Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3403 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3403 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34368/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del titolare AVV_NOTAIO, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), come da procura speciale in atti.
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) in persona del legale rapp. p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), come da procura speciale in atti.
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1537/2018 depositata il 27/08/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1.1.RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE in persona del titolare ha proposto ricorso con sette motivi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Torino, pubblicata il 27 agosto 2018. La RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (RAGIONE_SOCIALE) hanno replicato con separati controricorsi.
La RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
La controversia concerne il contratto di appalto a corpo affidato, all’esito di gara pubblica, dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE, con contratto del 17 dicembre 2003. Il contratto aveva ad oggetto lavori di ristrutturazione e recupero del complesso turisticoricettivo ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ nel Comune di Castagnole Monferrato, per un importo al netto del ribasso d’asta di euro 862.046,08=, oltre IVA; trattavasi di edificio storico sottoposto a tutela della Soprintendenza e di proprietà della RAGIONE_SOCIALE.
Dopo una dilazione, resasi necessaria a seguito all’approvazione di una variante ed alla richiesta di proroga dei termini contrattuali originari, la Direzione dei Lavori contestò ritardi e cattiva esecuzione dei lavori e invitò l’Amministrazione appaltante a sospendere il pagamento del SAL 4 fino a che le opere ritenute mal eseguite non fossero ripristinate o rifatte, e con successiva nota del 27 settembre 2005, già scaduti i termini al 30 giugno, assegnò all’RAGIONE_SOCIALE termine di 15 giorni per rimediare.
L’RAGIONE_SOCIALE replicò, dichiarando di considerare tale situazione come una sospensione dei lavori dovuta ad inadempienze della stazione appaltante e, con nota del 4 ottobre 2005, si oppose all’intimazione di esecuzione dei lavori.
Dopo lo svolgimento di un sopralluogo in contraddittorio con l’ RAGIONE_SOCIALE, in data 20 ottobre 2005, venne redatto un verbale; quindi, il 7 novembre 2005, l’RAGIONE_SOCIALE sollevò 11 riserve per l’importo di euro 1.388.220,08=. La RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE procedette infine alla risoluzione del contratto in danno dell’impresa ex art.199, comma 6, d.P.R. n. 554/1999, con determina del 24 ottobre 2005.
Il 29 novembre 2005 venne redatto lo stato di consistenza delle opere eseguite ed il 23 dicembre il conto finale, nel quale vennero operate detrazioni per opere contabilizzate, ma non ritenute accettabili per vizi successivamente emersi. L’RAGIONE_SOCIALE sottoscrisse con riserva lo stato finale e il registro di contabilità relativi al conto finale. Il collaudatore emise il certificato di collaudo per le sole opere ritenute eseguite a regola d’arte, e certificò un credito della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di euro 133.833,25=, comprensivo della penale per il ritardo. I lavori restanti vennero quindi riappaltati.
1.2.L’RAGIONE_SOCIALE convenne la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale chiedendo che fosse dichiarata l’insussistenza dei presupposti per la risoluzione in danno ex art.119, comma 6, d.P.R. n.554/1999, e che fosse accertata la risoluzione del contratto ai sensi dell’art.1454 cod.civ. o, comunque, per grave
inadempimento della Stazione appaltante, con condanna della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle somme richieste a titolo di riserva e delle altre somme specificate; propose, inoltre, domanda subordinata ex art.2041 cod.civ. Convenne altresì RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di accertare la inesistenza dei presupposti per l’escussione delle polizze fideiussorie.
La RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE contestando le tesi attoree, chiese la reiezione delle domande proposte dall’RAGIONE_SOCIALE e propose domanda riconvenzionale avente ad oggetto: a) la restituzione degli importi già corrisposti e relativi ad opere male eseguite, b) il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento dell’appaltatrice.
RAGIONE_SOCIALE chiese la reiezione delle domande nei propri confronti e, in via riconvenzionale, di essere tenuta indenne dalla RAGIONE_SOCIALE per le somme versate in forza della fideiussione.
RAGIONE_SOCIALE non si costituì e venne dichiarata contumace.
1.3.- Il primo giudice dispose CTU, rigettò le altre istanze istruttorie e pronunciò sentenza non definitiva n. 346/2013, pubblicata il 10 giugno 2013, con cui respinse le domande della attrice e dispose la prosecuzione del giudizio al fine di istruire la domanda riconvenzionale e le questioni relative alle società garanti.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE proseguì l’istruzione disponendo un supplemento di CTU e, all’esito, pronunciò sentenza definitiva n. 892/2015 pubblicata in data 15 ottobre 2015 con cui: dichiarò cessata la materia del contendere tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; accolse in parte la domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE e condannò l’RAGIONE_SOCIALE a corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE la somma di € 113.623,00= risultante dalla contabilità finale dei lavori (di cui € 90.504,06= a titolo di penale), detratto l’importo versato da RAGIONE_SOCIALE alla
RAGIONE_SOCIALE; condannò l’RAGIONE_SOCIALE a corrispondere a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 20.251,02=, pari all’importo versato dalla Compagnia assicuratrice alla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in dipendenza della polizza fideiussoria n. 1539998; dichiarò parzialmente compensate le spese di lite tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e condannò l’RAGIONE_SOCIALE alla rifusione della restante quota; condannò l’RAGIONE_SOCIALE alla rifusione integrale delle spese sostenute da RAGIONE_SOCIALE
1.4.- Avverso entrambe le sentenze (non definitiva e definitiva) propose appello l’RAGIONE_SOCIALE, che venne respinto dalla Corte di appello di Torino con la sentenza in esame, con conseguente pronuncia in danno dell’RAGIONE_SOCIALE della condanna alle spese.
1.5.- Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE:
2.1.- Con il primo motivo si denuncia l’ omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio e violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod.proc.civ. e 1453, 1454, 1455 e 1460 cod.civ., nonché dell’art. 119 d.P.R. n.554/1999.
Sulla premessa che la domanda avanzata dall’attrice in primo grado e ribadita in appello era tesa ad accertare e dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento della Stazione appaltante, la ricorrente RAGIONE_SOCIALE si duole che la Corte di appello si sia occupata preliminarmente di accertare la legittimità del provvedimento di risoluzione dell’appalto ex art. 119 del d.P.R. n.554/1999, prescindendo da una effettiva analisi delle cause del ritardo. Deduce che, con un percorso argomentativo assolutamente illogico, la Corte di merito abbia accertato la legittimità della risoluzione operata dall’appaltante per il ritardo dell’i mpresa appaltatrice, ma ciò senza accertare le cause del ritardo, e poi si sia occupata delle contestate inadempienze e ritardi della stazione
appaltante (fol. 15 e 16 della sent. imp.) senza metterle in relazione al ritardo nell’esecuzione delle opere.
Quindi la ricorrente contesta che, a differenza di quanto affermato nella sentenza impugnata, gli inadempimenti della stazione appaltante erano stati molteplici e gravi, elencandoli.
A parere della ricorrente, la sentenza impugnata omette qualsiasi esame di questi fatti, limitandosi a riportare acriticamente le difese della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e facendo generico riferimento alla documentazione in atti ed alle risultanze della CTU.
2.2.- Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza, anche per violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.
A parere della ricorrente, la sentenza della Corte d’Appello di Torino va censurata per violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4 cod.proc.civ., stante l’irriducibile contraddittorietà, avendo affermato che nel caso di specie non era emerso ‘ alcun inadempimento rilevante da parte dell’appaltante ‘ (fol.15,) nonostante la stessa Corte avesse riportato una serie di fatti dai quali emergeva che, nel corso dell’appalto, si sono verificate situazioni che avevano inciso sul regolare svolgimento dei lavori.
2.3.- Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1256 e 1258 cod.civ. e dell’art. 133 del d.P.R. n. 554/1999, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio.
A parere della ricorrente, la sentenza impugnata aveva omesso di considerare che alcuni fatti segnalati – come la mancata consegna di una parte del cantiere, il ritardo nell’approvazione della variante, nella scelta della tinteggiatura e del pavimento, nonché il ritardo circa il posizionamento del gruppo refrigeratore – anche ove non costituenti inadempimenti attribuibili all’appaltante, avrebbero dovuto essere valutati come cause di forza maggiore o di impossibilità sopravvenuta escludendo quindi la legittimità della risoluzione per inadempimento ex art. 119 d.P.R. n.554/1999.
Sostiene che, pur non essendo stata ordinata la sospensione dei lavori, la sussistenza delle circostanze che rendevano impossibile la prosecuzione degli stessi determinava la mancanza di responsabilità del debitore/appaltatore nel periodo in cui perdurava la causa di impossibilità ai sensi dell’art. 1256, secondo comma, cod.civ.
2.4.- Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 165 del d.P.R. n. 554/1999 e dell’art. 31 del d.m. 145/2001, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio.
Secondo la ricorrente, i giudici di appello hanno fatto errata applicazione delle norme in materia di iscrizione di riserve previste dagli artt. 165 del d.P.R. n. 554/1999 e 31 del D.M. 145/2000 anche perché hanno omesso di prendere atto della nullità del registro di contabilità in quanto tenuto in modalità difformi da quelle previste dall’art. 163 DPR 554/1999, alla luce di quanto accertato dal CTU.
2.5.- I primi quattro motivi, da trattare congiuntamente, sono inammissibili.
2.6.- I primi tre motivi censurano la decisione impugnata sotto il profilo della erronea valutazione dei presupposti della risoluzione di autorità da parte dell’amministrazione, ex art. 119 del d.P.R. 554/1999, e della contrapposta domanda di risoluzione proposta dall’appaltatore, denunciando violazione di legge, difetto assoluto di motivazione, omesso esame di fatti decisivi. Orbene, ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. Sez. U. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022; Cass. n. 13977/2019).
Nella specie, per contro, la motivazione della sentenza impugnata è supportata da ampia e adeguata motivazione, e neppure l’omesso esame di elementi istruttori, o di deduzioni difensive, vale ad integrare, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054/2014; Cass. n. 27415/2018; Cass. Sez. U. n. 17619/2017). Quanto alla dedotta violazione dell’art. 116 cod.proc.civ., va rilevato che, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod.proc.civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U. n. 20867/2020; Cass. n. 16016/2021). Nulla di tutto questo è, peraltro, riscontrabile nel caso concreto.
Con specifico riferimento, poi, alla risoluzione, va osservato che, nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed
abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se – come nella specie – congruamente motivato (Cass. n. 13627/2017; Cass. n. 10477/2004).
In particolare, in tema di appalto di opere pubbliche, la rilevanza dei ritardi dell’appaltatore ai fini della risoluzione del contratto, secondo la procedura prevista dall’art. 119 del d.P.R. n. 554/1999 (applicabile “ratione temporis”), dipende dal riscontro dei presupposti della gravità ed imputabilità, la cui valutazione deve essere operata non solo alla stregua di un criterio oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto, ma anche di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti che possano, in relazione alla particolarità del caso concreto, incidere sul giudizio di gravità (Cass. n. 20874/2021). Nel caso concreto, la Corte d’appello ha analiticamente e dettagliatamente analizzato e valutato tutti gli elementi oggettivi e soggettivi che connotano il rapporto, giungendo ad una – più che motivata e, quindi, insindacabile – decisione di imputare l’inadempimento decisivo a carico dell’impresa appaltatrice.
In definitiva, le censure – in punto inadempimento e risoluzione – si risolvono, come dedotto dai controricorrenti, in tentativi di ottenere un riesame del merito. Ebbene, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. n.
34476/2019; Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 19547/2017; Cass. n.8758/2017; Cass. n. 16056/2016; Cass. n. 5987/2021).
2.7.- Quanto alle riserve (quarto motivo), va applicato il principio – menzionato anche dalla Corte territoriale, anche se non ne ha tratto le dovute implicazioni – secondo cui, in tema di appalto di opere pubbliche, la riserva, attenendo ad una pretesa economica di matrice contrattuale, presuppone l’esistenza di un contratto valido di cui si chiede l’esecuzione, mentre, ogni qualvolta si faccia questione di invalidità del contratto e dei modi della sua estinzione, come nel caso – ricorrente nella specie della risoluzione per inadempimento, le pretese derivanti dall’inadempimento della stazione appaltante non vanno valutate in relazione all’istituto delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 cod.civ. (Cass. n. 22275/2016). Per il che il ricorrente non avrebbe più potuto invocare le riserve, a prescindere dalla loro tempestività, ma avendo optato per la risoluzione del contratto – comunque dichiarata dal giudice di merito – avrebbe dovuto, semmai, richiedere il risarcimento dei danni, ex art. 1453 cod.civ.
3.1.Con il quinto motivo si denuncia l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio e la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, dell’art. 116 cod.proc.civ., dell’art. 2697 primo comma, cod.civ., nonché della legge n.311/2004 e di altre disposizioni. La censura concerne il rigetto della domanda di pagamento dell’importo di euro 153.246,00= richiesto alla Amministrazione a titolo di corrispettivo per le opere eseguite dalla impresa e contabilizzate dalla Direzione dei lavori nel SAL n. 4.
Secondo la ricorrente i giudici di appello avevano omesso di considerare correttamente le prove emerse nel corso del procedimento, in tal modo violando palesemente l’art. 116 cod.proc.civ.
3.2.- La censura è inammissibile in quanto generica e perchè tende ad una rivalutazione del merito, a fronte di motivate decisioni della Corte sui punti in oggetto.
3.3.La violazione dell’art. 116 cod.proc.civ. – per le ragioni già indicate – non coglie nel segno.
3.4.Quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 cod.civ., va rilevato che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente – come vorrebbe il ricorrente – che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass. n. 17313/2020).
4.1.- Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 194 cod.proc.civ. con riferimento alla statuizione impugnata (fol.18) nella parte in cui ha escluso una lesione del contraddittorio con riferimento all’espletamento della CTU, rispetto al quale la ricorrente aveva svolto alcune critiche.
Segnatamente, la ricorrente aveva lamentato che il CTU, pur avendo ricevuto incarico dal Giudice istruttore di concordare con entrambe le parti il programma dei termini intermedi per lo svolgimento delle operazioni peritali, dopo l’incontro dell’8/11/2013 non aveva fissato ulteriori incontri, impedendo di fatto un confronto tra le parti; aveva altresì dedotto il tardivo deposito della relazione e sostenuto che la stessa era stata sviluppata sulla scorta di documentazione nuova prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE in sede di operazioni peritali, illegittimamente acquisita ed aveva assunto che l’autorizzazione rilasciata al CTU a sanatoria in data 21/11/2013 non
poteva sanare detta acquisizione che inficiava e viziava irrimediabilmente la CTU.
4.2.- Il sesto motivo è inammissibile perché non tiene conto di quanto motivatamente accertato dalla Corte di appello circa il regolare svolgimento del contraddittorio nel corso nell’espletamento della CTU e il regolare esercizio del diritto di difesa, e perché non indica alcuno dei documenti, a dire della ricorrente, tardivamente depositati, di guisa che non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha escluso – motivatamente – qualsiasi violazione del contraddittorio e risulta formulato in maniera inidonea ad un possibile apprezzamento della sua decisività. Senza dire che la censura si palesa anche, in parte, carente di autosufficienza.
5.1.- Con il settimo motivo si denuncia la violazione falsa applicazione degli artt. 51, 63 e 192 cod.proc.civ. in relazione alle ragioni di incompatibilità e quindi di astensione del CT, in ragione della funzione di Direttore tecnico dell’RAGIONE_SOCIALE al momento dell’espletamento della CTU, rilevando che in data 8/2/2013 lo stesso era stato nominato Direttore Regionale dell’RAGIONE_SOCIALE, intrattenendo per la funzione rapporti con i più alti livelli istituzionali delle amministrazioni provinciali, tra cui quella di RAGIONE_SOCIALE. Ne sarebbe derivata la nullità dell’impugnata sentenza.
5.2.- Il settimo motivo è inammissibile.
La mancanza di imparzialità del consulente tecnico d’ufficio può essere fatta valere esclusivamente mediante lo strumento della ricusazione (Cass. n. 9968/2016), nel termine di cui all’art. 192 cod. proc. civ. (Cass. n.12822/2014; Cass. n. 26358/2020; Cass. n. 7280/2023)). In mancanza, non può dedursi la nullità della consulenza e della sentenza, come ha fatto il ricorrente.
6.- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, in favore di ciascuna parte costituita.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto (Cass. Sez. U. n. 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
-Condanna l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida, in favore della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in euro 10.000,00=, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge, e che liquida in favore di RAGIONE_SOCIALE in euro 8.000,00, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;
-Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30 maggio 2002, n.115, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il giorno 26 ottobre 2023.