Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19089 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19089 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 00769/2021
vertente tra
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
e
Comune di Reggio Calabria , in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOMEessendo nulla la procura speciale conferita al nuovo difensore NOME COGNOME), in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 784/2019 della Corte di appello di Reggio Calabria, pubblicata il 25/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Cons. NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 26/05/1992, Trapani COGNOME Antonio, COGNOME NOME, COGNOME Vincenzo, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio il Comune di Reggio Calabria davanti al Tribunale della stessa città. Esponevano che, con atto di cessione volontaria del 29/05/1982, stipulato tra il Presidente dell’IACP, delegato dal Comune di Reggio Calabria, e gli attori, comproprietari per la quota di 4/6 di aree assoggettate a procedura espropriativa, era stata acquisita una porzione di 8346 mq, facente parte di un più ampio terreno edificabile, sito in Reggio Calabria, località INDIRIZZO (particelle 134 e 136 del foglio di mappa 105), con la previsione di una indennità a titolo di acconto, salvo conguaglio, ai sensi dell’ art. 1 l. n. 385 del 1980, che prevedeva l’applicazione del valore agricolo medio, salvo il conguaglio nella misura da stabilirsi con apposita legge sostitutiva delle norme dichiarate incostituzionali a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 5/1980. Deducendo che era stata dichiarata l ‘ illegittimità costituzionale anche di tale normativa con sentenza della Corte costituzionale n. 272/1983, gli attori agivano in giudizio per ottenere il giusto conguaglio.
Il Comune si costituiva in giudizio ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere legittimato l’ IACP.
Dopo alcuni rinvii, veniva disposta ed espletata CTU, con la quale veniva stabilito il valore venale del bene nella misura di £ 170.000 al mq, e quindi di complessive £ 1.429.365.005 (€ 738.205,42), nonché l’indennità di espropriazione, ai sensi dell’art. 5 bis l. n. 359 del 1992, pari a £ 722.012.003 (€ 372.888,08) e quella di occupazione in £ 333.518.501 (€ 172.247,93). Il conguaglio veniva, quindi, stabilito in £ 910.504.808 (€ 470.236,49).
Nel corso del giudizio veniva dichiarata la morte di alcuni tra gli attori, cui conseguiva la costituzione degli eredi.
Con sentenza n. 11/2013 del 18/12/2012 il Tribunale di Reggio Calabria dichiarava la propria incompetenza per materia, per essere
competente la Corte d ‘a ppello in unico grado, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.
Con comparsa notificata il 02/04/2013, gli attori riassumevano la causa davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria , ribadendo la richiesta di liquidazione del conguaglio, per il quale era stata espressa riserva nell’atto di cessione volontaria. Rilevavano l’infondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Comune. Aggiungevano che, essendo nel frattempo intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 348/2007, che aveva dichiarato l’illegittimità dei criteri di determinazione dell’indennità stabiliti dall’art. 5 bis l. n. 359 del 1992, cui aveva fatto seguito l’art. 2, comma 89, l. n. 244 del 2007, che fissava un aumento del 10% in caso di cessione volontaria, spettavano agli attori, titolari dei 4/6 dell’immobile, detratto quanto già ricevuto, oltre interessi legali dalla data della cessione volontaria e rivalutazione monetaria a titolo di maggior danno, nonché l’indennità di occupazione nella misura di € 76.557,92, maggiorata del 10%, con gli interessi legali da ciascuna annualità di occupazione e la rivalutazione monetaria.
La causa veniva iscritta al n. 210/ 2018 R.G. della Corte d’appello. Nel costituirsi in giudizio, il Comune ribadiva l’ eccezione di difetto di legittimazione passiva e contestava le domande avversarie.
Nel corso del processo, il Comune rilevava che gli attori avevano già agito in giudizio per ottenere l’indennità di espropriazione in un altro procedimento, all’epoca p endente davanti alla stessa Corte d’appello, e iscritto al n. 711/2013 R.G., a seguito di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione di una precedente sentenza della stessa Corte di merito.
In particolare, il procedimento iscritto al n. 711/2013 R.G. riguardava un giudizio avviato con atto di citazione notificato il 18/04/1992, con il quale NOME COGNOME in proprio e nella qualità di procuratrice dei propri figli, aveva agito davanti al Tribunale di Reggio Calabria per ottenere la giusta indennità di espropriazione
relativamente alla quota dei 2/6 degli stessi beni immobili per i quali gli attori nel l’altro procedimento n. 210/2013 R.G. avevano agito per la residua quota di 4/6.
Con atto di intervento del 23/11/1995, questi ultimi intervenivano nel giudizio n. 711/2013 R.G., chiedendo che il Comune di Reggio Calabria venisse condannato al pagamento della parte di indennità loro dovuta.
Con sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 718/2001, il Comune veniva condannato al pagamento in favore dei soggetti intervenuti della somma complessiva di £ 183.911.000, oltre gli interessi legali sulla somma devalutata di £ 69.713.000, mensilmente rivalutata secondo gli indici ISTAT sul costo della vita dal maggio 1982 al soddisfo.
A seguito dell’appello proposto dal Comune di Reggio Calabria, Trapani COGNOME Antonio, Trapani COGNOME NOME, Trapani COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello incidentale, che con sentenza n. 117/2011 della Corte d’appello, veniva accolto parzialmente, mentre l’impugnazione del Comune veniva interamente rigettata.
Nelle more del giudizio di appello decedevano COGNOME NOME e COGNOME NOME
Avverso la sentenza di appello, i predetti attori, anche nella qualità di eredi di NOME, e NOME, in qualità di erede di COGNOME NOME, proponevano ricorso per cassazione, che veniva accolto limitatamente al motivo con il quale veniva censurata la sentenza di appello, nella parte in cui in essa era stato affermato che la sola contestazione del quantum differenziale aveva fatto passare in giudicato l’applicazione del criterio di cui all’art. 5 bis l. n. 359 del 1992.
Intervenuta la cassazione con rinvio, la causa veniva riassunta davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria e, come sopra evidenziato, iscritta al n. 711/2013 R.G.
I due procedimenti, pendenti entrambi davanti alla Corte d’appello, recanti rispettivamente il n. 210/2013 R.G. e il n. 711/2013 R.G. venivano riuniti e, poi, assunti in decisione.
Con la sentenza in questa sede impugnata , la Corte d’appello di dichiarava la litispendenza tra i due procedimenti riuniti e ordinava la cancellazione della causa iscritta al n. 711/2013 R.G.
Decidendo, poi, sulla causa n. 210/2013 R.G., la stessa Corte determinava in complessivi € 393. 678,57 la somma corrispondente a ll’indennità definitiva di esproprio ancora dovuta (già detratta quella già erogata), ordinando al Comune il deposito della somma spettante pro quota a ciascuno dei comproprietari, maggiorata degli interessi legali.
In motivazione la Corte d’appello specificava che si trattava di interessi legali, aventi natura compensativa, che decorrevano dalla data della cessione volontaria delle aree, effettuata il 29/05/1982 salvo conguaglio, ed escludeva la rivalutazione monetaria richiesta, in assenza di allegazione di un maggior danno.
Avverso tale statuizione hanno proposto ricorso per cassazione i proprietari delle aree cedute, affidato a un solo motivo di impugnazione.
Il Comune si è difeso con controricorso.
