LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Risoluzione contratto franchising e abuso del diritto

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di risoluzione contratto franchising per inadempimento. Un’azienda affiliata si opponeva alla risoluzione, sostenendo l’esistenza di un accordo verbale per il pagamento rateale dei canoni non pagati. La Corte ha respinto il ricorso dell’affiliato, confermando le decisioni dei gradi precedenti, per motivi procedurali e di merito. In particolare, è stata sottolineata la mancata prova dell’accordo rateale e l’assenza di un abuso del diritto da parte dell’azienda franchisor, data la persistenza del debito. Il controricorso del franchisor è stato dichiarato inammissibile per un vizio nella procura.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risoluzione Contratto Franchising: Quando l’Inadempimento Giustifica la Fine del Rapporto

La risoluzione contratto franchising è un tema delicato che spesso finisce nelle aule di tribunale. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre spunti cruciali sull’importanza della prova, sui rigidi requisiti procedurali e sul concetto di abuso del diritto. Il caso analizzato riguarda la decisione di un’azienda franchisor di terminare il rapporto con un affiliato a causa del mancato pagamento dei canoni (royalties). L’affiliato, tuttavia, sosteneva di aver raggiunto un accordo successivo per un piano di rientro, che avrebbe dovuto sanare la sua posizione e impedire la risoluzione.

I Fatti del Contenzioso

Una società affiliata (franchisee) veniva citata in giudizio dal proprio franchisor per la risoluzione del contratto a causa del mancato pagamento delle royalties. Il franchisor si avvaleva di una clausola risolutiva espressa, una pattuizione contrattuale che consente di terminare il rapporto in modo automatico al verificarsi di un determinato inadempimento.

L’affiliato si opponeva, sostenendo che, nonostante l’inadempimento, le parti avevano successivamente concordato un piano di rientro per il debito. A prova di ciò, aveva effettuato il pagamento delle prime due rate. Tuttavia, il franchisor aveva comunque dichiarato la risoluzione del contratto, disattivando tutti i servizi e oscurando la visibilità degli immobili gestiti dall’affiliato.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello respingevano le richieste dell’affiliato, ritenendo non provata l’esistenza di un valido accordo per il piano di rientro. In particolare, il documento prodotto dall’affiliato non era stato firmato da un rappresentante legale del franchisor con poteri idonei a vincolare la società. Di conseguenza, la risoluzione del contratto veniva considerata legittima.

La Decisione della Corte di Cassazione e la risoluzione contratto franchising

L’affiliato ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su sei motivi. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello.

Parallelamente, la Corte ha dichiarato inammissibile anche il controricorso presentato dal franchisor. La ragione era puramente procedurale: l’avvocato del franchisor era stato nominato con una procura generale alle liti, datata molti anni prima, e non con una procura speciale, specificamente rilasciata per il giudizio di Cassazione, come richiesto dalla legge.

Le Motivazioni della Decisione

L’analisi delle motivazioni della Corte è fondamentale per comprendere la decisione. I giudici hanno respinto i motivi del ricorso dell’affiliato per diverse ragioni:

1. Mancata Impugnazione di tutte le ‘Rationes Decidendi’: La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su più argomentazioni autonome (rationes decidendi). Una di queste era che il presunto accordo sul piano di rientro non era valido perché non sottoscritto da un soggetto con poteri di rappresentanza. Il ricorrente, nel suo appello in Cassazione, non ha efficacemente contestato questo specifico punto. Quando una sentenza si regge su più motivazioni indipendenti, il ricorrente deve contestarle tutte, altrimenti la sentenza diventa definitiva anche solo sulla base della motivazione non impugnata.

2. Divieto di Riesame del Fatto: Molte delle lamentele dell’affiliato, pur presentate come violazioni di legge, in realtà chiedevano alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove e i fatti del caso (ad esempio, l’interpretazione dei documenti o l’affidabilità delle testimonianze). Questo è un compito riservato ai giudici di primo e secondo grado; la Corte di Cassazione può solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici di merito.

3. Insussistenza dell’Abuso del Diritto: L’affiliato sosteneva che il franchisor avesse agito in malafede, invocando la risoluzione nonostante l’accordo per il rientro. La Corte ha ritenuto questa accusa infondata. Poiché non era stata fornita la prova di un valido accordo per la dilazione del pagamento, la condotta del franchisor, volta a far valere una clausola contrattuale a fronte di un persistente e provato inadempimento, non poteva essere considerata un abuso del diritto. La persistente esposizione debitoria dell’affiliato giustificava pienamente l’azione del franchisor.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce alcuni principi cardine del diritto contrattuale e processuale. In primo luogo, evidenzia l’importanza cruciale della prova: un accordo, specialmente se modifica un contratto scritto, deve essere provato in modo certo e, se concluso tramite rappresentanti, è necessario verificare che questi abbiano i poteri per vincolare l’azienda. Affidarsi a intese verbali o a documenti non formalizzati è estremamente rischioso. In secondo luogo, la vicenda sottolinea il rigore formale del giudizio di Cassazione. Errori come la mancata impugnazione di tutte le motivazioni della sentenza precedente o la presentazione di un ricorso che chiede un riesame dei fatti portano inevitabilmente all’inammissibilità o al rigetto. Infine, il caso chiarisce i limiti del concetto di abuso del diritto: esercitare un proprio diritto contrattuale, come quello derivante da una clausola risolutiva espressa, a fronte di un chiaro inadempimento della controparte, non costituisce un abuso, a meno che non siano provate circostanze eccezionali che dimostrino una condotta sleale e contraria a buona fede.

Perché il controricorso del franchisor è stato dichiarato inammissibile?
Il controricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’avvocato era munito di una procura generale alle liti risalente al 2013, e non di una procura speciale conferita specificamente per il giudizio di Cassazione, come richiesto dall’art. 365 del codice di procedura civile. La procura per il ricorso in Cassazione deve dimostrare la volontà della parte di agire in quello specifico grado di giudizio.

Un accordo verbale per un piano di rientro può impedire la risoluzione di un contratto?
No, non se l’accordo non viene adeguatamente provato in giudizio. Nel caso di specie, la società affiliata non è riuscita a dimostrare né l’esistenza di un accordo valido né che la persona con cui aveva trattato avesse i poteri per impegnare legalmente la società franchisor. In assenza di prove concrete, la clausola risolutiva espressa prevista dal contratto originario rimane pienamente efficace.

Quando l’attivazione di una clausola risolutiva espressa costituisce abuso del diritto?
Secondo la Corte, l’esercizio di un diritto previsto dal contratto, come l’attivazione della clausola risolutiva a fronte di un provato e persistente inadempimento, non costituisce di per sé un abuso del diritto. Per configurare un abuso, la parte inadempiente dovrebbe dimostrare una condotta del creditore contraria a buona fede e sleale, cosa che in questo caso non è avvenuta, poiché la richiesta di risoluzione era fondata su un debito reale e non sanato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati