Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23530 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 36575/2019
promosso da
Comune di Ogliastro Cilento , in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
nonché contro
Regione Campania , in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato i Roma, INDIRIZZO presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Campania, in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1567/2018 depositata il 15/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’impresa COGNOME Enrico (cui è, poi, succeduta la RAGIONE_SOCIALE) conveniva il Comune di Ogliastro Cilento davanti al Tribunale di Vallo della Lucania, affinché fosse condannato al pagamento della somma di € 63.555,11 ed interessi legali, in ragione del ritardo dei pagamenti dei S.A.L. maturati con riferimento ai lavori di costruzione della strada di collegamento Eredita -Bivio INDIRIZZO.
Nel costituirsi, il Comune eccepiva che nessuna responsabilità poteva essere ad esso addebitata per il tardivo pagamento dei S.A.L., che era stato causato dalla Regione Campania, in quanto i lavori affidati all’impresa erano finanziati dalla Regione con cui il Comune aveva stipulato una convenzione in data 18/09/1989. In ragione di ciò, chiedeva che il Tribunale autorizzasse la chiamata in causa della Regione Campania, in quanto unica responsabile del ritardo nei pagamenti in questione.
Il Tribunale autorizzava la chiamata in causa la Regione Campania, che si costituiva in giudizio deducendo che il Comune era il solo responsabile del tardivo adempimento della prestazione pecuniaria.
Il Tribunale rigettava la domanda, rilevando che all’art. 9 del contratto di appalto le parti avevano pattuito che l’appaltatore non avesse diritto allo scioglimento del contratto né ad alcuna speciale indennità in caso di ritardo nei pagamenti.
La RAGIONE_SOCIALE, succeduta nei rapporti giuridici all’impresa di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, proponeva impugnazione formulando i
seguenti motivi di appello: 1) erroneità della sentenza per difetto di motivazione; 2) non contestazione della somma richiesta dall’appellante. Chiedeva, pertanto, la condanna del Comune e della Regione Campania, in solido tra loro ovvero in via esclusiva, al pagamento della somma di € 63.555,11 con interessi legali ex art. 1283 c.c. dalla data di notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.
L’appellato Comune, nel costituirsi, deduceva la responsabilità esclusiva della Regione Campania e la carenza di colpa da parte del Comune per il ritardo dei pagamenti.
Anche la Regione si costituiva in appello, evidenziando la carenza di una propria responsabilità nei confronti dell’impresa per il ritardo dei pagamenti e l’esistenza di un accordo tra il Comune e la Regione per l’esonero della responsabilità.
La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, con la decisione in questa sede impugnata, condannava il Comune al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di € 63.555,11, oltre interessi al tasso legale ex art. 1283 c.c., a far data dal 19/02/2004 sino al soddisfo.
Avverso tale sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di doglianza.
Entrambe le intimate si sono difese con controricorso.
Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato memoria illustrativa delle proprie conclusioni, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il ricorrente e la società controricorrente hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della l. n. 741 del 1981, degli artt. 35 e 36 d.P.R. n. 1063 del 1962, oltre che degli artt. 1362 e ss. e 1349 e ss. c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere l’impugnata sentenza ritenuto nulla la clausola contenuta nell’art. 9 del contratto di appalto del 19/07/ 1990, intercorso tra il Comune e COGNOME Enrico, nella parte in cui disponeva che «L’appaltatore non ha diritto allo scioglimento del contratto, né ad alcuna speciale indennità nel caso di ritardo nei pagamenti, salvo l’applicazione del disposto dell’art. 4 della legge n. 741 del10.12.1981».
Secondo la Corte d’appello, la clausola era invalida, perché formulata in deroga alla disciplina degli interessi per ritardo nei pagamenti spettanti all’appaltatore di opere pubbliche, prevista dall’art. 4 l. n. 741 del 1981, che: al comma 1, prevede che l’importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande e riserve; al comma 2, riduce da 90 a 60 giorni il termine dilatorio per la produzione di interessi moratori previsto nel capitolato generale di appalto di cui agli artt. 35 e 36 d.P.R. n. 1063 del 1962; al comma 3 commina la nullità dei patti contrari o in deroga.
Nel motivo di ricorso, il Comune ha, però, evidenziato che a tale contratto di appalto è stata allegata la convenzione stipulata con la Regione Campania in data 18/09/1989, con la quale si regolavano i rapporti tra la Regione, destinataria dei finanziamenti, e il Comune, ente attuatore, che espressamente, all’art. 11, disponeva quanto segue: «Allo scopo di assicurare la disponibilità finanziaria necessaria ad una tempestiva esecuzione dei lavori e delle attività di convenzione, la Regione, sempre che le siano stati accreditati i relativi fondi, disporrà in favore dell’Ente l’erogazione delle se-
guenti anticipazioni … » . A tale previsione seguiva, poi, una dettagliata tempistica dell’accreditamento del finanziamento.
Ad opinione del ricorrente, il contratto di appalto aveva recepito la convenzione stipulata tra Comune e Regione, dal momento che, nelle premesse di detto contratto, si leggeva «… che la Convenzione di finanziamento che si allega al presente atto sotto la lettera -a- è stata sottoscritta … » e, poi, si precisava che «… TUTTO CIO’ PREMESSO i predetti sigg. comparenti, previa ratifica e conferma della narrativa che precede, che dichiarano parte integrante del presente contratto …» , per cui, in presenza di una siffatta allegazione ed in presenza di un rinvio espresso di un documento ad un altro, non sussisteva dubbio alcuno che il regolamento contrattuale tra le parti dell’appalto fosse dato dalla somma del contenuto dei due documenti. Ciò comportava che doveva tenersi conto della previsione, contenuta nel richiamato art. 11 della convenzione, ove era previsto che il Comune provvedeva al pagamento in favore dell’appaltatore, sempre che avesse ottenuto l’accreditamento dei relativi fondi, per cui non poteva ritenersi che vi fosse stata alcuna rinuncia o deroga alla disciplina degli interessi, essendo stato soltanto individuato il termine di adempimento dell’obbligazione e, con esso, il momento in cui il credito dell’appaltatore diventava esigibile, in concomitanza con la disponibilità delle somme accreditate dalla Regione.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non avendo la Corte d’appello ritenuto che il regolamento contrattuale tra le parti era dato dalla risultante del contratto di appalto e della convenzione, richiamata nel contratto stesso e ad esso allegata.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 e ss. c.c., dell’art. 4 l. n. 741 del 1981, degli artt. 35 e 36 d.P.R. n. 1063 del 1962, oltre che degli artt. 1362 e ss.
e 1349 e ss. c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere la Corte d’appello accolto la domanda di rivalsa formulata dal Comune nei confronti della Regione, a causa dell’ascrivibilità della responsabilità del ritardo nel pagamento solo a quest’ultima.
Il Comune ha rilevato che la Corte d’appello ha respinto tale domanda, evidenziando che i fatti in apparenza riconducibili alla Regione, quale ente finanziatore, restavano imputabili al solo Comune, in mancanza di una convenzione ulteriore, con la quale l’ente finanziatore garantisce al committente la tempestiva erogazione del finanziamento, senza tenere conto che nella specie la convenzione c’era ed era allegata al contratto di appalto, ove erano state inserite tutte le clausole di esonero della responsabilità per il ritardo nei pagamenti previste nella convenzione stessa.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
In primo luogo, deve subito rilevarsi che il Comune non ha attinto correttamente la ratio della decisione impugnata, tenuto conto che la Corte d’appello non ha ritenuto nulla la clausola contenuta nell’art. 9 del contratto di appalto, ove il Comune e l’impresa hanno concordato che «L’appaltatore non ha diritto allo scioglimento del contratto, né ad alcuna speciale indennità nel caso di ritardo nei pagamenti, salvo l’applicazione del disposto dell’art. 4 della legge n. 741 del10.12.1981».
Al contrario, la Corte distrettuale ha dato applicazione a detta clausola, nella parte in cui ha fatto salva l’applicazione del disposto dell’art. 4 della l. n. 741 del 1981, ancora operante ratione temporis , il quale disciplina il pagamento degli interessi per il caso di ritardo nel pagamento del compenso spettante all’appaltatore nell’appalto di opere pubbliche nei seguenti termini: «1. L’importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale e speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande e riserve. 2.
Il termine di novanta giorni previsto negli articoli 35, primo e secondo comma, e 36, terzo comma, del capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063, è ridotto a sessanta giorni. 3. Sono nulli i patti in contrario o in deroga» .
In secondo luogo, il Comune ha posto una questione di interpretazione del contratto di appalto che, nel ricorso per cassazione, non ha dedotto di avere in precedenza prospettato e, comunque, per come la questione è stata prospettata, non ha individuato le norme sull’interpretazione negoziale asseritamente violate, solo richiamate in rubrica, ma ha semplicemente offerto una soluzione interpretativa diversa da quella operata dal giudice di merito, chiedendo al Giudice di legittimità di aderire ad essa.
Come evidenziato da questa Corte, l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per erronea o insufficiente motivazione, ovvero per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, la quale deve dedursi con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice si è discostato dai suddetti canoni, altrimenti la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella mera proposta di un’interpretazione diversa da quella censurata, come tale inammissibile (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 353 del 08/01/2025; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021).
Inoltre, il ricorrente ha lamentato la mancata considerazione, ai fini dell’interpretazione della volontà negoziale, che al contratto di appalto era stata allegata la convenzione stipulata tra la Regione e il Comune, aggiungendo che ad essa era stato fatto riferimento nelle premesse del contratto, ritenute parti integranti dell’accordo. Tuttavia, dallo stesso ricorso per cassazione si evince che tale richiamo ( «… TUTTO CIO ‘ PREMESSO i predetti sigg. comparenti, previa ratifica e conferma della narrativa che precede, che dichiarano parte integrante del presente contratto …» ) è operato quale
rinvio alla narrativa contenuta nelle premesse e, dunque, ai fini della descrizione dell’attività che ha preceduto la stipula del contratto, e non al diverso fine della determinazione del contenuto negoziale del contratto stesso.
Anche il secondo motivo è inammissibile.
3.1. Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Dalla lettera della norma si evince chiaramente che il fatto asseritamente non esaminato dal giudice deve comunque essere entrato nel dibattito processuale, e ciò al fine di evitare che vengano sottoposte alla Corte di cassazione questioni fattuali nuove.
La norma si riferisce, inoltre, al mancato esame di un vero e proprio fatto storico, inteso come un accadimento naturalistico (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 61, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché ha determinato l’esito del giudizio.
Non integrano, invece, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Per le stesse ragioni, non costituisce omesso esame, nei termini appena indicati, la mancata valutazione di domande o di eccezioni, ovvero dei motivi di appello (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29952 del 13/10/2022).
Il vizio attiene solo alle questioni di fatto, non anche alle questioni di diritto, il cui omesso esame non può mai dar luogo alla cassazione della sentenza in virtù di tale censura.
3.2. Nella specie, il ricorrente ha indicato quale fatto non esaminato la presenza della convenzione tra Comune e Regione, allegata al contratto di appalto. Tale circostanza, invece, è stata considerata dalla Corte di merito, la quale a p. 5 della sentenza impugnata ha precisato che «Nel caso di specie, con contratto del 18 settembre 1989 rep. n. 2750 (all. a al contratto di appalto) la Regione Campania e il Comune di Ogliastro Cilento regolavano i rapporti tra regione destinataria dei finanziamenti per l’esecuzione del programma triennale di Sviluppo del Mezzogiorno e l’Ente attuatore, cioè il Comune di Ogliastro Cilento… » , anche se a detta convenzione la menzionata Corte non ha attribuito la stessa importanza conferita dal Comune.
La censura si risolve dunque in una doglianza che attiene al merito della decisione, come tale inammissibile in sede di legittimità.
Il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile.
Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’azione di rivalsa del Comune nei confronti della Regione.
In realtà, dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso per cassazione non si evince che il Comune, vittorioso in primo grado nei confronti dell’im-
presa, abbia proposto o riproposto azione di rivalsa nei confronti della Regione, essendosi limitato a dedurre la responsabilità esclusiva della Regione Campania per il ritardo nei pagamenti e la carenza di colpa del Comune (p. 3 della sentenza impugnata e p. 3 del ricorso per cassazione).
E, in effetti, la motivazione della sentenza impugnata si è tutta incentrata sulla verifica della responsabilità del Comune o della Regione nei confronti dell’appaltatore, pervenendo la Corte d’appello alla conclusione che nei confronti dell’impresa dovesse rispondere solo il Comune, in assenza di una clausola di esonero della responsabilità ovvero di una convenzione ulteriore con l’appaltatore, con la quale l’ente finanziatore garantisse al committente la tempestiva erogazione del finanziamento (in questo stesso senso Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 21180 del 21/08/2018; Sez. 1, Sentenza n. 22580 del 23/10/2014).
Non risulta, dunque, che il Giudice del gravame sia stato investito di un’autonoma azione di rivalsa del Comune nei confronti della Regione, di cui il Comune non ha fornito alcuna specifica indicazione e descrizione, risultando piuttosto che la controversia abbia riguardato l’individuazione del soggetto (Comune o Regione) tenuto a rispondere del ritardo nei pagamenti nei confronti dell’impresa appaltatrice.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza e pertanto il Comune deve essere condannato al pagamento delle spese sostenute da entrambi i controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il Comune al pagamento delle spese di lite sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE che liquida in € 5.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;
condanna il Comune al pagamento delle spese di lite sostenute dalla Regione Campania, che liquida in € 4.000,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile