva -, quel che assume esclusivo rilievo è la circostanza che l’apposizione di quel vincolo (pur ove sollecitato dalla parte venditrice) risultava pienamente conosciuto dagli acquirenti, i quali, pur in presenza di esso, come si è detto esaminando il primo e il terzo motivo, addivennero alla stipula dell’atto pubblico traslativo.
14. Il sesto motivo va rigettato.
La sentenza di secondo grado, accolto l’appello incidentale dell’I.PRAGIONE_SOCIALE, ha posto a carico degli odierni ricorrenti il rimborso delle spese legali dell’assicurazione, la cui chiamata era stata richiesta dall’Istituto convenuto e, inoltre, ha condannato gli attori a rimborsare le spese di primo grado al convenuto.
La decisione è corretta, in quanto fa applicazione del principio di soccombenza, e, pertanto in esatta linea con la giurisprudenza di
questa Corte, la quale, anzi, mantiene fermo il principio pur ove il chiamante vittorioso non riproponga domanda in secondo grado nei confronti del chiamato.
Si è, per vero, affermato che, allorché il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria – e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria – legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell’attore, pone a carico di quest’ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorché nel secondo grado del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall’altro, l’onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza -mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l’attore ed il terzo – bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo (Sez. 6, n. 1123, 14/01/2022, Rv. 663523; conf., ex multis, Cass. n. 5027/2008).
Nel resto, la statuizione sul capo delle spese, non sussistendo alcuna delle ipotesi derogatorie di legge, ha regolato le stesse in base alla soccombenza, ai sensi dell’art. 9 cod. proc. civ.
15. Rigettato il ricorso nel suo complesso, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore dei controricorrenti.
16. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per compensi, in favore di Lloyd’s of London in euro 8.000,00 e in favore di RAGIONE_SOCIALE in Guerra in euro 7.000,00, oltre, per ciascuna di esse parti controricorrenti, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 giugno