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Risoluzione per mutuo consenso dopo 19 anni di inerzia

Un lavoratore ha impugnato un contratto a tempo determinato quasi vent’anni dopo la sua scadenza. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, stabilendo che un’inerzia così prolungata manifesta in modo inequivocabile una risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro, rendendo inammissibile la domanda.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risoluzione per Mutuo Consenso: Quando il Silenzio del Lavoratore Sancisce la Fine del Rapporto

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 3847 del 12 febbraio 2024, affronta un tema di grande rilevanza pratica: fino a che punto l’inerzia di un lavoratore può essere interpretata come una volontà di porre fine al rapporto di lavoro? La Suprema Corte ha stabilito che un’attesa di quasi vent’anni prima di contestare la validità di un contratto a termine costituisce una chiara manifestazione di risoluzione per mutuo consenso, precludendo di fatto ogni successiva pretesa. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla domanda di un lavoratore che, nel 2020, ha avviato un’azione legale contro una grande società di infrastrutture ferroviarie. L’obiettivo era ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a seguito di un contratto a termine scaduto nel lontano 2001. Il lavoratore sosteneva la nullità del termine apposto al contratto e chiedeva, di conseguenza, la conversione del rapporto, oltre a un’indennità risarcitoria e al pagamento delle retribuzioni maturate.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto la domanda. In particolare, la Corte territoriale, pur ritenendo che il lavoratore non fosse formalmente decaduto dal potere di impugnare il contratto, ha concluso che il rapporto si fosse comunque risolto per mutuo consenso. Il motivo? Il lunghissimo lasso di tempo – ben diciannove anni – trascorso tra la scadenza del contratto e l’inizio della causa legale, senza che nel frattempo fossero intervenuti altri rapporti di lavoro tra le parti. Questo silenzio prolungato è stato ritenuto un comportamento inequivocabile, sintomatico della volontà di entrambe le parti di considerare conclusa l’esperienza lavorativa.

La Decisione della Corte di Cassazione e la risoluzione per mutuo consenso

Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione degli articoli 1372, 2727 e 2729 del codice civile. A suo avviso, la mera inerzia non sarebbe sufficiente a dimostrare una volontà concorde di sciogliere il contratto. Per configurare una risoluzione per mutuo consenso, sarebbero necessarie ulteriori circostanze di fatto che, nel loro complesso, denotino chiaramente l’intenzione di porre fine al rapporto.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: l’accertamento della volontà delle parti di sciogliere un contratto è una valutazione di merito, che spetta al giudice delle fasi precedenti del giudizio. Questo tipo di valutazione può essere contestato in Cassazione solo per vizi logici o giuridici nella motivazione, vizi che nel caso specifico non sono stati neppure denunciati correttamente.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la decisione dei giudici d’appello non era basata su un’errata applicazione della legge, ma su un’attenta valutazione dei fatti. La Corte di merito ha correttamente interpretato il comportamento delle parti, ritenendo che un periodo di diciannove anni di totale inattività da parte del lavoratore fosse un elemento talmente forte e significativo da essere considerato sintomatico della volontà di risolvere definitivamente il rapporto.

In altre parole, il tempo trascorso non ha causato una ‘decadenza’ formale dal diritto di agire, ma ha costituito la prova stessa del consenso tacito alla fine del rapporto. La Cassazione sottolinea come questa sia una ricostruzione della vicenda storica che, se motivata in modo adeguato e senza errori logici, non può essere messa in discussione in sede di legittimità. L’inerzia, in questo contesto, non è stata un semplice ‘silenzio’, ma un comportamento concludente che ha assunto un preciso significato giuridico.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: i diritti devono essere esercitati entro tempi ragionevoli. Attendere quasi due decenni per contestare la natura di un rapporto di lavoro non è una strategia percorribile. La pronuncia rafforza il principio della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento. Un datore di lavoro non può rimanere esposto a tempo indefinito a possibili rivendicazioni relative a rapporti di lavoro conclusi molti anni prima. Per i lavoratori, il messaggio è altrettanto chiaro: l’inerzia prolungata e ingiustificata può essere interpretata come una forma di acquiescenza, con la conseguenza di perdere il diritto a far valere le proprie ragioni in tribunale, non per un cavillo procedurale, ma perché il proprio comportamento ha manifestato la volontà di accettare la fine del rapporto.

L’inerzia prolungata di un lavoratore dopo la fine di un contratto a termine può essere considerata come una risoluzione per mutuo consenso?
Sì, secondo la Corte, un lasso di tempo eccezionalmente lungo (in questo caso 19 anni) senza alcuna azione da parte del lavoratore può essere interpretato come un comportamento concludente che manifesta la volontà di risolvere il rapporto di lavoro per mutuo consenso.

Perché il ricorso del lavoratore è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la valutazione sull’esistenza di un mutuo consenso basata sul comportamento delle parti è un accertamento di fatto, di competenza dei giudici di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo in caso di vizi di motivazione o errori di diritto, che nel caso specifico non sono stati riscontrati né adeguatamente contestati.

Qual è la differenza tra decadenza e risoluzione per mutuo consenso basata sull’inerzia?
La decadenza è la perdita di un diritto per il mancato esercizio entro un termine perentorio previsto dalla legge. In questo caso, invece, non si è discusso di termini di decadenza, ma si è ritenuto che la stessa inerzia prolungata del lavoratore costituisse una manifestazione di volontà, equivalente a un accordo tacito con il datore di lavoro per porre fine al rapporto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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