Con atto depositato il 19/03/2024 si è costituto un nuovo difensore del controricorrente.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo e unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., l’i llegittimità del mancato riconoscimento automatico della rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di conguaglio del corrispettivo spettante ai ricorrenti a fronte della cessione volontaria al Comune di Reggio Calabria di un terreno di loro proprietà soggetto ad esproprio stipulata in data 29/05/1982, unitamente agli interessi legali su
detto conguaglio rivalutato di anno in anno dalla data della cessione volontaria (29/05/1982) sino al soddisfo, nonostante fossero stati già riconosciuti con effetto di giudicato dalla sentenza n. 718/2001 del Tribunale di Reggio Calabria, in accordo con i principi sanciti in materia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (tra le altre, nelle sentenze COGNOME c/Italia del 19/01/2010, Preite c/Italia del 17/11/2015 e COGNOME c/Italia del 14/04/2015, in aperta violazione, oltre che dell’art. 2909 c.c., anche dell’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla CEDU, e, per l’effetto, dell’art. 117 Cost., nonché degli artt. 32 e 37 d.P.R. n. 327 del 2001.
Il motivo è formulato in base a due ordini di argomentazioni.
In primo luogo, i ricorrenti hanno dedotto che la Corte d’appello, quale giudice del rinvio, negando la rivalutazione monetaria, è incorsa nella violazione del giudicato formatosi a seguito della statuizione adottata dal Tribunale di Reggio Calabria nella sentenza n. 718/2001, ove la somma ritenuta ancora dovuta a titolo di conguaglio era stata rivalutata, non essendo stata appellata in ordine alla rivalutazione operata, ma in relazione ad altri aspetti, come pure aveva accertato la Corte di cassazione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20878 del l’11/09/2013) , adita dai privati, che avevano impugnato la decisione n. 117/2011 della Corte d’appello sull’impugnazione della sentenza n. 718/2001 del Tribunale di Reggio Calabria.
In secondo luogo, i ricorrenti hanno affermato che la rivalutazione monetaria doveva comunque essere accordata, poiché l’orientamento che qualificava il credito all’indennità di espropriazione come credito di valuta era maturato prima delle pronunce della Corte EDU, puntualmente richiamate, riferite all’art. 1 del I° Protocollo Addizionale, che hanno stabilito in maniera inequivocabile che l’indennità di espropriazione di un’area per pubblica utilità, quand’anche operata in maniera legittima , è comunque oggetto di rivalutazione monetaria, non essendo
sufficiente considerare , ai fini della liquidazione dell’indennità, il valor venale del bene all’epoca dell’espropriazione c on i soli interessi.
Occorre preliminarmente rilevare che nel corso del presente giudizio si è costituito un nuovo difensore per il Comune, nominato in sostituzione di quello originario, in virtù di procura speciale redatta su foglio separato, congiunto materialmente all’atto di costituzione nel giudizio di legittimità, autenticata dal nuovo difensore.
È doveroso il rilievo d’ufficio della nullità della procura speciale conferita al nuovo difensore e della conseguente inammissibilità dell’atto di costituzione di quest’ultimo .
Si deve, infatti, evidenziare che nel giudizio di cassazione la procura speciale, data l’elencazione tassativa contenuta nell’art. 83, comma 3 c.p.c., nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 45 l. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis , non può essere rilasciata in calce o a margine di atti diversi dal ricorso o dal controricorso sicché, se non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del menzionato art. 83 c.p.c. e, dunque, con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata che facciano riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 12434 del 19/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 20692 del 09/08/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18323 del 27/08/2014; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7241 del 26/03/2010).
Il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore dell’art. 45 l. n. 69 del 2009 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o
scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2, c.p.c.
Ovviamente l’autenticazione della scrittura privata non può essere effettuata dal difensore, il cui potere di autentica è limitato alle ipotesi previste dall’art. 83, comma 2, c.p.c. (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8902 del 28/10/1994; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3426 del 03/04/1998).
Nella specie la procura depositata in atti, in relazione ad un giudizio instaurato ben prima dell’entrata in vigore della l. n. 69 del 2009, non risulta essere stata conferita secondo le modalità innanzi indicate.
Tuttavia, la nullità della procura e la conseguente inammissibilità dell’atto di costituzione non comporta l’inammissibilità o una improcedibilità del controricorso , poiché ai sensi dell’art. 85 c.p.c. l’originario difensore del controricorrente, ancorché revocato, continua a rappresentare il Comune, non avendo effetto la revoca del mandato in ragione della mancanza di una valida sostituzione (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 28365 del 29/09/2022).
