Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2533 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2533 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8634/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in Caselle Torinese, in persona dell’amministratore pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, domiciliata per legge in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Corte Suprema di cassazione
-controricorrente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Torino n. 35/2022, pubblicata in data 17 gennaio 2022 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19
ottobre 2023 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Svolgimento del processo
INDIRIZZO in Caselle Torinese ricorre, con otto motivi, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, per la cassazione della sentenza n. 35/2022, pronunciata dalla Corte d’appello di Torino, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino che aveva respinto la domanda di risoluzione del contratto di somministrazione avanzata dall’odierno ricorrente.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il RAGIONE_SOCIALE ricorrente riferisce, in fatto, le seguenti circostanze.
2.1. Premesso che nell’edificio condominiale era stato installato un impianto di cogenerazione di energia elettrica e termica, realizzato dalla società RAGIONE_SOCIALE su incarico della società costruttrice, e che la prima aveva successivamente ceduto a RAGIONE_SOCIALE sia i macchinari che il contratto di somministrazione stipulato con il costruttore, il RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., la RAGIONE_SOCIALE al fine di sentir dichiarare la risoluzione del contratto di somministrazione in conseguenza di una serie di interruzioni del servizio, verificatesi tra l’11 ed il 14 giugno 2018, tra il 1° agosto ed il 3 agosto 2018, in data 10 ottobre e 22 ottobre 2018, lamentando che la mancata erogazione dell’energia aveva privato l’immobile dell’acqua calda sanitaria, del riscaldamento e dell’energia elettric a, determinando anche l’allagamento del piano interrato, il blocco dei cancelli elettrici e dell’illuminazione condominiale.
Costituitasi la società convenuta e convertito il rito, il Tribunale di Torino, ritenuta non imputabile alla società convenuta la sospensione del servizio e, comunque, non sussistente un grave inadempimento, rigettava la domanda di parte attrice.
2.2. Interposto appello dal RAGIONE_SOCIALE, in esito alla costituzione della società appellata, la Corte d’appello ha rigettato il gravame.
In sintesi, ha escluso che vi fosse stata, da parte del giudice di pri mo grado, violazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova e che l’appellata dovesse rispondere, ex art. 1228 cod. civ., del fatto degli ausiliari, ossia della sospensione ‹‹ a monte ›› dell’approvvigionamento dell’energia operata da parte del subfornitore o distributore.
Analizzando i singoli inadempimenti oggetto di contestazione, la Corte territoriale, dopo avere osservato che il Tribunale aveva bilanciato i reciproci comportamenti delle parti, stimando sussistente l’inadempimento, ma dando al contempo atto che il comportamento del RAGIONE_SOCIALE non era esente da censure -poiché a fronte di numerose fatture tutte scadenti il 30 aprile 2018 il RAGIONE_SOCIALE aveva optato unilateralmente per un pagamento frazionato, non aveva risposto ai numerosi solleciti di pagamento del somministrante, né alla richiesta di invio della contabile bancaria dalla quale risultasse il pagamento non rinvenuto -ha confermato che le interruzioni lamentate non potessero giustificare la risoluzione del contratto; ha, inoltre, rilevato l’inammissibilità dei nuovi addebiti mossi dal RAGIONE_SOCIALE in corso di causa concernenti l’interruzione del servizio di riscaldamento avvenuta in data 2 aprile 2019 -perché volti ad introdurre una causa petendi ed un thema probandum del tutto nuovi, non consentiti dalle preclusioni processuali.
La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale
non partecipata.
Il RAGIONE_SOCIALE ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia ‹‹Ai sensi dell’art. 360 comma 1 sub. 3 e sub 4 c.p.c.: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 -1256 -1375 -1453 -1460 c.c. nonché 112 -115 -167 c.p.c. e nullità della sentenza, per avere ritenuto non imputabile a COGNOME, eccedendo i limiti delle allegazioni del convenuto, l’interruzione intenzionale del servizio del giugno 2018 ovvero per avere ritenuto legittima l’eccezione di inadempimento senza che fosse dedotta e provata la fonte dell’ obbligo di controprestazione e senza effettuare il giudizio comparativo e complessivo del comportamento delle parti, così pronunciando oltre i limiti della domanda e le allegazioni di parte, in violazione dei principi di buona fede ed in contrasto con la giurisprudenza della Suprema Corte›› .
Nel censurare la decisione impugnata in ordine al rigetto della domanda di risoluzione con riferimento al dedotto inadempimento relativo al mese di giugno 2018, deduce che la corte di merito ha pronunciato oltre i limiti dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ., sollevata dalla controparte, e non ha fatto buon governo del principio di buona fede, da cui deriva un obbligo di collaborazione e la necessità di una valutazione comparativa dei rispettivi comportamenti ed interessi, e lamenta che non vi è proporzionalità tra il preteso inadempimento ad ess a ascritto e l’interruzione del servizio attinente a bisogni essenziali.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello, nell’esaminare le doglianze rivolte dalla odierna ricorrente alla sentenza di primo grado con specifico riferimento all’interruzione del servizio verificatasi nel giugno 2018,
ha premesso che il Tribunale aveva ‹‹ bilanciato i reciproci comportamenti, stimando sussistente l’inadempimento, ma dando al contempo atto che il comportamento del RAGIONE_SOCIALE sia stato tutt’altro che esente da censure perché: a fronte di plurime fatture tutte scadenti il 30.4.2018 il RAGIONE_SOCIALE ha unilateralmente optato per un pagamento frazionato….; non ha risposto ai plurimi solleciti di pagamento del somministrante….; non ha risposto alla richiesta del somministrante di invio della contabile bancaria dal quale risultasse il pagamento non rinvenuto (pagamento oltre tutto informalmente segnalato non dal RAGIONE_SOCIALE ma da un condomino, docc. 10, 11 convenuto) ›› .
Da tanto ha poi tratto la conseguenza che, poiché nel caso di specie, la società somministrante non si era limitata a sollecitare l’adempimento, ma aveva pure segnalato l’omessa ricezione della documentazione comprovante il pagamento, il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto, nel rispetto del principio di collaborazione gravante sui contraenti, riscontrare tale richiesta, formalizzata da RAGIONE_SOCIALE con l’inoltro di sette e-mail, anche in considerazione del l’avvenuto frazionamento dei pagamenti, unilateralmente deciso dallo stesso RAGIONE_SOCIALE.
La decisione impugnata, in sostanza, non ha escluso la sussistenza di un comportamento inadempiente in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, ma, comparando tale condotta con quella tenuta dal RAGIONE_SOCIALE, ha rilevato che l’interruzione della somministrazione sarebbe stata sicuramente evitata se il RAGIONE_SOCIALE avesse inviato tempestivamente la documentazione comprovante il pagamento delle fatture.
L’impianto motivazionale sfugge alle censure formulate con il mezzo in esame, che, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge ed adducendo un presunto superamento dei limiti delle
allegazioni della controparte, odierna controricorrente, non si confrontano con la ratio decidendi della pronuncia e mirano, in sostanza, a sollecitare un riesame della valutazione comparativa dei comportamenti delle parti e della gravità dell’inadempimento contrattuale, ai fini della risoluzione del contratto, che è rimessa al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se la relativa motivazione, come nel caso in esame, risulti immune da vizi logici o giuridici (Cass., sez. 3, 28/06/2006, n. NUMERO_DOCUMENTO)
2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia ‹‹Ai sensi dell’art. 360 comma 1 sub. 3 e sub 4 c.p.c.: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1228 c.c., 112 e 115 c.p.c. per avere ritenuto, travisando l’eccezione di RAGIONE_SOCIALE e superando i limiti delle sue allegazioni, che in relazione all’episodio del 10.10.2018 la mancata erogazione di energia fosse imputabile a colpa esclusiva del grossista energetico (erroneamente identificato con RAGIONE_SOCIALE) di questa ed escludendo che la resistente ne rispondesse ex art. 1228 c.c. (con irrazionale ed immotivata disparità di trattamento rispetto all’episodio del 11.6.2018) con ciò travisando i precedenti (Cassazione Sezione 3°, ordinanza n. 1581 del 23/01/2018)››.
Lamenta che i giudici d’appello, oltrepassando le allegazioni di RAGIONE_SOCIALE, che aveva genericamente fatto riferimento ad un errore amministrativo sui pagamenti intercorso con il proprio fornitore, hanno erroneamente ritenuto che l’interruzione del servizio del giorno 10 ottobre 2018 fosse imputabile a colpa esclusiva del fornitore all’ingrosso, in tal modo operando una disparità di trattamento rispetto all’episodio del giugno 2018, e che ai rapporti tra grossista e dettagliante (RAGIONE_SOCIALE) potessero applicarsi i medesimi principi che valevano tra il gestore pubblico della rete elettrica (RAGIONE_SOCIALE) ed i rivenditori di energia.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello, in merito alla interruzione della somministrazione del 10 ottobre 2018, ha dato atto che: RAGIONE_SOCIALE, in comparsa di risposta, aveva dedotto che il disservizio ‹‹ era dipeso da un errore amministrativo occorso tra la RAGIONE_SOCIALE ed il suo fornitore energetico, che tale disguido era stato prontamente risolto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE con il suo fornitore in data 11 ottobre 2018 e che comunque nell’arco di poche ore dall’interruzione era stato messo a disposizione un servizio sostitutivo ›› ; nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ., il RAGIONE_SOCIALE non aveva esplicitamente contestato il fatto allegato da RAGIONE_SOCIALE (ossia che la sospensione della somministrazione era dipesa da una sospensione ‘a monte’ dovuta ad errori amministrativi intercorsi con il fornitore ed a quest’ultimo addebitabili), ma si era limitato a dedurre che tale circostanza non potesse valere a giustificare il disservizio.
A fronte di tali pacifiche allegazioni, riportate in ricorso a supporto del motivo in esame, il giudice del merito ha escluso che la sospensione di somministrazione di energia elettrica, ascrivibile al fornitore, potesse integrare inadempimento imputabile alla odierna controricorrente. Ciò in coerenza con il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, che ha chiarito che ‹‹ dei danni derivati, a carico dell’utente finale, dalla mancata erogazione dovuta a malfunzionamento della rete di trasmissione, la società che limiti la propria attività alla mera compravendita dell’energia elettrica non può esser chiamata in nessun caso a rispondere, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., poiché i soggetti cui risale la responsabilità della gestione della rete nelle sue diverse diramazioni, così come delle attività di trasporto dell’energia fino al punto di contatto con le singole utenze individuali, non possono in nessun caso ritenersi ausiliari delle prime ai sensi del citato art. 1228 cod. civ.; che, infatti, alla stregua di tale
ultima norma, possono considerarsi ausiliari del debitore soltanto coloro che agiscono su incarico di quest’ultimo ed il cui operato sia assoggettato ai suoi poteri di direzione e controllo, a prescindere dalla natura giuridica del rapporto intercorrente tra di essi ed il debitore medesimo, ovvero allorché sussista un collegamento tra l’attività del preteso ausiliario e l’organizzazione aziendale del debitore della prestazione ›› (cfr, ex plurimis , Cass., sez. 6 – 3, n. 17705 del 29/07/2010).
Pertanto, una volta escluso che le società che limitano la propria attività sul mercato elettrico alla mera compravendita dell’energia siano dotate di effettivi e concreti poteri direttivi e di controllo sui soggetti cui è affidata la gestione della rete di trasmissione dell’energia e il relativo trasporto (cfr. Cass., sez. 6 – 3, n. 17705 del 29/07/2010; Cass., sez. 6 – 3, n. 28488 del 22/12/2011; Cass., sez. 6 – 3, n. 822 del 20/01/2012; Cass., sez. 6 – 3, n. 2964 del 13/02/2015), deve negarsi che la società controricorrente potesse esser chiamata a rispondere, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., della relativa mancata erogazione per un fatto imputabile al malfunzionamento della linea di trasmissione dell’energia e conseguente distribuzione.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia ‹‹Ai sensi dell’art. 360 comma 1 sub, 3 e sub 4 c.p.c.: in relazione alle interruzioni di servizio del mese di aprile 2019, violazione e falsa applicazione degli artt. 1564 c.c., 153 e 183 c.p.c. per avere ritenuto inammissibile perché tardiva l’introduzione di fatti verificatisi in epoca successiva allo scadere dei termini processuali e non avere considerato la rilevanza dei fatti ai fini del giudizio prognostico sugli inadempimenti futuri da parte del somministrante››. Il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia preso in esame l’episodio dell’aprile 2019 occorso dopo la scadenza della prima memoria ex art. 183 cod.
proc. civ. ed allegato con la seconda memoria, perché ritenuto modificativo del thema decidendum e del thema probandum .
Il motivo è infondato.
È rimasto nel giudizio di merito incontestato, come emerge dalla sentenza impugnata, che con la seconda memoria ex art. 183 cod. proc. civ. il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE 51 ha dedotto, per la prima volta, che l’erogazione del servizio di riscaldamento aveva subito un’ ulteriore interruzione in data 2 aprile 2019, protrattasi sino al 15 aprile, a causa del malfunzionamento dello scambiatore, ossia dell’impianto gestito da RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello ha accolto l’eccezione di tardività dell’allegazione, sollevata da RAGIONE_SOCIALE con la terza memoria ex art. 183 cod. proc. civ., sul rilievo che l’addebito concernente la sospensione del servizio risalente al mese di aprile introducesse una nuova domanda, come tale inammissibile.
La decisione a cui il giudice di appello è pervenuto è conforme a diritto, proprio alla stregua della pronuncia di questa Corte che l’odierna parte ricorrente richiama a supporto della censura in esame.
Con la sentenza n. 25631 del 2018 questa Corte ha precisato che: ‹‹ se è certamente vero che, proposta una domanda di risarcimento del danno “A”, fondata sul fatto costitutivo “B”, mutare l’uno o l’altro di tali elementi significa ampliare non già l’oggetto oggetto del pronuntiare , ma l’oggetto del cognoscere, richiesto al giudice: é dunque tale mutamento inammissibile, perché costituirebbe un mutamento della domanda originariamente proposta ( ex multis , per la sua completezza, si veda in tal senso Sez. 1, sentenza n. 10045 del 15/11/1996, Rv. 500573 01). Tale principio non è tuttavia inderogabile. Ad esso si deroga quando: (a) l’attore riduca in corso di causa l’entità della somma inizialmente richiesta a titolo di risarcimento (Sez. 3, Sentenza n. 3621 del 03/06/1980, Rv. 407473
-01); (b) l’attore deduca che il danno originariamente dedotto in giudizio si sia incrementato in corso di causa, ferma restando la natura di esso e l’identità del tatto generatore (Sez. I ‘ Sentenza n. 10045 del 15/11/1996, Rv. 500573 — 01); (e) l’attore, senza mutare il fatto) generatore della propria pretesa (l’inadempimento o l’illecito ascritto al convenuto), deduca che in corso di causa, dopo) il maturare delle preclusioni, si siano verificati danni ulteriori, anche di natura diversa da eludi descritti con l’atto introduttivo, che dunque gli fu impossibile prospettare ab initio (così già Sez. 3, Sentenza n. 3160 del 13/05/1981, Rv. 406955 -01), e chieda ovviamente di essere rimesso in termini ex art. 153 c.p.c. per formulare la relativa domanda ›› .
Estendendo tali principi al caso di specie, è evidente che il fatto allegato dal RAGIONE_SOCIALE, ossia l’interruzione del servizio in data 10 aprile 2019, integra un fatto generatore di inadempimento diverso ed ulteriore rispetto a quelli già denunciati con l’originario atto introduttivo del giudizio, e non già un danno ulteriore eziologicamente connesso con le condotte inadempienti denuncia te con l’atto introduttivo; trattandosi di fatto che muta la originaria pretesa, in quanto la interruzione del servizio verificato si nell’aprile 201 9 deriva da una condotta inadempiente, asseritamente imputabile a RAGIONE_SOCIALE, diversa da quelle descritte nell’atto introduttivo del giudizio e determina ampliamento del thema decidendum e del thema probandum , deve ritenersi che l’addebito contestato sia stato irritualmente introdotto oltre i termini preclusivi imposti dall’art. 183 cod. proc. civ.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia ‹‹Ai sensi dell’art. 360 comma 1 sub 3), 4) e 5) c.p.c.: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 -1455 e 1564 c.c. anche in relazione agli artt. 112 e 115 -183 c.p.c. per avere violato i criteri legali e giurisprudenziali
alla stregua dei quali valutare la gravità degli inadempimenti nel loro complesso con motivazione meramente apparente e comunque errata, arbitraria e irragionevole omettendo di considerare l’interesse del Condomino consistente nel soddisfacimento di diritti essenziali e di rilievo costituzionale››.
Si duole che la Corte d’appello abbia violato i criteri per la valutazione dell’importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione, omettendo una valutazione complessiva ed unitaria e non considerando gli elementi oggettivi e soggettivi alla stregua dei quali deve essere valutata la gravità dell’inadempimento.
Il motivo è infondato.
Vale osservare come la Corte di appello abbia pronunciato sui singoli adempimenti oggetto di contestazione, esaminando anche quelli verificatisi nel mese di ottobre (10 e 21 ottobre), dopo avere rilevato che la motivazione della sentenza di primo grado non aveva riguardato l’episodio del 10 ottobre, e in esito alla valutazione delle risultanze istruttorie, ha negato che ricorresse la gravità dell’ inadempimento.
A tale proposito, va ribadito che in materia di responsabilità contrattuale la valutazione della gravità dell ‘ inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell ‘ art. 1455 cod. civ., costituisce anch ‘ essa questione di fatto; la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici ( ex multis , Cass., sez. 3, 30/03/2015, n. 6401; Cass., sez. 6 -2, 22/06/2020, n. 12182).
Le censure mosse dal ricorrente, invero già sottoposte al vaglio del giudice del gravame e dal medesimo non accolte, sono in realtà volte a sollecitare un riesame del merito della causa invero
inammissibile in sede di legittimità.
5. Con il quinto motivo il ricorrente censura la decisione gravata ‹‹Ai sensi dell’art. 360 comma 1 sub 3) e sub 4) c.p.c.: violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli articoli 112 115 c.p.c. in relazione alla prova dell’adempimento›› e si addebita ai giudici di appello di non avere tenuto conto che la sussistenza degli inadempimenti era pacifica e che l’onere della prova dell’adempimento incombeva sulla società controricorrente.
La censura è infondata.
Il ricorrente prende le mosse dai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n 13533 del 2001 secondo cui il creditore può limitarsi ad allegare l’inadempimento, ricadendo sul debitore convenuto l’onere di eccepire e provare il fatto estintivo dell’obbligazione costituito dall’avvenuto adempimento o dall’impossibilità dello stesso, e contesta ai giudici di appello di non avere fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere di prova.
La lettura della sentenza impugnata consente, al contrario, di affermare che la Corte territoriale ha tenuto ben presenti i principi sopra richiamati, ma, valutati i comportamenti delle parti, è addivenuta al convincimento che gli inadempimenti contestati, laddove esistenti, fossero di scarsa importanza e, come tali, inidonei a sorreggere la domanda di risoluzione del contratto di somministrazione.
Quanto detto porta ad escludere la violazione del precetto dell’art. 2697 cod. civ., che è co nfigurabile soltanto nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice
abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest ‘ ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del ‹‹ nuovo ›› art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; come pure la violazione dell ‘ art. 115 cod. proc. civ., poiché, ai fini della deduzione di tale ultimo vizio, occorre, invero, denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall ‘ art. 116 cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867).
Non è, parimenti, configurabile il vizio ex art. 112 cod. proc. civ., per essersi la Corte d’appello espressamente pronunciata sulle domande ed eccezioni formulate dalle parti.
6. Con il sesto motivo, denunciando ‹‹Ai sensi dell’art. 360 comma 1 sub 3) e sub 4) c.p.c.: violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 -1256 -1453 c.c. per avere ritenuto non imputabili inadempimenti di cui non era stata dedotta né provata l’impossibilità assoluta››, il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe giudicato inammissibile perché generico il motivo di impugnazione e disatteso, con riferimento ai singoli episodi, il motivo di gravame con il quale era stata impugnata la sentenza di primo grado in punto di accertata ‹‹ non imputabilità ›› degli adempimenti a RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile.
Pur rimarcando che il Tribunale prima e successivamente la Corte d’appello non si sarebbero espresse in merito alla dedotta
‹‹ impossibilità della prestazione ›› , limitandosi a valutare la non ‹‹ ascrivibilità ›› o ‹‹ non imputabilità ›› dell’inadempimento, risulta dal ricorrente non ( quantomeno idoneamente ) censurata la ratio decidendi della pronuncia, l’affermata esclusione della ricorrenza nella specie di un inadempimento di non scarsa importanza ex art. 1455 cod. civ. rispondendo invero ad una valutazione di fatto legittimamente adottata dal giudice di merito nell’esercizio dei propri poteri, incensurabile in sede di legittimità.
7. Con il settimo motivo, rubricato ‹‹Ai sensi dell’art. 360 co. 1 sub 3) e sub 4) c.p.c.: Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 -132 c.p.c. 111 Cost. c.p.c. in relazione alla interruzione del 1.8.2018 per non essersi pronunciata la c orte d’appello sulla eccezione dell’appellante per la quale non era stata dedotta né provata una generalizzata interruzione dell’erogazione di energia sulla rete pubblica››, il ricorrente lamenta che i giudici d’appello hanno completamente omesso di motivare in relazione al motivo di gravame indicato in rubrica e di pronunciarsi sui criteri di valutazione in base ai quali doveva essere valutata la non scarsa rilevanza dell’inadempimento.
La censura è infondata.
Nel fare proprie le conclusioni cui era pervenuto il giudice di prime cure in ordine all’episodio del 1° agosto 2018, la corte d’appello ha ritenuto nella specie fornita la prova che la sospensione della produzione di acqua calda si è verificata a causa della sospensione di energia elettrica da parte della società erogatrice, e che il protrarsi del disservizio è dipeso dal ritardo della relativa segnalazione, avvenuta solo in data 2 agosto 2018; ulteriormente precisando che il problema riscontrato è stato risolto in data 3 agosto, ossia il giorno dopo la segnalazione, come riconosciuto dallo stesso RAGIONE_SOCIALE nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.
La motivazione della decisione sul punto è congrua, non emergendo alcuna delle nelle gravi anomalie argomentative individuate dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014, poiché non si pone al di sotto del cd. ‹‹ minimo costituzionale ›› e rende percepibile il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., sez. U, 03/11/2016, n. 22232).
Non sussiste pertanto né difetto assoluto di motivazione né la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
Con l’ ottavo motivo il ricorrente denunzia ‹‹Ai sensi dell’art. 360 co. 1 sub 3) e sub 4) c.p.c.; in relazione alla interruzione del 10.10.2018, Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. per errata interpretazione degli atti processuali su cui è stata costruita la omessa contestazione›› .
Lamenta che la c orte d’appello ha erroneamente ritenuto i fatti allegati dalla società RAGIONE_SOCIALE per difetto di contestazione specifica.
La censura è inammissibile, in quanto il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione negata dal ricorrente.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione postula, infatti, che il vizio possa essere apprezzato sulla base del contenuto dell’atto, senza necessità di rimandi al contenuto di atti processuali che non siano in esso trascritti (ancorché non integralmente, ma pur sempre nella misura necessaria a integrare la specificità al motivo e a consentirne la valutazione senza necessità di procedere all’esame del fascicolo d’ufficio o di quelli di parte) (Cass. n. 15961/2007, Cass. n. 17253/2009 e Cass. n. 10853/2012; Cass., sez. 3, 13/10/2016, n. 20637). Tale criterio non risulta soddisfatto dall’odierno ricorso ,
giacché le contestazioni del RAGIONE_SOCIALE sono state svolte in difetto della preliminare trascrizione dei passaggi degli atti introduttivi a mezzo dei quali RAGIONE_SOCIALE ha compiuto le proprie allegazioni e l’odierna ricorrente ha replicato.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.200,00 , di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione