Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32225 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32225 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
nei ricorsi
R.G.N. 16775/2019
promosso da
Azienda Sanitaria Locale 3 Genovese (ora ridenominata Azienda Sociosanitaria Ligure 3) in persona del Direttore generale pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente in via principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , in proprio e quale mandataria dell’ A.T.I. composta da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale -avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 1820/2018, pubblicata il 27/11/2018;
e
R.G.N. 2761/2020
promosso da
Azienda Sanitaria Locale 3 Genovese (ora ridenominata Azienda Sociosanitaria Ligure 3) in persona del Direttore generale pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente in via principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , in proprio e quale mandataria dell’ A.T.I. composta da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME e NOME COGNOME, in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale -avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 850/2019, pubblicata il 06/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandataria dell’ATI costituita da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE, ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova l’Azienda Sanitaria Locale 3 Genovese (di seguito anche ASL), deducendo che quest’ultima , con lettera del 19/01/2010, aveva illegittimamente risolto, con effetto dal 01/07/2010, il contratto stipulato il 30/11/2007 con la menzionata ATI, in qualità di vincitrice della gara indetta per l’affidamento del servizio di consulenza e brokeraggio assicurativo per un periodo di sessanta mesi.
La ASL aveva risolto il contratto a seguito della scissione mediante trasferimento, operata in data 20/10/2009, da lla capogruppo dell’RAGIONE_SOCIALE, per effetto della quale la RAGIONE_SOCIALE aveva trasferito alla RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, il compendio patrimoniale della società, relativo ai rami di azienda operanti nel settore della mediazione assicurativa e al settore enti pubblici, avvalendosi dell’art. 12 del Capitolato speciale d’oneri , espressamente richiamato nel contratto di appalto, il quale prevedeva la possibilità che la committente risolvesse il contratto, senza che l’aggiudicataria potesse sollevare eccezione alcuna, in ipotesi di variazione della ragione sociale o trasformazione o mutamento inerente l’istituto e/o la rappresentanza dell’impresa aggiudicataria.
L’attrice ha dedotto che la risoluzione era illegittima, perché la cessionaria aveva ottemperato agli oneri di comunicazione previsti dall’art. 116 d.lgs. n. 163 del 2006 e aveva fornito la dimostrazione che erano mantenuti i requisiti del contraente originario, chiedendo, pertanto, il risarcimento dei danni conseguenti.
Nel contraddittorio delle parti, il Tribunale di Genova, con sentenza non definitiva n. 1906/2013 ha dichiarato che l’anticipata risoluzione
del contratto alla data del 01/07/2010 era illegittima, condannando la ASL al risarcimento del danno cagionato dalla interruzione del rapporto contrattuale e di quello conseguente alla mancata percezione dei compensi per l’attività espletata di predisposizione dei documenti per la gara nuovamente espletata in seguito alla risoluzione, che dovevano essere calcolati nel prosieguo del giudizio. Ha escluso, invece, il risarcimento del danno conseguente alla riduzione delle provvigioni in corso di rapporto e il risarcimento del danno all’immagine.
La decisione è stata subito appellata da entrambe le parti, ma il giudice dell’appello , con la sentenza n. 1820/2018, ha respinto sia l’impugnazione principale sia quella incidentale.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la ASL, con atto notificato il 24/05/2019, affidato a un solo motivo di impugnazione.
Il ricorso è stato iscritto a ruolo con il n. 16775/2019 R.G.
La RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale mandataria dell’ATI costituita da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e NOME RAGIONE_SOCIALE, si è difesa con controricorso notificato il 03/07/2019, recante ricorso incidentale, affidato a quattro motivi.
Fissata udienza in camera di consiglio per il giorno 08/10/2024, entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
Nel frattempo, a seguito della pronuncia della sentenza non definitiva n. 1906/2013, il Tribunale di Genova ha proceduto all’istruttoria della causa e ha disposto CTU , all’esito della quale, con sentenza n. 1187/2016, ha condannato la ASL al risarcimento del danno nella misura di € 30.458,97, oltre interessi dalla scadenza naturale del contratto al saldo.
Avverso tale sentenza ha proposto appello NOME COGNOME chiedendone la riforma. Si è costituita in giudizio l’ ASL, opponendosi all’avversario appello e proponendo appello incidentale.
Con sentenza n. 850/2019, la Corte d’appello ha accolto parzialmente l’impugnazione principale, determinando nel maggiore importo di € 77.874,45 il danno cagionato dall’ASL per la risoluzione anticipata, e ha rigettato l’appello incidentale , con condanna della ASL al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio unitamente alle spese di CTU.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la ASL, affidato a tre motivi di impugnazione.
Il ricorso è stato iscritto al n. 2761/2020 R.G. di questa Corte.
La NOME COGNOME si è difesa con controricorso e ha formulato ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Con istanza depositata il 07/12/2023, la ricorrente ha reiterato la richiesta già formulata con il ricorso per cassazione, volta ad ottenere la riunione della causa a quella recante il n. 16775/2019 R.G.
Fissata l’adunanza camerale del 28/02/2024, entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
Con ordinanza interlocutoria n. 12227/2024 del 06/05/2024, questa Corte ha disposto il rinvio a nuovo ruolo del procedimento per la eventuale trattazione congiunta con il ricorso iscritto al n. 16775/2019 R.G.
Fissata l’adunanza camerale dell’08/10/2024 , le parti hanno depositato nuove memorie difensive.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Prima di esaminare nel merito i motivi di ricorso principale e incidentale, visionati i fascicoli, come richiesto, questo Collegio ritiene di dover disporre la riunione del procedimento recante il n. 2761/2020 R.G. a quello recante il n. 16775/2019 R.G.
Deve, infatti, essere richiamato il principio già da tempo affermato da questa Corte secondo cui i ricorsi per cassazione separatamente proposti contro la sentenza sull’ an e contro quella sul quantum , la quale è oggettivamente condizionata al permanere della prima, devono essere riuniti anche d’ufficio quando la Corte abbia consapevolezza della pendenza dinanzi a sé dei due ricorsi – al fine di costituire oggetto di un’unica decisione -analogamente a quanto stabilito dall’art. 335 c.p.c. per l’ipotesi della proposizione di più impugnazioni avverso la stessa sentenza – e ciò anche nel caso in cui le due sentenze siano state emesse in giudizi distinti, atteso che la connessione che lega la pronuncia sul quantum a quella sull’ an sussiste indipendentemente dal fatto che esse siano state emesse nello stesso procedimento e che quella sul quantum costituisca o meno sentenza definitiva rispetto a quella sull’ an (così Cass., Sez. L, Ordinanza n. 403 del 10/01/2023; Cass., Sez. L, Sentenza n. 6854 del 30/07/1996; Cass., Sez. L, Sentenza n. 5498 del 09/11/1985; Cass., Sez. L, Sentenza n. 3335 del 31/05/1982).
Occorre, a questo punto, esaminare dapprima le censure formulate nel ricorso n. 16775/2019 R.G. e poi quelle contenute nel ricorso 2761/2020 R.G.
R.G.N. 16775/2019
Parte ricorrente in via principale nel ricorso n. 16775/2019 ha formulato il seguente motivo di doglianza:
«1° Motivo di impugnazione ex art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 del d.lgs. n. 163/2006 relativamente al capo della sentenza che ha dichiarato l’illegittimità del recesso dell’ASL 3 in forza dell’art. 12 del Capitolato Speciale d’oneri .»
Secondo la ricorrente, la ASL ha fatto legittimo esercizio dell’art. 12 del Capitolato speciale d’oneri, perché , contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, l’art. 116 d.lgs. n. 163 del 2006, nel
testo applicabile ratione temporis , non può ritenersi una norma inderogabile.
La ricorrente ha dedotto che sono inderogabili o imperative solo le norme che contengono precetti che non possono essere derogati da soggetti pubblici o privati, ma solo applicati e obbediti. Si tratta di disposizioni riconoscibili come tali o perché contengono espressioni inequivocabili, come l’espressa indicazione di inderogabilità o di imperatività, o perché prevedono la sanzione di nullità di eventuali patti contrari. Nessuna di tali caratteristiche, secondo la parte, era riscontrabile nel disposto dell’art. 1 16 d.lgs. n. 163 del 2006.
In particolare, la ASL ha affermato che la giurisprudenza amministrativa, menzionata dalla statuizione impugnata non era conferente, perché riguardava ipotesi in cui l’art. 116 d.lgs. cit. era stato applicato in mancanza di previsioni contrattuali contrarie, mentre nel caso di specie, la pattuizione contraria era esistente e si trattava solo di valutarne la validità.
A tal fine, la ricorrente ha affermato che il disposto dell’art. 116 d.lgs. cit. costituisce una eccezione alla regola della invariabilità soggettiva dell’esecutore dell’appalto , che opera entro limiti ben definiti, e non è prevista come inderogabile.
Conseguentemente, ad opinione della ASL, l ‘ Amministrazione appaltante può legittimamente inserire nel bando, e quindi nei documenti di gara, elementi ulteriori e più restrittivi rispetto a quelli previsti dalla legge, esercitando un potere che rientra nell’ambito della discrezionalità dell’Amministrazione appaltante, attinente al merito dell’azione amministrativa.
In tale ottica, la mancata impugnazione degli atti di gara e la sottoscrizione del contratto, con conseguente accettazione della normativa speciale, che espressamente ne costituiva parte integrante, aveva reso vincolante tra le parti la norma contenuta nell’art. 12 del
Capitolato speciale d’ oneri, con conseguente legittimità della risoluzione contrattuale operata da ll’ ASL.
Con il primo motivo di ricorso incidentale è formulata la seguente censura:
«Violazione del principio di buona fede contrattuale di cui al 1375, cod. civ., c dei principi in materia di contratti pubblici e, in particolare, dell’art. 115, D.lgs. 163/2006, nonché degli artt. 112, 115, 116, c.p.c. con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
Secondo la ricorrente in cidentale, la Corte d’appello ha dato rilievo alla mancata opposizione alla riduzione delle provvigioni a seguito della fusione per incorporazione dell’Azienda ospedaliera Villa Scassi con ASL 3 Genovese, senza tenere conto che la percentuale in precedenza fissata all’esito di procedura ad evidenza pubblica non poteva essere liberamente negoziata tra le parti e poteva essere variata solo dando vita ad un diverso contratto, che avrebbe dovuto seguire la procedura ad evidenza pubblica.
Inoltre, ad opinione della stessa parte, erroneamente la Corte di merito ha ritenuto insussistente la violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto stipulato il 30/11/2007, da parte dell’ ASL, perché quest’ultima aveva modificato del tutto arbitrariamente, nel corso del rapporto contrattuale, la remunerazione posta a carico delle compagnie assicurative a favore del broker, rendendosi inadempiente al contratto stipulato in data 30/11/2007 e arrecando, con il proprio comportamento, danno a RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo di ricorso incidentale è formulata la seguente censura:
«Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con riguardo alla natura pubblica del contratto di brokeraggio.»
Sotto altro profilo, secondo la ricorrente incidentale, la Corte di appello avrebbe dovuto tener conto del fatto che si discuteva di un contratto pubblico, i cui elementi essenziali non potevano essere oggetto di libera negoziazione, essendo pertanto irrilevante ogni eventuale accordo tra le parti che, peraltro, non vi era stato, come meglio specificato nel terzo motivo di ricorso incidentale.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale è formulata la seguente censura:
«Violazione degli artt. 112, 115, 116, c.p.c., con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.»
Secondo la ricorrente incidentale, la Corte d’appello è incorsa nelle menzionate violazioni perché ha ritenuto che l’appaltatore avesse prestato acquiescenza alla riduzione delle provvigioni, mentre invece all’esito delle prove orali è emerso che la percentuale del 6% è stata unilateralmente stabilita dalla ASL.
Con il quarto motivo di ricorso incidentale è formulata la seguente censura:
«Violazione dell’art. 2059, cod. civ., con riguardo all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., avuto riguardo all’erronea esclusione del danno all’immagine.»
Ad opinione della ricorrente incidentale, la sentenza impugnata ha erroneamente escluso la sussistenza di un danno all’immagine per difetto di prova, mentre invece avrebbe dovuto tenere conto che tale danno esisteva in re ipsa in conseguenza della risoluzione unilaterale del contratto da parte della ASL, considerata la perdita di credibilità del contraente, poiché RAGIONE_SOCIALE si era vista negare la prosecuzione del rapporto contrattuale, come se vi fossero le cause ostative di cui all’art. 116 d.lgs. n. 163 del 2006 e, dunque, come se tale società non avesse gli stessi requisiti di legge per l’affidamento di contratti pubblici.
Tale situazione, secondo la RAGIONE_SOCIALE, aveva comportato la perdita di chance di ottenere l’aggiudicazione di nuovi incarichi nello stesso settore, tenuto anche conto che nei bandi di gara per l’aggiudicazione di servizi di brokeraggio da parte della P.A. è richiesto , quale requisito di ammissione, di avere avuto, negli anni precedenti, specifiche esperienze nel settore del brokeraggio assicurativo a vantaggio di Enti pubblici.
Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.
8.1. Come più volte affermato da questa Corte, il motivo d’impugnazione davanti al giudice di legittimità è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della pronuncia impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, con la conseguenza che la mancata considerazione di queste ultime comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, risolvendosi in un “non motivo” del ricorso ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c. (Sez. 3, Ordinanza n. 1341 del 12/01/2024; Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015).
In altre parole, con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22478 del 24/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 11098 del 25/08/2000).
8.2. Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto che la facoltà di risoluzione del contratto, prevista all’art. 12 del Capitolato speciale
d’oneri, espressamente richiamata nel contratto stipulato dalle parti, non potesse essere scollegata dalla valutazione delle caratteristiche del soggetto subentrante, dovendosi tenere conto del disposto dell’art. 116 d.lgs. n. 163 del 2006, che non poteva essere derogato.
Secondo la menzionata Corte, l’art. 116 d.lgs. cit. ha introdotto una deroga al divieto di cessione dei contratti pubblici, sottoponendola alla condizione della sussistenza di requisiti tassativamente individuati, assolvendo alla funzione di contemperare l ‘ interesse dell ‘ Amministrazione con quello della libertà di impresa, in modo tale che coloro che contraggono con la P.A. possano apportare le modifiche necessarie all’esercizio dell’attività di impresa nei limiti delle ipotesi tassative, appunto, stabilite a tutela dell’interesse pubblico.
La Corte ha ricordato come la giurisprudenza amministrativa abbia più volte evidenziato che la ratio sottesa alla norma in esame è quella di consentire alla P.A. appaltante una conoscenza piena dei soggetti che contraggono con essa, allo scopo di consentire un controllo compiuto dei requisiti di idoneità (morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria) dei concorrenti non solo nella fase di scelta del contraente, ma anche successivamente, aggiungendo che il dogma della immodificabilità soggettiva ha subito deroghe legislativamente introdotte e ha trovato temperamento nelle pronunce giurisprudenziali, tant’è che con l’art. 116 d.lgs. cit. è stato ammesso espressamente e senza eccezioni che il soggetto esecutore nel corso del rapporto contrattuale, nei limiti tassativi previsti, possa non solo mutare la propria composizione interna ma anche essere sostituito da un altro soggetto.
La stessa Corte ha aggiunto che la disciplina contenuta nell’art. 116 d.lgs. cit. è stata confermata dalle norme successive, concludendo, a conferma della statuizione di primo grado, che «la circostanza che la norma non lasci alcun margine di discrezionalità alla P.A. rispetto al
subingresso nel contratto della cessionaria depone per una interpretazione della clausola di cui all’art. 12 conforme al dettato normativo» .
Ciò che rileva è che, dopo avere affermato che la norma dell’art. 116 d.lgs. cit. non può essere in alcun modo derogata, la Corte d’appello ha aggiunto che «la circostanza che la norma non lasci alcun margine di discrezionalità alla P.A. rispetto al subingresso nel contratto della cessionaria depone per una interpretazione della clausola di cui all’art. 12 conforme al dettato normativo» .
In altre parole, la Corte di merito ha ritenuto che il menzionato art. 12 del Capitolato speciale dovesse essere interpretato nel senso che, in caso di cessione d’azienda o di un ramo d i azienda, l’Amministrazione potesse risolvere il contratto, ma nei soli casi consentiti dall ‘art. 116 d.lgs. cit. (come pure consentito dallo stesso art. 12 del Capitolato che rinvia, per tutto quanto non previsto al d.lgs. n. 163 del 2006).
La ASL, dunque, nel proporre ricorso per cassazione, avrebbe dovuto censurare la statuizione adottata, nella parte in cui ha operato l’interpretazione contrattuale sopra menzionata, specificando le ragioni della non condivisione della interpretazione operata, mentre, invece, si è limitata ad affermare la derogabilità per via convenzionale delle previsioni contenute nell’art. 116 d.lgs. cit., nel senso maggiormente restrittivo, senza spiegare perché la soluzione interpretativa operata dal Giudice di merito non poteva essere condivisa, ma soltanto sovrapponendo alle ragioni della decisione i propri diversi argomenti, peraltro riferiti alla validità della ritenuta deroga convenzionale alla previsione dell’art. 116 d.lgs. cit. , sebbene la statuizione del giudice non avesse affermato che vi era una deroga convenzionale alla previsione, ma che le previsioni contrattuali andavano integrate nei sensi e per i motivi sopra indicati.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso principale consegue la dichiarazione di inefficacia del ricorso incidentale, ai sensi dell’articolo 334, comma 2, c.p.c., che risulta proposto successivamente alla scadenza del termine semestrale previsto a pena di decadenza dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata, nella specie avvenuta il 27/11/2018.
Ricevuta la notificazione del ricorso principale il 24/05/2019, la controricorrente risulta avere provveduto a notificare il controricorso contenente il ricorso incidentale in data 03/07/2019.
Il ricorso incidentale è stato, dunque, notificato nel termine consentito dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., ma è stato proposto quando era già decorso il termine lungo per impugnare la sentenza.
Com’è noto, dunque, il ricorso incidentale tardivo per cassazione, proposto oltre i termini di cui a ll’ art. 327, comma 1, c.p.c., è da ritenersi inefficace qualora il ricorso principale per cassazione sia inammissibile, senza che, in senso contrario, rilevi che lo stesso sia stato proposto nel rispetto del termine di cui all’art. 371, comma 2, c.p.c. (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 17707 del 22/06/2021).
R.G.N. 2671/2020
Con il primo motivo di ricorso principale nel procedimento n. 2671/2020 R.G. è formulata la seguente censura:
«1° Motivo di impugnazione: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, c. 2, n. 4, c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. per manifesta illogicità della motivazione.
Secondo la ricorrente, la motivazione della sentenza, nella parte in cui ha parzialmente accolto il primo motivo di appello principale, riguardante la polizza RAGIONE_SOCIALE, contiene argomentazioni in netto contrasto con quelle impiegate per respingere il motivo di appello incidentale, con il quale la ASL aveva censurato il criterio impiegato per
la liquidazione del danno, poiché, da una parte, ha liquidato il danno per la mancata percezione della provvigione da parte della RAGIONE_SOCIALE in riferimento a tale polizza, nonostante l’assicuratore av esse esercitato il recesso dal 30/06/2010 e, dunque, prima della risoluzione del contratto, operata dall’ASL per il 01/07/2010, dall’altra, aveva ritenuto necessario e sufficiente, per dimostrare il danno risarcibile, che la RAGIONE_SOCIALE provasse i contratti in essere alla data del 01/07/2010 (data in cui la polizza RAGIONE_SOCIALE non era più operativa).
