Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18914 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18914 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 37687-2019 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO e domiciliati presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 912/2019 della CORTE DI APPELLO di BRESCIA, depositata il 06/06/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 c.p.c. del 29.2.2016 COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE NOME innanzi il Tribunale di Bergamo, invocando l’accertamento del loro grave inadempimento alle obbligazioni derivanti dai contratti preliminari di compravendita del 17.5.2007, aventi ad oggetto due unità immobiliari in corso di costruzione site in Spirano (BG), la risoluzione dei contratti predetti e la condanna dei convenuti predetti al versamento della somma di € 57.500 in favore di COGNOME NOME e di € 64.718 in favore di COGNOME NOME.
Si costituiva in giudizio il COGNOME, resistendo alla domanda ed invocando, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’inadempimento degli attori ai contratti preliminari di cui è causa, la risoluzione degli stessi e la condanna dei COGNOME al risarcimento del danno.
Con ordinanza del 23.12.2016 il Tribunale accoglieva la domanda principale, dichiarando i contratti preliminari del 17.5.2007 risolti per inadempimento di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e condannando i medesimi al pagamento delle somme richieste da ciascun attore.
Con la sentenza impugnata, n. 912/2019, la Corte di Appello di Brescia riformava parzialmente la decisione di prime cure, limitando la condanna del RAGIONE_SOCIALE ad un importo inferiore di quello riconosciuto dal giudice di prime cure.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME e COGNOME NOME, questi ultimi quali eredi di COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
Con missiva del 15.9.2022 il difensore della parte controricorrente ha rinunciato al mandato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dato atto dell’irrilevanza della rinuncia al mandato operata dal difensore della parte controricorrente, dovendosi dare continuità, sul punto, al principio secondo cui ‘ In virtù del principio della perpetuatio dell’ufficio defensionale, di cui è espressione l’art. 85 c.p.c., nessuna efficacia può dispiegare, in seno al procedimento per Cassazione (caratterizzato, oltretutto, da uno svolgimento per impulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia alla procura che il difensore del controricorrente abbia comunicato all’ufficio in epoca precedente alla già fissata udienza di discussione della causa’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1596 del 14/02/2000, Rv. 533790; cfr. anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 11303 del 28/10/1995, Rv. 494458).
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 702 ter, 702 quater c.p.c., 1453, 2697 c.c., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto accogliere il motivo di gravame con il quale era stata censurata la scelta del Tribunale di decidere la causa secondo il rito sommario, in assenza dei presupposti di legge.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha esaminato la doglianza proposta dall’odierno ricorrente in relazione alla scelta del rito operata dal Tribunale, osservando che il provvedimento con il quale il giudice, ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c., decide che la causa possa essere risolta secondo il rito sommario non è impugnabile per motivi inerenti la valutazione relativa al contenuto delle difese delle parti
ed alla conseguente possibilità, o meno, di adottare il rito semplificato di cui all’art. 702 bis e ss. c.p.c.
Sul punto, va data continuità al principio, affermato da questa Corte, secondo cui ‘ La valutazione, da parte del giudice, della necessità di un’istruzione non sommaria, ai fini della conversione del rito ex art. 702 ter, comma 3, c.p.c., presuppone pur sempre che le parti -e in primo luogo il ricorrente -abbiano dedotto negli atti introduttivi tutte le istanze istruttorie che ritengano necessarie per adempiere all’onere probatorio ex art. 2967 c.c., non potendosi attribuire a tale decisione la funzione di rimetterle in termini per la formulazione delle deduzioni istruttorie, che siano state omesse o insufficientemente articolate “in limine litis” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 24538 del 05/10/2018, Rv. 651152). Va infatti considerato che -come si ricava dalla motivazione del precedente appena richiamato -‘ La specificità del rito sommario ex art. 702 bis c.p.c. risiede anche nella necessità che le parti, ma soprattutto il ricorrente, deducano negli atti di costituzione tutte le istanze istruttorie che ritengono di formulare per adempiere al loro onere probatorio ex art. 2697 c.c. Solo attraverso le concrete allegazioni del thema decídendum e probandum delle parti il giudice può, infatti, valutare nell’ambito di quel processo se la causa possa o meno essere decisa con una istruzione sommaria e in caso di valutazione negativa disporre il mutamento del rito ex art. 702 ter c.p.c. Se la valutazione del thema decidendum e delle prove dedotte dalle parti è tale da far ritenere non provata la domanda il giudice è tenuto a rigettarla, perché, sulla base delle prove dedotte, essa risulta non fondata. La valutazione in merito alla conversione del rito non può essere, quindi, condotta sulla base dell’insufficienza o dell’inidoneità delle prove dedotte a fondamento della domanda, altrimenti la conversione del rito consentirebbe di rimettere nei termini la parte ricorrente per le allegazioni istruttorie, aprendo ad ipotesi di conversione del rito determinate
non dalla natura non sommaria dell’istruttoria da compiere, ma da carenze nelle deduzioni delle prove: ipotesi di conversione del rito non contemplata affatto dall’art. 702 ter c.p.c. Tantomeno può pretendersi che, in applicazione dell’art. 702 ter c.p.c., quinto comma, il giudice superi, avvalendosi dei propri poteri istruttori, eventuali carenze od omissioni probatorie. La disposizione non depone affatto per un superamento o un’attenuazione, nell’ambito del procedimento sommario, dell’onere della prova, come del principio di disponibilità delle prove (Cass. 25/11/2014, n. 4485). Va considerato che il rito sommario mira a definire la lite con rapidità, in ragione della più o meno manifesta fondatezza o infondatezza della domanda e della dipendenza del relativo accertamento da poche e semplici acquisizioni probatorie. La scelta del giudice di merito di esercitare gli ampi poteri d’iniziativa istruttoria, concessigli dall’art. 702 ter c.p.c., comma 5, esprime una valutazione discrezionale, insindacabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione esente da vizi di logica giuridica, restando nel contempo esclusa la sola possibilità di decidere la controversia mediante l’applicazione dell’art. 2697 c.c., quale regola di giudizio, nel senso che il giudice non può dare per esistenti fonti di prova decisive e nel contempo astenersi dal disporne l’acquisizione d’ufficio’ (cfr. pagg. 6 e 7).
Quanto appena esposto non implica, peraltro, alcuna compressione del diritto di difesa delle parti, poiché va considerato che ‘ In tema di procedimento sommario di cognizione, l’art. 702bis, commi 1 e 4, c.p.c., non contempla alcuna sanzione processuale in relazione al mancato rispetto del requisito di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente ed il resistente intendano, rispettivamente, avvalersi, né alla mancata allegazione di detti documenti, al ricorso o alla comparsa di risposta; ne consegue l’ammissibilità della produzione documentale successiva al deposito del primo atto difensivo e fino
alla pronuncia dell’ordinanza di cui all’art. 702ter c.p.c.’ (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 46 del 07/01/2021, Rv. 660176). Ne consegue che le parti sono sempre in grado, anche dopo il deposito del ricorso, o della prima difesa, nel cd. rito sommario, di integrare la loro rispettiva produzione difensiva, fornendo al giudice tutte le prove e tutti gli elementi necessari al fine di pervenire ad una completa comprensione della vicenda dedotta in giudizio. La scelta del rito, sommario ovvero ordinario, quindi, non si riflette in una lesione del diritto di difesa, a condizione che sia rispettata la regola generale di cui all’art. 2697 c.c., secondo la quale l’onere della prova spetta alla parte che intenda avvalersi di un determinato fatto. Poiché nella specie non si configura alcuna violazione di detto principio, la scelta operata dal Tribunale, non censurata dalla Corte di Appello, non ha comportato alcun danno per l’odierno ricorrente.
Con il s econdo motivo, il ricorrente denunzia l’ omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non si sarebbe pronunciata sull’eccezione secondo la quale i titoli di credito consegnati dai COGNOME a fronte dei contratti preliminari oggetto di causa non sarebbero, in realtà, mai stati incassati.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha dato atto che ‘Per quanto riguarda NOME COGNOME i primi quattro assegni, che recano il complessivo importo di € 20.000 sono i medesimi allegati al contratto preliminare prodotto dall’appellante e gli altri due assegni, recanti il complessivo importo di € 25.000 hanno sul retro la firma per girata di NOME COGNOME e lo stesso ne conferma l’incasso. Anche per quanto riguarda NOME COGNOME quattro assegni, che recano il complessivo importo di € 20.000, sono i medesimi allegati al contratto preliminare prodotti dall’appellante, i due assegni recanti il complessivo importo di € 25.000 hanno sul retro la firma per girata di NOME COGNOME e lo stesso ne conferma
l’incasso. A tali importi … sono da aggiungere le ulteriori somme pretese da NOME COGNOME e cioè la somma di € 2.500 portata da assegno che reca sul fronte la firma di NOME COGNOME sotto la dicitura ‘X ricevuta della proposta di acquisto x villetta a schiera in INDIRIZZO 12/8/2006′ e la somma di € 4.718 per importi di cui è documentata la ricezione da parte di NOME COGNOME su prospetto recante la dicitura ‘pagato’ e la sua firma non disconosciuta’ (cfr. pagg. 12 e 13 della sentenza impugnata). Il ricorrente assume, nella doglianza in esame, che la Corte distrettuale non abbia considerato che, in realtà, si trattava di assegni postdatati privi della indicazione del beneficiario, ma di questa eccezione non vi è cenno nella sentenza impugnata, ed il ricorrente non indica in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, essa sarebbe stata introdotta, con conseguente deficit di specificità della doglianza. La questione, dunque, va ritenuta nuova e inammissibile.
A ciò si aggiunga che il COGNOME neppure riproduce, nel proprio motivo, gli assegni ai quali fa riferimento, non rendendo in tal modo possibile al collegio la verifica della decisività della censura. Va ribadito, sul punto, che ‘ In tema di ricorso per cassazione, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n.8569 del 09/04/2013, Rv. 625839; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n.14784 del 15/07/2015 Rv.636120; Cass. Sez. 6-1,
Ordinanza n.18679 del 27/07/2017 Rv. 645334; Cass. Sez. L, Sentenza n.4980 del 04/03/2014 Rv. 630291).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 5.800, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda