Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11829 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11829 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25982/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
REGIONE AUTONOMA VALLE D’AOSTA / VALLEE D’AOSTE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
nonché contro
VALLE D’AOSTA RAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 723/2019 depositata il 24/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Per quanto ancora rileva, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, premettendo che i lavori di manutenzione idraulica del torrente INDIRIZZO di Rhemes, in località INDIRIZZO del Comune di Rhemes -Sanit Georges, erano stati aggiudicati all’Associazione RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) RAGIONE_SOCIALE (divenuta RAGIONE_SOCIALE, hanno convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Aosta la Regione Autonoma Valle d’Aosta, la RAGIONE_SOCIALE, l’ i ng. NOME COGNOME e la Società Consortile Valle d’Aosta scarl affinché fosse accertato e dichiarato il loro diritto di proseguire i lavori appaltati quali, rispettivamente, mandataria e mandante dell’ATI aggiudicataria e titolare del contratto d’appalto n. 14575 del 11.9.2012, così disapplicando la Deliberazione Regionale n. 740 del 26.4.2013 con cui era stata dichiarata la risoluzione del contratto di aggiudicazione alla predetta ATI.
Le attrici hanno, altresì, chiesto la condanna della Regione Valle d’Aosta a procedere alla revoca della Determina Dirigenziale n. 3627 del 22.08.2011, con la quale la Regione aveva preso atto della costituzione, ai sensi dell’art. 93 comma 1 DPR n. 207/2010, della società RAGIONE_SOCIALE tra le imprese RAGIONE_SOCIALE
COGNOME e RAGIONE_SOCIALE per l’esecuzione dei lavori di cui è causa, cui era stato demandato di compito di provvedere, nell’interesse dei soci consorziati, all’esecuzione dei lavori.
Il Tribunale di Aosta, con sentenza n. 171/2016, depositata il 25.5.2016, ha rigettato le domande degli attori e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta, ha condannato RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (in solido con la RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta aveva chiesto dichiararsi l’illegittimità della delibera regionale che aveva disposto la risoluzione del contratto d’appalto) a versare alla Regione la somma di € 271.851,40.
La Corte d’Appello di Aosta ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE e quello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME NOME.
Il giudice d’appello, condividendo integralmente l’impostazione del giudice di primo grado, ha ritenuto che le ragioni che avevano giustificato la risoluzione, da parte della stazione appaltante, del contratto dovevano essere individuate nell’urgenza di provvedere all’esecuzione delle opere e nel ritardo dovuto all’insanabile contrasto ingeneratosi tra i partecipanti all’ATI. Il giudice di secondo grado ha, altresì, accertato che la Regione, prima di risolvere il contratto, aveva, più volte e invano, sollecitato tanto la Consortile quanto i singoli componenti dell’ATI alla prosecuzione delle lavorazioni manifestamente urgenti, quali quelle inerenti al rifacimento degli argini di un torrente di montagna, senza che, tuttavia, le imprese incaricate si fossero presentate in cantiere per riprendere i lavori, mettendo così in pericolo, sia la strada regionale per la valle di Rhemes, sia le opere di contenimento già realizzate nell’autunno precedente.
Il giudice di secondo grado ha condiviso, altresì, la valutazione del Tribunale nel ritenere legittimo il rigetto opposto dalla Regione Valle d’Aosta alla richiesta delle appellanti principali di proseguire i
lavori come ATI, e non più come Valle d’Aosta RAGIONE_SOCIALE, nei termini di cui alla determina n. 3627/2011 e di ultimare le opere anche prescindendo dall’altra componente dell’RAGIONE_SOCIALE, e ciò sul rilievo che tale richiesta si poneva in contrasto con il dettato della norma che consente modifiche soggettive dell’ATI solo nelle ipotesi tassative di cui all’art. 37, commi 18 e 19, cod. app., non ricorrenti nel caso di specie.
La Corte d’Appello ha, infine, ritenuto che la risoluzione contrattuale, disposta dalla stazione appaltante ex art. 136, commi 4, 5 e 6 d.lgs. n. 163/2006, per grave ritardo, fosse avvenuta nell’osservanza delle prescrizioni che regolano la procedura di risoluzione per ritardo nell’esecuzione dei lavori e che i danni fossero stati correttamente quantificati n quanto legati da un nesso di causalità con la condotta di abbandono del cantiere da parte dell’ATI.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi.
La Regione Autonoma Valle d’Aosta ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis. 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 comma 1° c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 93 DPR n. 207/2010 e 37 d.lgs n. 163/2006.
Espone la ricorrente che ‘ la sentenza omette esaminare il fatto che nessuna norma (né di legge, né di regolamento e nemmeno di contratto e nient’altro) impediva alla RAVA di revocare la determina dirigenziale n. 3627/11 senza prima attendere il positivo riscontro della RAGIONE_SOCIALE
La ricorrente rimprovera, in primo luogo, alla Regione che, così come aveva preso atto della dichiarazione unilaterale di sostituzione dell’ATI con la Società Consortile, nello stesso modo, avrebbe dovuto prendere atto della dichiarazione contraria di sostituzione della società consortile, formulata dallo stesso mandatario rappresentante. La ricorrente si duole, inoltre, che la Regione aveva deliberatamente impedito che nel cantiere potessero operare maestranze che non fossero direttamente riferibili alla Consortile, ma direttamente alle singole società componenti dell’ATI. In realtà, la Regione non solo non aveva mai invitato i singoli componenti dell’ATI, ma aveva, piuttosto, ritenuto di subordinare la possibilità di intervento dei singoli componenti all’assenso della ditta COGNOME, e, una volta ritenuta la tardività dell’assenso, di sanzionarne il rifiuto.
2. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, la censura di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. è inammissibile, ai sensi dell’art. 348 ter comma ° c.p.c., in presenza, nel caso di specie, di una c.d. doppia conforme, avendo la Corte d’Appello come risulta chiaramente dall’esame della sentenza impugnata condiviso ogni ricostruzione in fatto (oltre che in diritto) del giudice di primo grado.
Inoltre, la censura di omesso esame di fatto decisivo sarebbe comunque inammissibile, non lamentandosi, in realtà, l’omessa valutazione di un fatto ‘storico’ (vedi S.U. Cass. n. 8053/2014), ma, sostanzialmente, una omessa valutazione in diritto. Significativa è l’espressione: ‘ la sentenza omette esaminare il fatto che nessuna norma (né di legge, né di regolamento e nemmeno di contratto e nient’altro) impediva alla RAVA di revocare la determina dirigenziale n. 3627/11 senza prima attendere il positivo riscontro della RAGIONE_SOCIALE
In ogni caso, la censura con cui la ricorrente rimprovera alla Regione Valle d’Aosta di non aver revocato la determina con cui aveva affidato (su conforme richiesta di tutte le componenti dell’ATl) l’esecuzione dei lavori alla società consortile è palesemente infondata: la costituzione della società consortile determina il subentro di quest’ultima all’ATI per revocare il quale occorre la manifestazione di una volontà contraria di tutti i partecipanti, in difetto della quale l’interlocutore contrattuale della stazione appaltante resta solo la società consortile.
Infine, la ricorrente, nel dedurre le violazioni di legge relative agli artt. 93 DPR n. 207/2010 e 37 d.lgs n. 163/2006, non pone questioni interpretative relative alle predette norme, ma solleva solo censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata da entrambi i giudici di merito. In particolare, nell’affermare che la Regione aveva deliberatamente impedito che nel cantiere potessero operare maestranze che non fossero direttamente riferibili alla RAGIONE_SOCIALE, ma direttamente alle singole società componenti dell’ATI, si pone in palese contrasto con quanto accertato dai giudici di merito, e già riportato nella parte narrativa, ovvero che ‘ la Regione, prima di procedere alla risoluzione del contratto, aveva più volte e invano sollecitato tanto la RAGIONE_SOCIALE quanto i singoli componenti dell’ATI alla prosecuzione delle lavorazioni manifestamente urgenti…’ ( pag. 17 sentenza impugnata).
Analogamente, la ricorrente solleva censure di merito quando afferma di non aver mai richiesto alla Regione Valle d’Aosta una modifica soggettiva dell’ATI: tale assunto si pone in contrasto con la precisa ricostruzione fattuale della sentenza impugnata che, al punto o) di pag. 14, ha evidenziato che le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con nota del 3.4.2013, avevano ribadito ‘la disponibilità e volontà di proseguire il lavoro appaltato come ATI, rappresentata, giusto mandato in atti, dalla RAGIONE_SOCIALE‘
rappresentando che ‘le ditte scriventi, anche ai sensi dell’art. 37 c. 18 d.lgs, d.lgs n. 163/2006 e ss.mm.aa., sono comunque dotate di tutti i requisiti di legge per il completamento dell’appalto, anche indipendentemente dalla COGNOME ‘ (vedi anche pag. 15 ultimo capoverso).
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione de ll’art. 16 del Contratto di Appalto e dell’art. II.4. del Capitolato speciale d’appalto.
Lamenta la ricorrente che la Regione non aveva rispettato gli oneri procedimentali imposti dalle predette norme, essendo incontestato che il direttore dei lavori non aveva accertato e nemmeno contestato comportamenti dell’appaltatore che integrassero quel grave inadempimento alle obbligazioni di contratto tale da compromettere la buona riuscita dei lavori.
Inoltre, nessun ritardo rispetto al controprogramma era stato realizzato (tanto meno grave) e nulla era stato rilevato e/o contestato dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta.
4. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, il motivo difetta del requisito di specificità ed autosufficienza, dal momento che la ricorrente invoca la violazione de ll’art. 16 del Contratto di Appalto di cui è causa e dell’art. II.4. del Capitolato speciale d’appalto senza neppure aver provveduto a trascriverne il testo.
Inoltre, la ricorrente non ha colto la ratio decidendi , incentrata sul grave ritardo nell’esecuzione, disciplinata dall’art. 136 commi 4, 5 e 6 d.lgs n. 163/2006, e non sul grave inadempimento, disciplinato dall’art. 136 commi 1 ,2 e 3 legge cit..
Infine, l’affermazione della ricorrente, secondo cui anche il ritardo non sarebbe stato contestato dalla Regione, integra una censura di merito, ponendosi in contrasto con quanto accertato dai giudici di merito, e sopra già illustrato.
Con il terzo motivo è stata dedotta la falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1668 e 2043 c.c.
Lamenta la ricorrente che il danno risarcibile alla Regione avrebbe potuto consistere solo nei costi aggiuntivi subiti dalla stessa per effetto dell’inadempimento e non già nel costo dell’esecuzione delle opere già appaltate per gli importi originariamente previsti e tanto meno dal costo di altri e diversi lavori successivamente appaltati determinati da fatti estranei.
6. Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata (vedi pagg. 21 e 22) ha accertato i danni subiti dalla Regione, evidenziando gli ulteriori danni provocati proprio dal ritardo nell’esecuzione delle opere come risultanti dalla documentazione prodotta -e ritenendo che tali danni fossero legati da nesso di causalità, e dunque direttamente conseguenti, all’abbandono del cantiere da parte dell’ATI.
Trattasi di valutazione di fatto non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, nei ristretti limiti nella nuova formulazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053/2014, vizio neppure dedotto.
Con il quarto motivo è stata dedotta la falsa applicazione dell’art. 89 c.p.c. e travisamento dei fatti.
Lamenta la ricorrente che la sentenza impugnata, dopo aver disposto la cancellazione delle frasi ritenute sconvenienti (riguardanti l’affidamento dei lavori, da parte della Regione, dopo la risoluzione del contratto d’appalto di cui è causa, ad una ditta colpita da una interdittiva antimafia da parte della Questura di Aosta), ha liquidato il danno in € 10.000,00, non considerando, che tale statuizione era privo di ogni presupposto, atteso che nessun danno può essere ricondotto al riferimento di fatti provenienti dalla stessa controparte (comunicato RAVA n. 166 del 22.3.2016).
Il motivo è infondato.
Va osservato che la ricorrente, nel contestare il danno liquidato dal giudice d’appello a norma dell’art. 89 comma 2° c.p.c., ha richiamato due pronunce (Cass. 17325/2015, 21031/2016) di questa Corte che hanno enunciato il principio secondo cui non ricorrono i presupposti per il risarcimento del danno ove le espressioni contenute negli atti difensivi, ritenute sconvenienti, conservino pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa senza eccedere dalle esigenze difensive. Nel caso di specie, il giudice d’appello, ha accertato, invece, tutt’altro, ovvero che le espressioni sconvenienti contenute nell’atto di appello sono relative a fatti e circostanze assolutamente estranee al presente giudizio, in particolare, ‘non riguardano l’oggetto della causa, in quanto fanno riferimento all’affidamento dei lavori successivo alla risoluzione del contratto di appalto’. E dunque del tutto legittimamente la Corte di appello ha adottato la statuizione di che trattasi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 10.400,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile il 26.3.2025
Il Presidente
NOME COGNOME