Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33268 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33268 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15911/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in proprio e nella qualità di mandataria dell’ATI costituita tra le imprese RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1226/2019 depositata il 05/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dopo un primo atto di citazione avanti al Tribunale di Napoli, notificato nel luglio 2004 ma non iscritto a ruolo, RAGIONE_SOCIALE quale mandataria dell’ATI -composta dalla stessa società e da RAGIONE_SOCIALE mandante- aggiudicataria e contraente del contratto di appalto pubblico n.1204 del 5.6.2003 per l’ammodernamento del tratto autostradale Napoli-Salerno km 10+52512+035, aveva nuovamente notificato atto di citazione qualificato in riassunzione alla stazione appaltante RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE il 4.10.2004, iscrivendolo a ruolo. 2. Nel processo così radicato la società attrice aveva chiesto che fosse accertato il grave inadempimento della stazione appaltante, giustificante la risoluzione del contratto di appalto intervenuto tra le parti e la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni; l’attrice aveva precisato che la domanda risarcitoria avrebbe dovuto essere valutata e accolta anche ove non fossero stati ritenuti esistenti i presupposti per la risoluzione, e aveva formulato pure domanda di pagamento del credito maturato dall’impresa per le lavorazioni effettivamente realizzate a favore della controparte, importo affermato, in via subordinata, come dovuto a titolo di ingiustificato arricchimento. RAGIONE_SOCIALE si era costituita contestando integralmente la prospettazione in fatto e le domande svolte da RAGIONE_SOCIALE e proponendo domanda riconvenzionale affinchè, riconosciuto il grave inadempimento dell’appaltatrice, la risoluzione del contratto di appalto fosse imputata a responsabilità della stessa, con valorizzazione dell’atto di risoluzione unilaterale, ex art.119 DPR n.554/99, e con conseguente condanna dell’ATI al risarcimento dei danni e al pagamento della penale da ritardo pattuita.
Svolta attività istruttoria anche con la disposizione di una CTU, il Tribunale di Napoli, riconosciuta l’inadempienza di entrambe le parti, aveva dichiarato risolto il contratto di appalto assumendo che fosse prevalente l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE condannando questa a pagare a titolo di risarcimento dei danni €585.959,00, oltre
accessori e spese, e dichiarando inammissibile la domanda relativa al riconoscimento del controvalore delle opere effettivamente realizzate.
RAGIONE_SOCIALE aveva proposto appello chiedendo la riforma integrale della sentenza con rigetto delle domande della controparte ed accoglimento delle proprie domande riconvenzionali.
Aveva proposto appello anche RAGIONE_SOCIALE in qualità di mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE, lamentando il diniego di riconoscimento e di liquidazione del valore delle prestazioni concretamente eseguite e la quantificazione erronea del danno riconosciutole.
Riuniti ex art.335 c.p.c. i due procedimenti, la Corte d’Appello di Napoli aveva accolto in parte l’appello di RAGIONE_SOCIALE riconoscendole un ulteriore importo quale corrispettivo per le prestazioni in concreto eseguite e respingendo tutti gli altri profili di doglianza, sia della stazione appaltante che dell’appaltatrice.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi:
Error in iudicando et in procedendo. Violazione, in relazione all’art.360 c.p.c. n.3 e 5, dell’art.119 DPR n.554/99 e s.m.i.
RAGIONE_SOCIALE aveva censurato con il primo motivo di appello la mancata valorizzazione dell’atto di risoluzione unilaterale, ex art.119 DPR n.554/99 all’epoca vigente, e il risalto invece riconosciuto all’anteriorità della citazione in giudizio da parte di RAGIONE_SOCIALE: secondo l’appaltante ciò non avrebbe tenuto conto dei reiterati e gravi anteriori inadempimenti e violazioni di ordini di servizio dell’appaltatrice, pur documentati, intervenuti tra giugno 2003 e luglio 2004 e, in particolare, dell’inottemperanza all’ordinanza di sospensione n.5 del 10.7.2003 relativa al POS (piano per la sicurezza in cantiere), non solo violativa di ordine di servizio ma anche di norme imperative; solo dopo l’avvio della procedura di risoluzione da parte della stazione appaltante, ex art.119 cit., l’appaltatrice aveva notificato strumentalmente il primo atto di citazione senza iscrivere la causa a ruolo, sottraendosi al confronto con la stazione appaltante nell’ambito del procedimento delineato dalla norma speciale, e aveva poi riassunto -pur in mancanza di una precedente iscrizione a ruolo- il giudizio dopo la risoluzione unilaterale e autoritativa disposta da RAGIONE_SOCIALE. Secondo la ricorrente, il Giudice d’appello avrebbe così violato le norme di legge specificamente dettate in tema di appalto pubblico, in considerazione della natura autoritativa della risoluzione ex art.119 cit. della quale non era mai stata chiesta la disapplicazione, e avrebbe comunque omesso di considerare fatti decisivi ai fini della decisione, pur oggetto di
disamina in appello e ben evidenziati e documentati, quanto alla condotta dell’ATI nel corso del rapporto.