Passando ad esaminare il motivo di ricorso per cassazione, quest’ultimo risulta infondato con riferimento ad entrambi i profili di doglianza.
3.1. Con riguardo al primo profilo, occorre premettere che la pronuncia di litispendenza, con la conseguente cancellazione della causa dal ruolo, adottata dal giudice del rinvio, non ha alcun effetto sull’eventuale giudicato formatosi per effetto della pronuncia di cassazione adottata (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20878 dell’11/09/2013) .
Com’è noto la cancellazione della causa dal ruolo per litispendenza non richiede alcuna riassunzione del giudizio, il quale, pertanto, a seguito della cancellazione, si estingue.
Ai sensi dell’art. 310 c.p.c., l’estinzione del giudizio rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del giudizio.
Questa Corte, infatti, con riferimento ad ipotesi assimilabili a quella in esame (la cancellazione dal ruolo del giudizio di rinvio consentiva la riassunzione, che però non era stata effettuata), ha precisato che la mancata riassunzione determina l’estinzione dell’intero processo (senza precludere la riproposizione della domanda), ma la statuizione della Corte di cassazione resta vincolante per le parti in causa, fermo restando che la decisione di annullamento ha effetto soltanto sui capi della decisione di merito in relazione alle quali essa opera, e cioè soltanto sulle parti cassate, mentre i capi di pronuncia non cassati non sono travolti dall’estinzione e acquistano autorità di giudicato (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 21469 del 31/08/2018; v. anche Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 10337 del 17/04/2024).
3.2. Occorre, pertanto, valutare la portata nel presente procedimento della decisione della Corte di cassazione sopra richiamata, nonostante l’intervenuta cancellazione del giudizio di rinvio per litispendenza.
3.3. Come sopra evidenziato, a seguito della cassazione con rinvio delle sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 117/2011, adottata da questa Corte (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20878 dell’11/09/2013), il giudizio , avviato in primo grado davanti al Tribunale di Reggio Calabria con atto di citazione notificato il 18/04/1992, ove sono intervenuti gli attuali ricorrenti, è stato riassunto davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria , quale giudice del rinvio, e, iscritto al n. 711/2013 R.G., per essere, poi, riunito al giudizio n. 210/2013 R.G., già pendente davanti alla stessa Corte, quale giudice di unico grado.
Con la sentenza in questa sede impugnata, dichiarata la litispendenza, la Corte d’appello ha ordinato la cancellazione della
causa iscritta al n. 711/2013 R.G., relativa al giudizio di rinvio, e ha deciso la causa iscritta al n. 210/2013 R.G., la cui residua materia del contendere, all’esito dell’ordinanza della Corte di cassazione, come correttamente affermato dalla Corte di merito, in base al principio sopra illustrato, ha riguardato la determinazione della somma dovuta a titolo di conguaglio a seguito della cessione volontaria delle aree assoggettate al procedimento espropriativo.
Con la sentenza impugnata per cassazione, la Corte d’appello , per quanto di interesse, aveva:
-condiviso la determinazione del conguaglio dovuto fatta dal Tribunale in € 77.908,00 (comprensivo di rivalutazione ed interessi) non essendo stata detta indicazione censurata in appello dal Comune;
-considerato che non poteva trovare ingresso, per la rideterminazione in melius , la sentenza 348/2007 della Corte costituzionale, stante l’effetto devolutivo dell’appello, dal momento che il Comune aveva chiesto una mera reformatio in peius , mentre gli appellati non avevano contestato il quantum dovuto per indennità, ma solo il quantum dell’acconto e la indebita comprensione della indennità di occupazione nonché il mancato riflesso del conguaglio sulla indennità di occupazione;
-ritenuto che per il ricalcolo della indennità di occupazione legittima, in quanto ancora contestata, doveva essere espunto il criterio limitativo di cui all’art. 5 bis l. n. 359 del 1992 rimosso dalla sentenza della Corte costituzionale, ma che però per tal importo non poteva essere accordata la chiesta rivalutazione monetaria stante, la sua natura di credito di valuta e l’assenza di prova del maggior danno ex art. 1224 c.c.
A fronte di tale statuizione, i privati hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Con il primo motivo hanno denunciato la nullità della sentenza per violazione degli att. 132-161 c.p.c. in relazione alle modalità di sottoscrizione della stessa.
Con il secondo motivo di ricorso hanno denunciato l ‘ errata applicazione dell’art. 39 l. n. 2359 del 1865, la falsa applicazione dell’art. 5 bis l. n. 359 del 1992 e la violazione dell’art. 1 del I° Protocollo Addizionale alla CEDU per avere ritenuto che la contestazione in appello incidentale del solo quantum dell’acconto avesse determinato il passaggio in giudicato del criterio di cui all’art. 5 bis l. cit. ed impedito l’applicazione del valore venale alla liquidazione del conguaglio sul l’i ndennità dovuta per la cessione volontaria delle aree assoggettate ad espropriazione.
Con il terzo motivo di ricorso hanno dedotto la mancata estensione alla indennità di occupazione legittima del computo della rivalutazione monetaria che era stato effettuato, e non impugnato dal Comune, per il calcolo del conguaglio del prezzo di cessione.
La Corte di cassazione ha accolto il secondo motivo di ricorso e respinti gli altri due.
In particolare, il secondo motivo è stato ritenuto fondato, perché il giudice dell’appello aveva erroneamente ritenuto che la indiscutibile contestazione del solo quantum differenziale (per essere stato contestato il quantum di conguaglio indotto da una erronea imputazione d ell’ acconto) non consentiva di dare ingresso allo ius superveniens, dato dalla sentenza n. 348/2007 della Corte costituzionale, mentre, invece, proprio la presenza di censure sulla liquidazione dell’indennità rendeva contestata da parte dell ‘ espropriato detta statuizione e consentiva utilizzare il nuovo criterio di indennizzo, emergente dalla menzionata sentenza di illegittimità costituzionale, dal momento che era stato impugnato il risultato “finale” del calcolo del menzionato conguaglio.
Il terzo motivo, poi, è stato respinto dalla Corte di cassazione che ha evidenziato l’autonomia dell’indennità di espropriazione rispetto
all’indennità di occupazione legittima, recessiva solo per la comune base di calcolo (il giusto valore della indennità, da assumere a parametro di entrambi gli istituti), con la conseguenza che «non rende “contaminabile” anche l’applicazione degli accessori del credito e quindi applicabile in via automatica un errato ma non contestato calcolo della rivalutazione di credito di valuta al diverso istituto che sia stato interamente devoluto alla cognizione del giudice di appello. E bene la Corte ha quindi negato estensione della indebita (errata ma non censurata) rivalutazione automatica del conguaglio del prezzo di cessione al credito per conguaglio di indennità di occupazione legittima, istituto che era ancora da esaminare come credito di valuta (e pertanto quale credito incompatibile con quella rivalutazione).»
3.4. È evidente che il principio enunciato, e applicato, ai fini del rigetto del rigetto del terzo motivo di ricorso per cassazione ha riguardato l’affermata autonomia delle due tipologie di indennizzo, con la conseguenza che la statuizione sugli accessori dovuti per le somme spettati per un tipo di indennizzo non si estende autonomamente all’altro .
Secondo questa Corte di legittimità, in sintesi, in ragione d ell’ autonomia delle due diverse indennità, la Corte d’appello aveva correttamente escluso la spettanza della rivalutazione monetaria sull’indennità di occupazione legittima , essendo il debito per il pagamento di tale indennità un debito di valuta, nonostante la stessa Corte di merito avesse confermato la determinazione del l’indennità spettante a titolo di conguaglio per la cessione volontaria dei beni così come operata dal primo giudice, che aveva (erroneamente) conteggiato anche la rivalutazione monetaria.
Come sopra evidenziato, però, nell’accogliere il secondo motivo di ricorso, la stessa Corte di legittimità ha cassato proprio il capo della decisione della Corte di merito, riguardante la quantificazione della somma dovuta a titolo di conguaglio (che, come sopra
evidenziato, la Corte di merito aveva confermato nella misura determinata dal Tribunale, comprensiva di rivalutazione e interessi), ritenendo applicabile la sentenza n. 348/2007 della Corte costituzionale.
3.5. La cassazione del capo della decisione riguardante la somma dovuta a titolo di conguaglio, in ragione della incidenza degli effetti della menzionata sentenza della Corte costituzionale, ha comportato la cassazione della statuizione relativa alla determinazione dell ‘intera somma dovuta a tale titolo contenuta nella prima sentenza della Corte d’appello , ove il valore delle aree era stato determinato conteggiando rivalutazione monetaria e interessi, con la conseguenza che la caducazione della statuizione sulla somma richiesta a titolo di capitale si riverbera su quella richiesta a titolo di rivalutazione monetaria e di interessi.
In applicazione dell’art. 336 , comma 1, c.p.c., infatti, «la riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulla parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata.»
Come evidenziato da questa Corte, il principio dettato dall’art. 336 c.p.c., secondo cui la riforma o la cassazione parziale della sentenza ha effetto anche sui capi della stessa dipendenti dalla parte riformata o cassata, trova applicazione rispetto ai capi non impugnati autonomamente, ma necessariamente collegati ad altri che siano stati impugnati (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22776 del 25/09/2018; ove la S.C. ha ritenuto che, in tema di contratti bancari, la riforma o la cassazione della sentenza che abbia dichiarato la nullità del contratto di conto corrente per difetto di forma scritta e contenga l’espressa statuizione della non debenza di interessi e spese, impedisce il passaggio in giudicato della parte di sentenza relativa alla non debenza degli accessori, trattandosi di statuizione necessariamente collegata al capo impugnato e riformato o cassato; v. anche Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 3129 del 08/02/2011; cfr.
Cass., Sez. L, Sentenza n. 5550 del 01/03/2021 e Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 1910 del 23/01/2023).
In effetti, il giudicato parziale si forma solo quando l’impugnazione della parte soccombente non si estende ai capi della sentenza che, fondati su presupposti di fatto e di diritto del tutto indipendenti dalle statuizioni impugnate, abbiano, rispetto a queste ultime carattere autonomo ed individualità a se stanti. Viceversa, la formazione del giudicato va esclusa quando i capi non espressamente impugnati siano necessariamente collegati, come accessorio a principale, con alcuni di quelli che, a seguito di impugnazione, siano stati dal giudice del l’impugnazione riformati o annullati.
3.6. Anche il secondo profilo di censura è infondato.
Questa Corte è consolidata nel ritenere che in tema di indennità di espropriazione, non trova diretta applicazione l’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, relativo al diritto alla percezione di una giusta indennità da parte del soggetto privato della proprietà per causa di pubblico interesse, non essendo la materia disciplinata dal diritto europeo ma solo da quello nazionale che, peraltro, recando la possibilità della liquidazione del maggior danno da ritardo per le obbligazioni di valuta, ai sensi dell’art. 1224, comma 2, c. c., consente di soddisfare ugualmente l’esigenza di pieno ristoro del soggetto espropriato, qualora decorra un certo lasso di tempo tra l’espropriazione e la liquidazione dell’indennizzo (cfr. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 32911 del 09/11/2021; v. già Cass., Sez. U, Sentenza n. 9595 del 13/06/2012).
Nel caso di specie, in conformità al principio enunciato, la Corte d’appello ha escluso la liquidazione della svalutazione monetaria, quale maggior danno subito dagli espropriati ex art. 1224 c.c., perché ha ritenuto che non fosse stato neppure allegato un maggior danno.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite sostenute dal controricorrente, che liquida in € 7.0 00,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto, i n applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione