Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20010 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20010 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 33356 – 2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dell’avv. P NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliata all’indirizzo pec del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
nonché
LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE di RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliata all’indirizzo pec del difensore iscritto nel REGINDE;
– intervenuta –
avverso l’ordinanza n. cronol. 5247/2019 del 09/08/2019 del TRIBUNALE DI ANCONA; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/9/2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel dicembre 2007, RAGIONE_SOCIALE e l’avv. NOME COGNOME stipularono un contratto di prestazione d’opera professionale, rinnovato annualmente dal dicembre 2008 sino al 2018, con cui stabilirono che, per la consulenza stragiudiziale, all’avvocato sarebbe spettato un compenso fisso e forfettario pari ad Euro 5.000,00 mensili, indipendentemente dalla tipologia o quantità di lavoro svolto e per l’attività di assistenza giudiziale , invece, un compenso parametrato alle tariffe forensi, limitate al minimo in alcuni casi specificamente indicati.
Deterioratisi, nel corso degli anni, i rapporti tra le parti, nel 2018 RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Ancona, l’avvocato NOME COGNOME e, premesso che aveva continuato a versarle indebitamente il corrispettivo mensile per prestazioni di consulenza professionale non più rese, ne chiese la condanna a restituire Euro 113.797,23 (oltre IVA) e l’accertamento della non debenza degli importi chiesti dalla convenuta a titolo di compensi professionali per Euro. 191.000,00, oltre accessori ed IVA; chiese altresì la compensazione di quanto versato con quanto
eventualmente accertato come spettante a titolo di prestazione professionale.
L’avvocato NOME COGNOME si costituì in giudizio contestando integralmente le pretese della ricorrente e chiedendo, in riconvenzionale, la condanna della società al pagamento in suo favore di Euro 506.688,99, «oltre la rivalutazione di cui al contratto sottoscritto nel dicembre 2008 (a valere dal 1° gennaio 2009), gli interessi maturati e maturandi, la rivalutazione dalla messa in mora al saldo», Iva, Cap e oneri come per legge, per compensi giudiziali e stragiudiziali; in via pregiudiziale, chiese disporsi il mutamento del rito da ordinario in sommario ai sensi dell ‘art. 14 d.lgs. 150/2011; chiese, infine, la condanna dell’attrice ex art. 96 cod. proc. civ.
Con ordinanza n. 5247/2019, il Tribunale di Ancona, disposta la conversione del rito, ex art. 14 d.lgs. 150/2011, rigettò la domanda della ricorrente, accolse (seppur in minor misura) le domande riconvenzionali della resistente, condannando la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di Euro 420.000,00 a titolo di compensi per l’attività stragiudiziale ed Euro 55.548,14 per l’attività giudiziale.
Avverso questa ordinanza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sei motivi; l’avvocato NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Con comparsa del 6/9/2024 si è costituita la Liquidazione giudiziale di RAGIONE_SOCIALE a seguito della apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata con sentenza n. 40/23 del Tribunale Civile di Ancona.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi che il fallimento di una delle parti (dal 15 luglio 2022 la dichiarazione di liquidazione giudiziale) che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex artt. 299 e ss. cod. proc. civ., trattandosi di procedimento
dominato dall’impulso d’ufficio, con la conseguenza che non vi è un onere di riassunzione del giudizio nei confronti della Curatela fallimentare; questo non esclude, tuttavia, che il Curatore del fallimento possa intervenire nel giudizio di legittimità al fine di tutelare gli interessi della massa dei creditori, sia pure nei limiti delle residue facoltà difensive riconosciute dalla legge (Sez. 2 – , Ordinanza n. 30785 del 06/11/2023; Sez. 1 – , Sentenza n. 6642 del 13/03/2024).
Con il primo motivo , articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ e degli artt. 1175, 1375 e 1460 cod. civ.: in particolare, la ricorrente ha sostenuto che il Tribunale si sarebbe pronunciato su un thema decidendum diverso da quello introdotto dalle rispettive domande, ritenendo fosse stata contestata l’efficacia o la validità del contratto di consulenza; con la domanda principale, invece, sarebbe stato contestato il diritto dell’avvocato a ricevere i compensi richiesti e chiesta la ripetizione delle somme indebitamente corrisposte; in tal senso, la sua richiesta di tutela sarebbe stata erroneamente qualificata come mera «eccezione» di inadempimento; in ogni caso, non sarebbe stata correttamente effettuata la comparazione di oggettiva proporzionalità dei rispettivi inadempimenti delle parti.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 2722 cod. civ. per avere il Tribunale escluso l’ammissibilità della prova per testi sulla prestazione dell’attività di consulenza in applicazione dei limiti dell’art. 2722 cod. civ., nonostante fosse stata soltanto riscontrata una ricognizione di debito, implicante unicamente inversione dell’onere della prova.
1.3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la società ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. per aver le il Tribunale attribuito l’onere della prova, con riferimento allo svolgimento dell’attività professionale di consulenza legale, invece di onerarne la professionista.
1.4. Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha sostenuto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 1460 cod. civ. per avere il Tribunale errato nel ritenere irrilevante il conflitto di interessi dell’avvocat a per avere ella assistito il Comune di Castelfidardo, laddove l’assunzione di questa difesa avrebbe implicato un comportamento contrario a buona fede nell’esecuzione sia del contratto di assistenza che nell’espletamento della difesa giudiziale, quanto meno a far data dal marzo 2011, con conseguente esclusione del diritto all’adempimento.
1.5. Con il quinto motivo, articolato in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALE ha lamentato che il rigetto delle prove testimoniali richieste sul mancato espletamento dell’attività di consulenza rechi una motivazione meramente apparente.
1.6. Infine, con il sesto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la società ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 702 bis e 702 ter cod. proc. civ. per avere il Tribunale trattato la domanda principale, soggetta a rito ordinario, nelle medesime forme della domanda riconvenzionale, soggetta al rito ex art. 14 d.lgs. 150/2011.
Il sesto motivo, da esaminarsi per primo per priorità logica, è fondato.
Premesso che RAGIONE_SOCIALE aveva agito in ripetizione di indebito e in accertamento dei rapporti di dare/avere con l’avv. COGNOME deve considerarsi che, in seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. cit., può essere introdotta: a) con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bis cod. proc. civ., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato d.lgs.; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 segg. cod. proc. civ., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’art. 702-bis segg. cod. proc. civ., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 cod. proc. civ., e deve essere decisa in composizione collegiale, in base alla riserva prevista per i procedimenti in camera di consiglio dall’art. 50-bis, secondo comma, cod. proc. civ., come peraltro confermato dall’art. 14, secondo comma, del ridetto d. lgs. 1° settembre 2011, n. 150, per i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso (Cass., Sez. 2, 18/9/2019, n. 23259; Cass., Sez. 6-1, 20/6/2018, n. 16186; Cass., Sez. U, 20/7/2012, n. 12609). È esclusa, invece, la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato esclusivamente dagli artt. 702- bis e segg. cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 23/2/2018, n. 4485).
Tali principi valgono, però, per i soli giudizi concernenti la liquidazione di compensi per prestazioni giudiziali rese in materia civile, non anche per quelli volti al conseguimento di compensi per prestazioni professionali rese in ambito stragiudiziale e non inscindibilmente collegate alla difesa in giudizio: la domanda che concerne queste ultime prestazioni, infatti, sia nel regime precedente all’introduzione dell’art. 14 d.lgs. 150/2011 che in quello in vigore, deve essere trattata non
con il rito speciale della liquidazione dei compensi di avvocato, ma con rito ordinario di cognizione ovvero, in alternativa, con il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis cod. proc. civ. innanzi al Tribunale in composizione monocratica (Cass. Sez. 2, n. 19228 del 12/07/2024, con numerosi richiami).
Nel caso di specie, non trovava dunque applicazione l’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 per l’attività di consulenza stragiudiziale perché quest’ultima, come precisato nell’ordinanza impugnata, era del tutto indipendente dall’attività giudiziale di cui era stato chiesto compenso in riconvenzionale, in quanto pattuita come prestazione «continuativa», con compenso fisso e stabilito a forfait , allo scopo di assicurare alla società «una costante disponibilità di un avvocato per ogni tipo di consulenza stragiudiziale, indipendentemente dalla quantità di lavoro effettuata a prezzo fisso»; v. pag. e 6 dell’ordinanza).
Dall ‘erro nea scelta del rito da parte dei giudici di merito per la trattazione della domanda principale concernente l’attività di consulenza è, dunque, conseguito per il ricorrente lo specifico pregiudizio della perdita di un grado di giudizio, atteso che la sentenza del procedimento ordinario sarebbe stata impugnabile con l’appello, mentre l’ordinanza collegiale ex art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 è soltanto ricorribile per cassazione, ex comma quarto dello stesso articolo.
In tale ipotesi, pertanto, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali -che non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria -consente invece di garantire, con la cassazione del l’ordinanza impugnata – l’eliminazione dello specifico pregiudizio subito dalla ricorrente alle prerogative processuali riconosciutole dalla legge (Cass. Sez. 2 , n. 19228 del 12/07/2024 cit.).
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A tale conclusione non osta il principio di apparenza, in virtù del quale l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione operata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall’esattezza di essa (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. ex multis , n. 3712/11 e 26294/07). Questo principio, infatti, assolve la funzione di esentare la parte dal rischio di individuare erroneamente il mezzo d’impugnazione esperibile, ma non preclude al giudice ad quem – e, in particolare, alla Corte di Cassazione -di verificare l’esattezza dell’anzidetta qualificazione (v. n. 4021/80 e 1553/95), e di trarne, di riflesso, le eventuali conseguenze in punto non di ammissibilità del mezzo, ma di compromissione delle facoltà processuali. (così Cass. 19288/24 cit).
Dall’accoglimento del sesto motivo deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento de l primo, del secondo, del terzo e del quinto motivo, tutti concernenti l’espletamento dell’attività di consulenza e, perciò la prestazione di attività professionale stragiudiziale.
3.1. Ugualmente assorbito, ma soltanto parzialmente, è il quarto motivo nella parte in cui ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 1460 cod. civ.: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante il conflitto di interessi dell’avvocata, laddove l’assunzione della difesa del Comune di Castelfidardo avrebbe implicato un comportamento contrario a buona fede nell’esecuzione sia del contratto di assistenza che nella prestazione della difesa giudiziale, quanto meno a far data dal marzo 2011, con conseguente esclusione del diritto all’adempimento.
Sul punto, in particolare, il Tribunale aveva rimarcato che non fosse stato specificato se l’assistenza prestata dall’avvocata in favore del Comune, «peraltro gratuitamente» e in un solo procedimento
amministrativo, fosse stata resa in fase solo stragiudiziale o anche giudiziale e aveva comunque ritenuto irrilevante questa attività in favore dell’ente.
Risulta, allora, evidentemente assorbita ogni censura relativa all’esclusione del conflitto per la prestazione stragiudiziale , dovendo la relativa domanda essere riesaminata con diverso rito, previa separazione.
3.2. Non così, invece, per l’asserita sussistenza di un conflitto anche per le prestazioni giudiziali: per questa parte, infatti, il motivo risulta inammissibile. Sul punto, invero, il Tribunale ha escluso la sussistenza di un conflitto di interessi perché ha rilevato che l’avv. COGNOME ha prestato attività professionale per il Comune di Castelfidardo, peraltro gratuitamente, in un solo procedimento amministrativo, senza che risultasse in atti specificato se in fase solo stragiudiziale o anche giudiziale, e ha rimarcato che quel procedimento « nulla ha a che vedere con l’oggetto del procedimento giudiziario in cui l’avvocato resistente ha assistito il cliente».
Questa motivazione è stata, pertanto, fondata sulla esclusione in concreto e in merito della sussistenza del conflitto per l’attività giudiziale prestata e, in tal senso, non è stata idoneamente censurata: il Tribunale, invero, ha applicato il principio per cui ove non ricorra l’ipotesi del simultaneus processus , nella quale l’esistenza della contrapposizione di interessi è immediatamente percepibile dal giudice, la denuncia del conflitto non può prescindere dall’allegazione delle deduzioni svolte nei due giudizi, allegazione il cui onere grava interamente sulla parte che l’ha eccepita, perché il conflitto d’interessi, seppure possa essere non soltanto attuale ma anche potenziale, non può essere identificato con un’eventualità astratta, ma deve essere riscontrato in stretta correlazione con il concreto rapporto esistente tra le parti i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione. (cfr.
Cass. Sez. 6 – 3, n. 1550 del 24/01/2011; Cass. Sez. 2 n. 1530 del 22/01/2018).
In tal senso, allora, la censura risulta inammissibile perché non idonea a scalfire la valutazione di insussistenza di un conflitto in concreto tra l’attività prestata per il Comune nell’unico procedimento indicato e l’attività giudiziale per cui è giudizio, attesa la mancanza di allegazioni rilevanti: come precisato nel provvedimento impugnato, addirittura non è stato neppure spiegato se sia stata prestata per il Comune attività giudiziale o stragiudiziale.
Nei limiti suesposti il ricorso è accolto e l ‘ordinanza impugnata deve perciò essere cassata limitatamente alla statuizione sui compensi relativi all’attività stragiudiziale , con conseguente rinvio al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, perché provveda alla separazione delle domande concernenti i compensi per prestazioni professionali rese in ambito stragiudiziale al fine del loro riesame con il differente rito prescritto.
Statuendo in rinvio, il Tribunale regolerà anche le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, assorbito il primo, il secondo, il terzo, il quinto motivo e, nei limiti di cui in motivazione, il quarto motivo; dichiara inammissibile per la restante parte il quarto motivo; cassa l’ordinanza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda