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Risoluzione implicita del contratto: è ammissibile?

La Corte d’Appello di Ancona ha esaminato un caso di risoluzione implicita del contratto. Nonostante la richiesta formale di risoluzione fosse stata presentata solo nelle conclusioni, la Corte ha ritenuto che fosse implicitamente contenuta nell’atto introduttivo, che già lamentava l’inadempimento di un accordo. Citando la giurisprudenza della Cassazione, l’ordinanza stabilisce che la volontà di sciogliere un contratto può essere desunta da altre richieste incompatibili con la sua prosecuzione. Di conseguenza, la Corte ha sospeso l’esecutività della sentenza di primo grado e ha fissato i termini per il prosieguo del giudizio.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Domanda di Risoluzione Implicita del Contratto: Quando è Valida?

Nel diritto processuale vige il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma cosa accade quando la volontà di una parte emerge implicitamente dai suoi atti? Una recente ordinanza della Corte d’Appello di Ancona affronta proprio il tema della risoluzione implicita del contratto, chiarendo che la sostanza delle richieste prevale sulla loro formulazione letterale. Questo principio, sostenuto dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, permette di considerare validamente proposta una domanda di risoluzione anche se non esplicitata formalmente nell’atto introduttivo.

Il Caso: La Domanda di Risoluzione Tardiva

La controversia nasce da un accordo stipulato nel 2018, in base al quale due tecnici avrebbero dovuto svolgere determinate prestazioni. Una delle parti, ritenendo che i tecnici fossero inadempienti, avviava un’azione legale. Tuttavia, la richiesta formale di risoluzione del contratto veniva inserita soltanto nella precisazione delle conclusioni, ovvero nella fase finale del giudizio di primo grado. Il giudice di prime cure aveva dichiarato tale domanda inammissibile, presumibilmente per tardività. La decisione è stata però impugnata, portando il caso all’attenzione della Corte d’Appello.

La Decisione della Corte d’Appello sulla Risoluzione Implicita

La Corte d’Appello ha ribaltato la prospettiva del primo giudice. Secondo l’ordinanza, sebbene la domanda di risoluzione fosse stata formalizzata solo alla fine, essa doveva considerarsi implicitamente contenuta sin dall’atto introduttivo. In tale atto, infatti, la parte attrice aveva già chiaramente lamentato l’inadempimento dei tecnici rispetto all’accordo, un’allegazione che di per sé presuppone la volontà di non voler più proseguire il rapporto contrattuale.

La Corte ha sottolineato che le richieste avanzate erano del tutto incompatibili con il mantenimento dell’accordo. Non vi era alcuna intenzione di “conservare” il contratto; al contrario, tutto lasciava intendere che l’obiettivo fosse quello di porvi fine a causa della mancata esecuzione delle prestazioni pattuite.

Il Principio della Risoluzione Implicita secondo la Cassazione

Il ragionamento della Corte d’Appello si fonda su un orientamento consolidato della Corte di Cassazione. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente derivare da una domanda espressa. Essa può essere desunta da altre richieste, eccezioni o domande che, per loro natura, presuppongono lo scioglimento del vincolo.

Un esempio classico citato è la domanda di restituzione della somma corrisposta per una prestazione mai ricevuta. Tale richiesta è logicamente incompatibile con la volontà di ottenere l’adempimento del contratto e, pertanto, implica la volontà di risolverlo.

Nessuna Mutatio Libelli

La Corte ha anche precisato che, in un contesto simile, non si può parlare di una modifica inammissibile della domanda (mutatio libelli). Poiché l’intenzione di risolvere il contratto era già insita nelle allegazioni e nelle richieste iniziali, la sua successiva esplicitazione rappresenta una mera precisazione (emendatio) e non un’alterazione sostanziale della domanda originaria.

Le motivazioni

La motivazione centrale della Corte risiede nel principio di prevalenza della sostanza sulla forma. La volontà di una parte deve essere interpretata analizzando il complesso delle sue richieste e allegazioni. Se una parte lamenta un inadempimento grave e formula richieste (come la restituzione di somme o il risarcimento del danno) che non avrebbero senso se il contratto dovesse continuare, la sua intenzione di risolvere il rapporto è palese. Ritenere inammissibile la domanda di risoluzione solo perché non è stata usata la terminologia esatta fin dall’inizio sarebbe un’eccessiva formalità che tradirebbe lo scopo della giustizia. La Corte ha quindi applicato l’orientamento consolidato della Cassazione, secondo cui la domanda di risoluzione è implicita in ogni richiesta che presuppone lo scioglimento del vincolo contrattuale, evitando così di incorrere in una questione di mutatio libelli.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza della Corte d’Appello di Ancona riafferma un importante principio di flessibilità processuale. Le parti in causa non sono vincolate a una rigidità terminologica, purché la loro volontà sia chiaramente desumibile dal contenuto complessivo dei loro atti. Questa decisione implica che una domanda di risarcimento del danno per inadempimento totale o di restituzione di un pagamento può essere sufficiente a integrare una domanda di risoluzione implicita, senza che sia necessario formularla espressamente. La Corte ha quindi confermato la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado e ha fissato la data per la decisione finale, assegnando alle parti i termini per il deposito degli atti conclusivi.

È possibile chiedere la risoluzione di un contratto anche se non è stato richiesto espressamente nell’atto iniziale?
Sì, secondo l’ordinanza, la volontà di risolvere un contratto può essere considerata implicitamente contenuta in altre domande (come la restituzione di una somma o il risarcimento per inadempimento) che presuppongono lo scioglimento dell’accordo, anche se la richiesta formale di risoluzione è formulata solo nelle conclusioni finali.

Quando una richiesta può essere considerata una “risoluzione implicita”?
Una richiesta può essere considerata una risoluzione implicita quando è incompatibile con la volontà di mantenere in vita il contratto. Ad esempio, chiedere la restituzione totale di quanto pagato per una prestazione non eseguita presuppone che non si voglia più l’adempimento di quel contratto.

Formulare una richiesta di risoluzione solo alla fine del processo costituisce una modifica inammissibile della domanda (mutatio libelli)?
No, l’ordinanza chiarisce che se l’intenzione di risolvere il contratto era già desumibile implicitamente dall’atto introduttivo (ad esempio, dalla contestazione di un grave inadempimento e da richieste incompatibili con la sua prosecuzione), la sua esplicitazione successiva non costituisce una modifica inammissibile della domanda, ma una sua semplice precisazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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