II) Error in iudicando et in procedendo in relazione all’art.360 c.p.c. n.3 e 4. Violazione degli art.1455 c.c. e 31 l. n.109/94 e s.m.i. d lgs 81/2008 Testo Unico Sicurezza all XV p. 3.12, nonché dell’art.112 c.p.c.per mancata rispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Con il secondo motivo di ricorso SAM sottolinea che, comunque, la Corte d’Appello non ha tenuto conto che l’entità degli inadempimenti va stabilita in rapporto all’economia dell’intero contratto e all’interesse dell’altra parte all’adempimento, sul presupposto dell’unitarietà del rapporto obbligatorio e/o contrattuale cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute. La Corte d’Appello non ha operato nell’ottica di un apprezzamento complessivo e non frammentario degli inadempimenti riscontrati, dei quali quelli riconosciuti a carico dell’impresa appaltatrice erano talmente gravi da violare addirittura norme imperative e potenzialmente suscettibili di conseguenze penali, perché non ha dato conto delle precise censure di diritto svolte da SAM, del comportamento complessivo delle parti, della cronologia degli inadempimenti, del venir meno della fiducia della committente, della estrema gravità della mancata predisposizione del POS -tale da sola da giustificare il provvedimento autoritativo di risoluzione-: si tratta di fatti discussi in giudizio e del tutto omessi nella deliberazione, che non rispetta quindi né il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, né, in violazione degli art.1453, 1455 e 1458 c.c., l’esplicitazione necessaria degli elementi a supporto del giudizio di comparazione, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo degli esiti della CTU. Sotto il profilo della comparazione degli inadempimenti, risultano essere stati valutati solo quelli della stazione appaltante, non anche quelli, pur numerosi, esplicitati e documentati dalla ricorrente, posti in essere dall’appaltatrice; sul punto la Corte d’Appello ha richiamato le considerazioni del Tribunale, pur oggetto di motivo di appello specifico; il Giudice d’Appello ha inoltre mal interpretato la censura relativa alla rilevanza della violazione delle regole di sicurezza, limitando il loro rilievo ai fini della rescissione del contratto di appalto pubblico ex art.135-118 DPR n.554/99, solo nelle ipotesi in cui sia integrato un reato, senza considerare la loro significatività a prescindere dall’integrarsi di reati ai fini della valutazione di gravità dell’inadempimento per l’applicazione dell’art.119 DPR cit.
III) Error in iudicando et in procedendo. Violazione deli art.1223, 1227, 1176, 1218 in relazione all’art.360 n.3 e 5 c.p.c., mancato esame di un fatto decisivo della controversia (nel corpo del motivo di ricorso in esame è riportato il IV motivo di appello proposto, attinente alla ripartizione di responsabilità e al riconoscimento di un ‘concorso reciproco del danno’ e, complessivamente, al riconoscimento di una equa riduzione del danno in ipotesi di accoglimento delle ragioni della controparte: non si tratta di un autonomo motivo di ricorso ma dell’esplicitazione delle ragioni del motivo di ricorso in esame)
Rileva la ricorrente come la Corte d’Appello abbia respinto anche la richiesta quantomeno di riduzione del danno riconosciuto all’appaltatrice secondo equità; tenendo conto degli inadempimenti comunque riconosciuti a carico della stessa, sarebbe stato da accertare che vi era stato un concorso causativo, rilevante ex art.1227 c.c.
IV) Sull’appello di RAGIONE_SOCIALE Error in iudicando et in procedendo. Violazione dell’art.1458 c.c., in relazione all’art.360 c.p.c. n.3 e 5. Violazione del principio che sancisce il divieto della mutatio libelli (indicato, nel ricorso, come V perché segue, come numerazione, il motivo di appello sub IV in realtà costituente parte argomentativa del motivo di ricorso sub III).
Si contesta anche la ritenuta ammissibilità della domanda di condanna di RAGIONE_SOCIALE a pagare il controvalore delle opere effettivamente realizzate dall’ATI: la domanda di ripetizione di indebito, necessaria per la valutazione della domanda di restituzione conseguente alla risoluzione del contratto, non era stata introdotta ritualmente nel giudizio, avendo la controparte correlato la domanda di pagamento delle prestazioni svolte a quella di adempimento del contratto di appalto.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito per l’ATI depositando controricorso con richiesta di rigetto di tutti i profili dell’impugnazione avversaria. La resistente ha preliminarmente instato per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sia alla luce del disposto dell’art.360 co 4 c.p.c., sia per l’inidonea formulazione delle pretese violazioni di legge, indicate con il solo richiamo alle norme che si pretende siano state violate, sia perché le doglianze della controparte mirano, in concreto, ad ottenere una rivisitazione nel merito della decisione impugnata. L’ATI ha comunque chiesto anche il rigetto del ricorso, facendo proprie le motivazioni della sentenza di appello -e di quella di primo grado, in essa richiamata- e contrastando specificamente gli assunti avversi per ognuna delle doglianze proposte.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONE DELLA DECISIONE
La verifica di ammissibilità ex art.360 c.p.c. deve essere svolta in relazione ai singoli motivi articolati, nell’ambito del loro esame.
-Il primo motivo di ricorso, come sopra sintetizzato, è complessivamente infondato, per le ragioni che seguono.
Non sono ammissibili i profili di doglianza formulati in relazione al disposto dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c., sul presupposto dell’omesso esame ad opera del Giudice d’appello di fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti, per il ricorrere dell’ipotesi attualmente rientrante nell’ambito dellart.360 co 4 c.p.c. che, con riguardo all’epoca di introduzione del presente giudizio di cassazione, fruiva di una disciplina analoga ex art.348 ter co 4 e 5 c.p.c.: la sentenza di appello esprime infatti, sulle questioni di fatto relative alla risoluzione del contratto di appalto e all’esistenza di inadempimenti reciproci, presupposte alla valutazione di prevalenza dell’inadempimento della stazione appaltante, considerazioni conformi alla sentenza di primo grado. La rivalutazione del materiale probatorio documentale, pure percorsa dalla ricorrente, sarebbe altresì in contrasto, comunque, con l’impossibilità di un riesame del merito della controversia in questa sede.
Appaiono invece ammissibili, perché sufficientemente identificati pur nell’ambito dello stesso motivo, i profili di critica relativi alla violazione delle disposizioni normative di riferimento, in particolare dell’art.119 cit., valevoli nell’ambito dell’art.360 co 1 n.3 c.p.c.
La Corte d’Appello ha seguito il Tribunale di Napoli sottolineando che l’atto in riassunzione avrebbe fatto retroagire gli effetti della domanda all’originario atto di citazione: la questione è fatta valere da RAGIONE_SOCIALE solo per evidenziare che i Giudici di merito non avrebbero tenuto conto del carattere strumentale e violativo del procedimento previsto dall’art.119 cit. del comportamento dell’ATI rappresentata da RAGIONE_SOCIALE né avrebbero considerato il carattere autoritativo dell’atto di risoluzione ex art.119 cit., che non potrebbe di conseguenza essere messo in discussione se non previa istanza di disapplicazione, in concreto non proposta.
Se si esamina quindi la doglianza in relazione alle critiche al deciso effettivamente articolate in questa sede, il profilo evidenziato potrebbe essere rilevante solo se l’atto di risoluzione ex art.119 cit. sia da qualificare come atto amministrativo autoritativo
e di autotutela unilaterale e non permetta di conseguenza di rimettere in discussione la risoluzione per inadempimento dell’ATI appaltatrice.
La questione di fondo posta da RAGIONE_SOCIALE attraverso il primo motivo di ricorso in esame riguarda quindi la natura da attribuire alla risoluzione ex art.119 DPR n.554/99 ad iniziativa della stazione appaltante-PA, intervenuta nello svolgersi del rapporto di appalto pubblico sul presupposto di un inadempimento dell’impresa appaltatrice, natura che i Giudici di merito hanno interpretato come privata -ciò si riscontra dal richiamo operato dalla Corte d’Appello al provvedimento della Corte di Cassazione, sez. I, n.20874/2021-.
L’interpretazione della natura dell’atto di risoluzione ex art.119 cit. ad opera dei giudici di merito è in linea con l’orientamento interpretativo consolidato del Giudice di legittimità, che lo qualifica come atto non autoritativo, rientrante nell’ambito dei poteri riconosciuti alla PA nell’esecuzione del contratto di appalto pubblico e coinvolgente posizioni di diritto soggettivo dell’appaltatore, sindacabile dal Giudice Ordinario in relazione all’esistenza dei presupposti per la sua assunzione: si tratta del vaglio di esistenza di ‘grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo’ che normativamente giustificano l’iniziativa della stazione appaltante, che deve essere effettuato in relazione alle disposizioni dettate dagli art.1453 e s. c.p.c.
Si richiama in proposito quanto esplicitato, di recente, nella motivazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 20874/2021 che ben chiarisce quale sia la natura dell’atto di risoluzione ex art.119 cit. e ciò che ne deriva in termini di possibilità di sua valutazione da parte del Giudice Ordinario: ‘…questa Corte ha, da tempo, chiarito che «nell’ambito di un negozio concluso dalla P.A. iure privatorum … non si configura un potere discrezionale dell’amministrazione, il cui comportamento va, pertanto, valutato come quello di un qualsiasi committente privato, senza alcuna limitazione, per il giudice ordinario – al quale è devoluta la cognizione delle relative controversie -, nell’indagine diretta ad accertarne l’eventuale colpa (agendo, nella specie, l’appaltatore per la risoluzione del contratto sulla base di asserite carenze progettuali attribuite alla committente), in quanto la preminenza della posizione riservata alla P.A. committente e l’essere l’opera appaltata rivolta a fini pubblici non incidono sulla natura privatistica del contratto di appalto di opere pubbliche, dal quale derivano, per l’appaltatore, veri e propri diritti soggettivi, con correlativi obblighi a carico dell’amministrazione» (Cass. SU 10525/1996). Così (Cass. 10052/2006) si è ritenuto che, anche nell’appalto di opere
pubbliche, sia configurabile, in capo all’amministrazione committente, creditrice dell”opus”, «un dovere – discendente dall’espresso riferimento contenuto nell’art. 1206 cod. civ. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva, che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto – di cooperare all’adempimento dell’appaltatore, attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto dall’appaltatore, necessarie affinché quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio» In effetti, la procedura dettata dall’art.119 del Regolamento di attuazione della c.d. Legge Merloni («Risoluzione del contratto per grave adempimento, grave irregolarità e grave ritardo»), vigente ratione temporis, contemplava sempre che, una volta scaduto il termine assegnato, sulla base di un verbale redatto dal direttore lavori in contraddittorio con l’impresa, trasmesso al responsabile del procedimento, potesse essere deliberata la risoluzione dalla stazione appaltante «qualora l’inadempimento permanga», su proposta del responsabile del procedimento. Occorre sempre quindi che, a fini del rimedio risolutorio prescelto, vi sia stato un inadempimento o un ritardo grave da parte dell’appaltatore, frutto di grave negligenza ad esso imputabile. … ‘. Ne consegue che ‘In tema di appalto di opere pubbliche, la rilevanza dei ritardi dell’appaltatore ai fini della risoluzione del contratto, secondo la procedura prevista dall’art. 119 del d.P.R. n. 554 del 1999 (applicabile “ratione temporis”), dipende dal riscontro dei presupposti della gravità ed imputabilità, la cui valutazione deve essere operata non solo alla stregua di un criterio oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto, ma anche di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti che possano, in relazione alla particolarità del caso concreto, incidere sul giudizio di gravità. … ‘ (come da massima della stessa sentenza).
Si deve pertanto concludere che l’esistenza dell’atto di risoluzione ex art.119 cit. non determini alcuna preclusione in capo al Giudice Ordinario in ordine alla verifica di sussistenza dell’inadempimento prospettato dalla stazione appaltante a carico dell’appaltatrice e, nell’ipotesi in cui quest’ultima prospetti a propria volta l’inadempimento della controparte chiedendo che esso sia ritenuto esclusivo o prevalente, la disciplina normativa di riferimento è da rinvenire nelle disposizioni di diritto privato regolatrici della materia e, in particolare, negli art.1453 e s. c.c.
Appare invece irrilevante individuare quale parte abbia fatto valere per prima l’inadempimento dell’altra.
11. -Con il secondo motivo di ricorso, come sopra sintetizzato, SAM sottolinea che, comunque, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto che l’entità degli inadempimenti va stabilita in rapporto all’economia dell’intero contratto e all’interesse dell’altra parte all’adempimento, sul presupposto dell’unitarietà del rapporto obbligatorio e/o contrattuale cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute. Nella sostanza il motivo evidenzia una inadeguata valutazione da parte della Corte di merito che, con richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado a sua volta effettuata con richiamo alle risultanze della CTU, avrebbe valorizzato solo gli inadempimenti della stazione appaltante senza dare conto di quelli dell’ATI e della scelta di considerare gli stessi minusvalenti nonostante la loro considerevole gravità, così violando il disposto degli art.1453-1455 c.c..
E’ incontestato che, nel caso di specie, vi furono inadempimenti imputabili ad entrambe le parti (sul deciso di merito di primo grado al riguardo non sono state formulate critiche in sede di impugnazione): si controverte infatti della correttezza della valutazione di prevalenza che sia il Tribunale che, con piena condivisione dell’iter argomentativo del primo Giudice, la Corte d’Appello, hanno effettuato per l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE (gravi lacune progettuali, mancanza di autorizzazione da parte degli Enti sul cui territorio gli interventi avrebbero dovuto essere eseguiti, incompleta consegna dei lavori, mancata adozione delle perizie di variante) rispetto a quello dell’ATI rappresentata da RAGIONE_SOCIALE (ritardata trasmissione del POS, inerzia dell’impresa durante la terza fase del rapporto).
Ora, in tanto è possibile prospettare come rientrante nell’ambito del disposto dell’art.360 n.4 c.p.c. la violazione del disposto degli art.1453 e s., in particolare dell’art.1455 c.c., in quanto il Giudice di merito, al quale compete la valutazione di gravità e il conseguente bilanciamento degli inadempimenti, applichi falsamente la previsione di legge senza individuare i parametri sulla base dei quali, a fronte di inadempimenti reciproci e del contesto complessivo del loro operare, individui l’inadempimento prevalente, sotto il profilo della gravità, e importante avuto riguardo all’interesse dell’altro contraente; i parametri sui quali la valutazione descritta si deve fondare non possono prescindere dalle emergenze di causa, con la conseguenza che l’inadempimento prevalente non può essere identificato all’esito di
una verifica in termini astratti ma deve essere giustificato e compatibile con le risultanze istruttorie -cfr. Cass. n. 1378/2024-.
La Corte d’Appello ha identificato gli inadempimenti ascrivibili all’una e all’altra parte del rapporto di appalto pubblico sub iudice e ha motivato il giudizio di prevalenza, effettuato sulla base delle emergenze istruttorie ritenute significative e tenuto conto del quadro di riferimento nel quale l’operare delle parti si inseriva. In particolare, la Corte ha riconosciuto rilievo preponderante alle carenze dell’originario elaborato progettuale ‘ che non aveva tenuto conto della precisa conformazione dei luoghi né della necessità di adeguamenti a nuove prescrizioni tecnico ‘ regolamentari, ‘ intervenute peraltro prima della stipula del contratto, ed alle quali si è cercato di porre rimedio in via di fatto, senza la doverosa formalizzazione di una perizia di variante ‘ (così a pag.7 della sentenza, che richiama la pag.18 della sentenza di primo grado), e ha ritenuto che esse ‘ siano senz’altro sintomatiche della violazione, da parte della committenza, dei doveri generali di correttezza e buona fede oggettiva che ha impedito il conseguimento del risultato cui il rapporto era preordinato ben più delle irregolarità commesse dall’appaltatore, senz’altro emendabili in corso d’opera o comunque recuperabili senza conseguenze irreparabili ‘.
Il riferimento all’assenza dei presupposti per l’operatività del disposto dell’art.118 DPR n.554/99 è stato effettuato dalla Corte d’Appello per escludere l’ipotizzabilità di un dovere di attivazione della stazione appaltante, non essendo emerse in concreto condotte penalmente rilevanti ascrivibili all’appaltatrice né essendo intervenute sentenze di condanna a suo carico, non per considerare irrilevante la predisposizione del POS ai fini di una valutazione ex art.119 DPR cit.: del resto, proprio la considerazione anche di questo inadempimento dell’appaltatrice, di ritardo nella predisposizione del POS, nell’ambito della valutazione degli inadempimenti da porre in bilanciamento ai fini della valutazione ex art.1455 c.c. dimostra che, a prescindere dalla rilevanza penale, il comportamento descritto ben avrebbe potuto giustificare, anche nella considerazione della Corte, l’iniziativa risolutoria della stazione appaltante e se ciò in concreto non è avvenuto è per l’esistenza di altre situazioni valutate nel merito di significatività prevalente.
Non si riscontra pertanto nella sentenza d’appello alcuna violazione del disposto degli art.1453 e s. c.c. né l’omissione o l’apparenza di motivazione al riguardo, rilevante ex art.360 n.4 c.p.c.: ciò che in concreto la ricorrente vuole ottenere è la
rivalutazione del materiale probatorio documentale con un diverso esito rispetto a quello raggiunto dai Giudici di merito, presupponente un riesame per questi aspetti del merito della controversia, precluso in questa sede.
Il motivo di ricorso sub 2) è pertanto anch’esso da respingere.
12. -Anche il terzo motivo di critica è infondato.
Contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte d’Appello non ha omesso di considerare la richiesta di SAM di riduzione ad equità del danno accertato a favore della controparte ma ha chiaramente affermato che la questione rimaneva assorbita nella valutazione di prevalenza dell’inadempimento di SAM ai fini della risoluzione del contratto, escludendo di conseguenza, implicitamente ma univocamente, l’esistenza dei presupposti per operare la riduzione richiesta.
La ricorrente fa riferimento alle norme che regolano il comportamento delle parti nell’esecuzione della prestazione e le conseguenze dell’inadempimento e, tra le altre, all’art.1227 c.c. -pur in assenza di specificazione su quale delle due fattispecie regolate della norma SAM intenda richiamare, il contenuto complessivo delle difese svolte è pertinente solo a quella regolata dal primo comma-
La valutazione, pur sintetica, della Corte di merito nel senso che la riconosciuta prevalenza dell’inadempimento a carico di SAM non permetta di attribuire rilevanza agli inadempimenti dell’ATI anche solo in un’ottica di applicabilità dell’art.1227 c.c. -l’inadempimento prevalente ai fini del disposto dell’art.1455 c.c. comporta l’imputabilità esclusiva della risoluzione contrattuale alla parte cui esso è riferibile-, è relativa al merito ed è sottratta al vaglio di legittimità.
12. -E’ da respingere anche il quarto motivo di ricorso, come sopra sintetizzato, perché anch’esso meritale.
RAGIONE_SOCIALE si duole infatti dell’interpretazione della domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE in ordine al riconoscimento del controvalore economico delle opere effettivamente eseguite in base all’appalto pubblico risolto, operata dalla Corte d’Appello in modo difforme rispetto al Giudice di primo grado, perché la Corte non avrebbe compreso la connessione univoca della richiesta di pagamento accolta in appello con la domanda di adempimento del contratto, superata dalla risoluzione dello stesso, invece compresa e sottolineata dal Tribunale.
Si tratta all’evidenza dell’interpretazione della domanda di pagamento per le opere realizzate, effettivamente svolta in modo tempestivo da RAGIONE_SOCIALE e valutata in modo diverso nei due gradi di merito, che è attività propria del Giudice
del merito -cfr. Cass. n.11103/2020, Cass. n.30770/2023-: le argomentazioni poste dalla ricorrente a sostegno del motivo in esame, pienamente adesive a quanto ritenuto dal primo Giudice in difformità dalla Corte d’Appello, si risolvono nella sostanza nella richiesta di sostituire al percorso logico interpretativo svolto dalla Corte di merito quello, preferito, seguito dal Tribunale.
La questione in esame attiene, si ripete, al piano del merito e non a quello di legittimità.
13. -Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna RAGIONE_SOCIALE a rimborsare a RAGIONE_SOCIALE quale mandataria dell’ATI composta dalla stessa società e dalla mandante RAGIONE_SOCIALE, le spese processuali della presente fase di giudizio, che liquida complessivamente nell’importo di € 15.000,00, oltre € 200,00 per anticipazioni e oltre oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13 comma 1 bis .
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte