Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5891 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5891 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15619/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (-) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, domiciliate ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonchè contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 7256/2018 depositata il 14/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Su domanda di NOME COGNOME (promissario acquirente), il Tribunale di Roma dichiarò dapprima la risoluzione del contratto preliminare di compravendita stipulato il 3 ottobre 1998 con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (promittenti venditori) per inadempimento di costoro. Condannò pertanto i convenuti alla restituzione della somma versata in acconto, pari ad € 65.073,56, oltre interessi dalla data della domanda giudiziale. Con successiva sentenza definitiva, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò l’attore che aveva avuto la detenzione anticipata dell’immobile al pagamento dell’importo di € 1.335,37 mensili, decorrenti dal momento della scadenza dell’ordine di rilascio (31 gennaio 2010) all’effettivo abbandono dell’appartamento.
Su gravame principale di NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME (quest’ultima anche in proprio), quali eredi dei genitori nel frattempo defunti, nonché di NOME COGNOME (altro
erede) ed incidentale del COGNOME, con sentenza n. 7256, depositata il 14 novembre 2018, la Corte d’appello di Roma accolse l’impugnazione principale, disponendo la compensazione delle contrapposte voci di debito-credito e stabilendo che la somma dovuta per l’occupazione dell’immobile fosse aumentata degli interessi legali, decorrenti dalla domanda (19 agosto 2003) fino all’effettivo escomio (20 giugno 2011).
Il giudice di secondo grado affermò che l’efficacia retroattiva della pronunzia costitutiva di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare, stabilita dall’art. 1458 c.c., avrebbe comportato l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, ed a prescindere dall’imputabilità delle inadempienze, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione d’indebito. Ciò avrebbe implicato che il promissario acquirente, che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita, debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di un unico motivo.
Hanno resistito con distinti controricorsi, da un lato, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME e, dall’altro, NOME COGNOME.
In prossimità dell’udienza camerale, tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unica doglianza, il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 1458 c.c. nonché degli artt. 2033, 2037 e 1803 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.
La Corte d’appello si sarebbe uniformata alla giurisprudenza di questa Suprema Corte che, nel ricostruire la fattispecie della risoluzione del contratto preliminare ad effetti anticipati sotto un profilo dogmatico, avrebbe ipotizzato la sussistenza, accanto alla promessa di vendita vera e propria, di un contratto accessorio di comodato produttivo di effetti meramente obbligatori. Orbene, si profilerebbe un contrasto -a proposito della condanna al pagamento dell’indennità di occupazione tra la data della consegna e quella della restituzione -fra pronunzie che considerano la condanna un effetto restitutorio e quelle che considerano la condanna una delle voci di risarcimento del danno. Rispetto al promittente venditore, la retroattività della pronunzia stabilita dall’art. 1458 c.c. comporterebbe di per sé l’inefficacia del contratto di comodato d’uso e la restituzione dell’equivalente pecuniario del godimento, nel periodo compreso fra la consegna ed il rilascio del bene. In tal modo, verrebbe però violato il disposto di cui all’art. 1458 c.c., giacché il comodato, essendo un contratto ad esecuzione continuata, sarebbe insensibile all’effetto restitutorio, che non potrebbe comprendere le prestazioni già eseguite.
Inoltre, l’inadempimento del promittente venditore determinerebbe un arricchimento patrimoniale in favore del medesimo, trasformando la detenzione dell’immobile promesso in vendita da gratuita in onerosa. Conseguirebbe, altresì, la violazione dell’art. 1803 c.c., giacché sarebbe imposto al comodatario di indennizzare la controparte (inadempiente) per il mancato godimento di un bene consegnatogli a titolo gratuito. L’orientamento seguito dalla Corte d’appello si porrebbe infine in contrasto con gli artt. 2033 e 2037 c.c., in tema di indebito oggettivo, non essendo applicabile la condictio indebiti in mancanza di un mutamento patrimoniale tra le parti.
Il motivo è inammissibile, in forza dell’art. 360 bis c.p.c.
Come ha riconosciuto lo stesso ricorrente, l’orientamento assolutamente pacifico di questa Suprema Corte è nel senso che l’efficacia retroattiva della risoluzione, per inadempimento, di un contratto preliminare comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest’ultimo i frutti per l’anticipato godimento dello stesso. Ne consegue che, nel caso di occupazione di un immobile fondata su di un titolo contrattuale venuto meno per effetto della risoluzione giudiziale del contratto, va esclusa la funzione risarcitoria degli obblighi restitutori (Sez. 2, n. 35280 del 30 novembre 2022; Sez. 2, n. 6575 del 14 marzo 2017; Sez. 2, n. 16629 del 3 luglio 2013).
In particolare, è stato autorevolmente affermato che, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si realizza un’anticipazione degli effetti traslativi, fondandosi la disponibilità conseguita dal promissario acquirente sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori (Sez. U., n. 7930 del 27 marzo 2008; Sez. 2, n. 5211 del 16 marzo 2016).
In tal senso, si è altresì sostenuto che, nell’ipotesi di risoluzione del preliminare per inadempimento, il danno da illegittima occupazione dell’immobile, nel frattempo consegnato al promissario acquirente, discendendo da un distinto fatto illecito -determinato dal mancato rilascio del bene dopo la risoluzione -legittima il promittente venditore a richiedere un autonomo risarcimento, ragguagliato al pagamento dell’indennità di occupazione dalla data di immissione del promissario acquirente nella detenzione del bene sino al
momento della restituzione (Sez. 2, n. 7868 del 20 marzo 2019; Sez. 3, n. 19403 del 30 settembre 2016; da ultimo Sez. 3, n. 5651 del 23 febbraio 2023, che ha ammesso il cumulo tra la penale per l’inadempimento e l’indennità di occupazione).
La suddetta costruzione viene attaccata dal COGNOME sul piano sistematico. Il ricorrente sostiene che, una volta stabilita la presenza di un contratto preliminare di compravendita accompagnato da un contratto di comodato d’uso, pur non potendosi dubitare che la risoluzione per inadempimento comporti l’inefficacia anche dei contratti accessori, non potrebbe però negarsi che le conseguenze di tale inefficacia dipendano dalla particolare natura di siffatti contratti. Nel dettaglio, per il contratto di comodato, essendo un negozio ad esecuzione continuata, l’effetto della risoluzione non si potrebbe estendere alle prestazioni già eseguite.
La predetta opinione non può essere condivisa, sicché il Collegio ritiene di dover confermare il consolidato orientamento di questa Suprema Corte. Invero, il presupposto del ragionamento del ricorrente è che la risoluzione del contratto preliminare di vendita non travolga anche il negozio accessorio di comodato e che, pertanto, gli effetti restitutori di cui all’art. 1458 c.c. debbano arrestarsi di fronte alle prestazioni già esaurite.
In realtà la fattispecie, come tutte le ipotesi di contratto preliminare di compravendita con consegna anticipata, va ricompresa in un negozio misto o innominato, la cui causa è costituita dalla fusione delle cause di due o più contratti tipici (preliminare di compravendita e comodato precario). Se, dunque, in passato si è parlato di negozi formalmente distinti -ancorché in rapporto di accessorietà -l’affermazione va ulteriormente specificata, nel senso che la causa è comunque unica, data l’unitarietà funzionale dell’operazione che contraddistingue il
collegamento negoziale. In altri termini, anche a voler ipotizzare una distinzione, ove gli effetti del principale fra i due contratti non si possano produrre, verrebbero meno anche gli effetti di quello accessorio, restando altrimenti frustrata la finalità complessiva dell’operazione economica voluta dai contraenti.
Ad ogni modo, appare preferibile rimarcare l’unicità della causa e riaffermare, pertanto, l’indirizzo di questa Corte, secondo cui il contratto misto trova la sua disciplina giuridica in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (Sez. 3, n. 26874 del 20 settembre 2023; Sez. 2, n. 17855 del 22 giugno 2023).
In conclusione, venuta meno la causa del contratto, va ribadito l’obbligo di restituzione, a norma dell’art. 2033 c.c., della cosa stessa e degli eventuali frutti (” condictio indebiti ob causam finitam “) dal momento della domanda.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, come liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione civile, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore di NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 8.500 (ottomila/500) per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%, con distrazione al procuratore antistatario, nonché a favore di NOME COGNOME, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 8.500 (ottomila/500) per
compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma il 28 febbraio 2024