La censura contiene anche argomentazioni in fatto, riguardanti le valutazioni rimesse al CTU e la ricostruzione dei rapporti tra la ASL e Assimoco (p. 7-9 del ricorso).
Con il secondo motivo di ricorso è formulata la seguente censura:
« 2° Motivo di impugnazione: violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Errata ripartizione e valutazione dell’onere probatorio.»
La ricorrente ha criticato la statuizione della Corte d’appello, nella parte in cui ha liquidato il danno subito, ritenendo che la RAGIONE_SOCIALE non fosse tenuta a provare la prosecuzione dei contratti assicurativi dopo la risoluzione ad opera della ASL del contratto di servizi e brokeraggio, per essere sufficiente la dimostrazione di quelli che erano in esecuzione alla data di risoluzione del menzionato contratto (01/07/2010), deducendo, poi, per presunzioni quelli proseguiti fino al 31/12/2012.
Con il terzo motivo di ricorso è formulata la seguente censura:
«3 ° Motivo di impugnazione: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c.: vizio di motivazione in relazione al capo della sentenza che ha liquidato le spese del giudizio di appello.»
Parte ricorrente ha evidenziato che la Corte d’appello ha accolto solo in parte uno dei motivi di appello principale, respingendo le ulteriori richieste di risarcimento, essendovi stata dunque soccombenza reciproca, che giustificava la compensazione in tutto o in parte le spese di lite.
Con il primo motivo di ricorso incidentale è formulata la seguente censura:
«C1) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 279, 339 e 340, c.p.c. e 2697, cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Errata ripartizione dell’onere probatorio.»
La RAGIONE_SOCIALE ha censurato la statuizione relativa alla polizza RAGIONE_SOCIALE, denunciando, da un lato, che la Corte d ‘a ppello non ha ritenuto esistente il contratto, nonostante la mancata contestazione della ASL 3, e, d ‘ altro lato, che la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto che detto contratto non fosse in corso al momento dell ‘anticipata risoluzione, mentre lo era, essendo stato prorogato fino al 28/10/2010, assumendo rilievo anche il fatto che, poi, la ASL aveva stipulato un nuovo contratto di assicurazione dello stesso rischio con altra compagnia.
La stessa parte ha, inoltre, criticato la mancata considerazione, ai fini della quantificazione del danno, del premio riferito al contratto di assicurazione stipulato con la Unipol, nonostante la sua esistenza non fosse mai stata contestata dalla ASL, se non tardivamente.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale è formulata la seguente censura:
«C2) Violazione degli artt. 115, 279, 339 e 340, c.p.c., con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.»
La NOME COGNOME ha dedotto che la sentenza impugnata aveva operato una impropria modifica della sentenza parziale del Tribunale, confermata dalla Corte d’appello, nella parte in cui non ha riconosciute
provvigioni all’esito dell’aggiudicazione della polizza RCT/RCO a RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile.
15.1. Com’è noto, in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta dalla novella del 2012) non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano
la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche qualora sussista un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito, nei limiti sopra indicati, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 05/08/2016).
15.2. Nella specie, è senza dubbio inammissibile il motivo nella parte in cui contiene argomentazioni in fatto, riguardanti le valutazioni del CTU e la ricostruzione dei rapporti tra la ASL e RAGIONE_SOCIALE, come ritenuti dalla parte, che esprimono le valutazioni di merito da quest’ultima ritenute corrette, del tutto estranee al vizio prospettato.
Come già evidenziato, il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, non essendo conferito alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale
e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023).
15.3. Per il resto, il motivo non coglie la ratio della decisione impugnata, nella parte in cui la Corte d’appello ha parzialmente accolto il motivo di impugnazione della RAGIONE_SOCIALE, liquidando l’importo di € 1.215.782,00 a titolo di provvigione maturata in favore di quest’ultima nell’ anno 2010, e non a titolo di mancata percezione di provvigioni per il tempo successivo alla risoluzione anticipata (in relazione alle quali si riferisce l’ulteriore statuizione , che ha rigettato l’appello incidentale dell’ASL ). Si legge, infatti, nella sentenza, quanto segue: «Tuttavia, la Corte osserva -accogliendo la doglianza di parte appellante – che il primo giudice non ha tenuto conto del contratto RAGIONE_SOCIALE almeno per l’annualità 2010, annualità in relazione alla quale NOME RAGIONE_SOCIALE aveva già maturato il diritto alla provvigione. … Poiché il contratto con RAGIONE_SOCIALE era stato stipulato in data 31/3/2009 con decorrenza dalle ore 24,00 del 31/3/2009 fino al 31/12/2012 (cfr. pag. 5 della c.t.u.), ne discende che fino alla data del recesso operato da RAGIONE_SOCIALE (30/6/2010) tale contratto era in corso di validità e, in base a quanto affermato dal c.t.u., ‘al Broker compete la provvigione anche quando il contratto si interrompe prima dell’annualità’. …All’appell ante competono quindi i 9/12 del premio relativo alla polizza RAGIONE_SOCIALE e della relativa estensione ‘colpa grave art. 28 polizza’ per l’anno 2010. …» .
La ASL, dunque, ha prospettato una illogicità della decisione inesistente, perché non ha colto la ratio posta a fondamento della
liquidazione operata in riferimento alla polizza RAGIONE_SOCIALE per il solo anno 2010, ponendo sullo stesso piano situazioni diverse.
Anche il secondo motivo di ricorso principale è inammissibile.
16.1. Com’è noto, i l ricorso alle presunzioni è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato (Cass., Sez. L, Sentenza n. 154 del 10/01/2006).
16.2. Nella specie, prospettando la violazione di legge, riferita alle regole di riparto dell’onere della prova, la parte ha , in realtà, sindacato la valutazione del materiale probatorio operata dal giudice, non condividendo il ricorso alle presunzioni, pur motivato, con argomenti che non attengono alla violazione di norme di diritto, ma semplicemente dissentendo dalla valutazione operata, così formulando una censura inammissibile in sede di legittimità.
Il terzo motivo di ricorso principale è in parte inammissibile e in parte infondato.
17.1. La valutazione in ordine alla possibilità di compensazione delle spese di lite costituisce, infatti, espressione della discrezionalità del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità (v. tra le tante, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017).
17.2. La ricorrente, inoltre, offre una valutazione isolata dell’esito del giudizio di appello, mentre, invece, il giudice del gravame, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 27056 del 06/10/2021).
Il primo e il secondo motivo di ricorso incidentale possono essere esaminati congiuntamente, tenuto conto della connessione esistente, e si rivelano entrambi inammissibili.
Con entrambi i motivi di impugnazione la parte ricorrente incidentale ha prospettato plurime e indistinte violazioni di legge, ma nell’illustrare le censure ha contestato le valutazioni in fatto delle risultanze istruttorie con argomentazioni che, come sopra evidenziato, attengono al merito della vertenza.
Statuizioni finali
In conclusione, riuniti i procedimenti, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso principale e inefficace il ricorso incidentale nel procedimento n. 16775/2019 R.G., mentre deve essere rigettato il ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale nel procedimento n. 2761/2020 R.G.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento ad opera di entrambe le parti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per le impugnazioni proposte, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
riuniti i procedimenti, dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficace il ricorso incidentale nel procedimento R.G.N. 16775/2019; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale nel procedimento R.G.N. 2761/2020; compensa interamente tra le parti le spese di lite;
dà atto, a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento ad opera di entrambe le parti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per le impugnazioni proposte, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile