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Risoluzione per impossibilità sopravvenuta: No al Danno

La Corte di Cassazione chiarisce che in caso di risoluzione per impossibilità sopravvenuta di un contratto preliminare, dovuta a fattori esterni non imputabili alle parti, non è dovuto il risarcimento del danno. La vicenda riguardava un contratto per la cessione di quote societarie finalizzato alla realizzazione di una discarica, progetto divenuto impossibile a causa di un contenzioso tra terzi. La Suprema Corte ha stabilito che, in assenza di colpa, l’unica conseguenza della risoluzione è l’obbligo di restituire le prestazioni già ricevute, annullando la precedente condanna al risarcimento delle spese di progettazione.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Risoluzione per Impossibilità Sopravvenuta: Quando il Contratto si Scioglie Senza Risarcimento

La stipula di un contratto preliminare genera grandi aspettative, ma cosa succede se un evento esterno e imprevedibile ne rende impossibile l’esecuzione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema, chiarendo un principio fondamentale: la risoluzione per impossibilità sopravvenuta non dà diritto al risarcimento del danno. Questo caso offre spunti essenziali per comprendere le differenze tra inadempimento colpevole e impossibilità non imputabile.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un contratto preliminare del 2006 per la vendita di quote di una società. L’operazione era strettamente legata alla realizzazione di un complesso progetto: la creazione di una discarica per materiali inerti su terreni di proprietà della società stessa. Per avviare il progetto, era necessaria la collaborazione di una terza azienda, incaricata di predisporre i piani di escavazione propedeutici alla discarica.

Tuttavia, un ostacolo insormontabile si è frapposto: un lungo e complesso contenzioso legale tra terze parti, relativo proprio ai terreni interessati. Questa disputa ha di fatto paralizzato l’attività dell’azienda incaricata della progettazione, rendendo impossibile presentare alle autorità competenti i piani necessari per ottenere le autorizzazioni.

Di fronte a questo stallo, la società promissaria acquirente ha prima esercitato il recesso, ritenendo illegittimo il comportamento dei venditori. Successivamente, ha agito in giudizio chiedendo la risoluzione del contratto, in primis per inadempimento dei venditori e, in subordine, per impossibilità sopravvenuta.

La Decisione dei Giudici e la Risoluzione per Impossibilità Sopravvenuta

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha respinto le accuse reciproche di inadempimento. Ha invece accolto la domanda subordinata, dichiarando la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Secondo i giudici di merito, il contenzioso esterno rappresentava una situazione non prevedibile al momento della stipula del contratto e non superabile con la normale diligenza dalla società acquirente. L’impossibilità di procedere con il progetto aveva, di conseguenza, estinto l’obbligazione.

Oltre a ordinare la restituzione delle somme già versate, la Corte d’Appello aveva però condannato i promittenti venditori a risarcire alla società acquirente le spese sostenute per l’affidamento dell’incarico di progettazione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato la correttezza della diagnosi di risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Il punto cruciale del suo intervento, tuttavia, ha riguardato la condanna al risarcimento del danno. La Suprema Corte ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento: il risarcimento del danno presuppone un inadempimento colpevole, ossia una violazione del contratto imputabile a una delle parti.

Nel caso di specie, l’impossibilità di eseguire la prestazione non era attribuibile né ai venditori né all’acquirente, ma a un fatto estraneo alla loro sfera di controllo. La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, ai sensi degli artt. 1256 e 1463 del Codice Civile, opera di diritto e ha un effetto liberatorio per entrambe le parti. Le uniche conseguenze giuridiche sono di natura restitutoria: le parti sono tenute a restituire le prestazioni che hanno eventualmente già ricevuto, poiché il loro titolo giustificativo è venuto meno. Non vi è spazio per pretese risarcitorie, che nascono invece da una condotta illecita contrattualmente.

Le Conclusioni

La sentenza è di fondamentale importanza pratica. Stabilisce in modo netto che, quando un contratto si scioglie per cause di forza maggiore o per eventi non imputabili ai contraenti, la logica non è quella sanzionatoria del risarcimento, ma quella ripristinatoria della restituzione. Le parti vengono semplicemente liberate dai rispettivi obblighi e devono tornare nella posizione economica in cui si trovavano prima del contratto. Pertanto, la condanna al pagamento delle spese di progettazione è stata annullata, poiché tali costi rappresentano un danno derivante dall’affidamento sulla riuscita del contratto, risarcibile solo in caso di inadempimento colpevole dell’altra parte.

Se un contratto è risolto per impossibilità sopravvenuta non imputabile, la parte che ha sostenuto delle spese ha diritto al risarcimento?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la risoluzione per impossibilità sopravvenuta non imputabile ai contraenti dà luogo unicamente a obblighi restitutori (restituzione di quanto ricevuto), ma non al risarcimento del danno, poiché questo presuppone un inadempimento colpevole.

Qual è la differenza fondamentale tra risoluzione per inadempimento e risoluzione per impossibilità sopravvenuta?
La risoluzione per inadempimento deriva da un comportamento colpevole di una delle parti e può comportare, oltre allo scioglimento del contratto, una condanna al risarcimento dei danni. La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, invece, deriva da un evento non imputabile alle parti, che libera entrambe dagli obblighi e prevede solo la restituzione delle prestazioni eseguite.

Un contenzioso legale tra terzi può costituire una causa di impossibilità sopravvenuta?
Sì. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che il contenzioso pendente tra terzi ha rappresentato una causa esterna, non prevedibile e non superabile, che ha reso di fatto impossibile l’esecuzione della prestazione principale (la realizzazione del progetto), giustificando così la risoluzione del contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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