Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2574 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2574 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 37629 del ruolo generale dell’anno 2019 , proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del liquidatore e legale rappresentante rag. NOME COGNOME, con sede in Roma, INDIRIZZO (c. f.: P_IVA), rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, dall’avv. NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE – pec: EMAIL – fax: NUMERO_TELEFONO) e dall’avv. NOME COGNOME (c. f.: CODICE_FISCALE pec: EMAIL; fax NUMERO_TELEFONO) ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO giusta procura in calce al ricorso.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE C.F. P_IVA, con sede in Roma, INDIRIZZO in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato C.F. 80224030587, per il ricevimento degli atti FAX NUMERO_TELEFONO e PEC EMAIL, presso cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n° 3236 depositata il 16 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-Nell’appalto stipulato il 20 ottobre 2005 tra la committente RAGIONE_SOCIALE e l’appaltatore RAGIONE_SOCIALE (avente ad oggetto i lavori di completamento del lotto n° 2 mediante la realizzazione dei collegamenti con l’abitato della Spezia dallo svincolo INDIRIZZO a INDIRIZZO per un importo di euro 9.465.276,00), l’appaltatore, a seguito della risoluzione contrattuale unilateralmente disposta dalla Stazione appaltante con atto del 19 settembre 2007, aveva iscritto due riserve: la n° 12, avente ad oggetto il risarcimento del danno per il tardivo collaudo dell’opera, e la n° 13, con cui aveva contestato la detrazione dal corrispettivo d’appalto di euro 80 mila, onere asseritamente sostenuto da Anas per il riappalto dell’opera a seguito della risoluzione del contratto.
Le riserve n° 1-11 costituivano, invece, oggetto di un procedimento arbitrale definito con lodo n° 130/2008 (col quale gli arbitri avevano ritenuto che vi fossero reciproci inadempimenti e che la risoluzione andasse, pertanto, qualificata come mutuo dissenso).
Tale lodo, impugnato davanti alla Corte d’appello di Roma, era stato annullato da quest’ultima, con sentenza a sua volta impugnata davanti a questa Corte di cassazione (RG 12708/16, ancora pendente al momento del deposito del ricorso per cassazione della COGNOME).
2 .-Quest’ultima agiva quindi davanti al tribunale di quella stessa città onde ottenere il pagamento delle riserve sopra indicate.
Con sentenza n° 11724 del 2014 il primo giudice accoglieva le domande e condannava la committente a pagare euro
1.204.745,55, oltre accessori, mentre respingeva la riconvenzionale di Anas diretta ad ottenere l’addebito all’appaltatrice di ulteriori oneri per il riappalto, pari ad euro 478.500, oltre a quelli (euro 80.000) già detratti dal corrispettivo.
3 .- La sentenza di primo grado veniva riformata dalla Corte d’appello romana su appello di Anas s.p.aRAGIONE_SOCIALE che respingeva le domande di risarcimento danni e di pagamento somme avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’Anas s.p.a., oggetto delle riserve n° 12 e n° 13.
Per quello che qui ancora interessa, osservava preliminarmente il secondo giudice che, al contrario di quanto eccepito dalla COGNOME, l’appello era ammissibile, essendo chiaramente esposta l’articolazione delle quattro ragioni di doglianza, con riferimento a parti della sentenza di primo grado che Anas assumeva errate.
L’appellante, peraltro, dopo aver puntualmente criticato la sentenza impugnata, aveva compiutamente fornito anche una ricostruzione giuridica alternativa a quella adottata dal Tribunale.
Nel merito, premesso che non era necessario attendere l’esito del giudizio di cassazione sulla sentenza d’appello che aveva annullato il lodo, la Corte territoriale osservava che non erano stati forniti in causa elementi probatori idonei ad attribuire la risoluzione contrattuale a reciproci inadempimenti, anziché al solo inadempimento della COGNOME, tant’è che, da un lato, non risultava smentito che il contratto si fosse risolto per atto unilaterale della PA ai sensi dell’art. 119 d.P.R. n° 554/1999 e, dall’altro, che la COGNOME non aveva mai chiesto al tribunale di accertare una ‘ differente scaturigine della risoluzione contrattuale (…) forse forte del contenuto del lodo ‘.
Inoltre, entrambe le parti avevano indicato come dies a quo per il collaudo la data del provvedimento di risoluzione del 19 settembre 2007: circostanza che confortava la prospettazione secondo cui il
rapporto ebbe a risolversi per atto unilaterale della PA a seguito dell’inadempimento dell’impresa.
Da ultimo, a seguito dell’annullamento del lodo arbitrale non vi era spazio per ritenere che la risoluzione fosse dipesa da causa diversa dall’inadempimento dell’appaltatore.
In conclusione, secondo la Corte, le ulteriori questioni dell’appello andavano esaminate partendo dalla premessa che l’appalto si fosse risolto per inadempimento della COGNOME.
Quanto al collaudo, era condivisibile il secondo motivo di gravame, col quale l’Anas aveva dedotto l’insussistenza di un obbligo di procedervi, in quanto gli artt. 119 e 121 del d.P.R. n° 554/1999 prevedevano solo la stima dei lavori regolarmente eseguiti e che devono essere accreditati all’appaltatore da parte del direttore dei lavori, la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti e l’inventario di materiali, macchine e mezzi da parte del responsabile del procedimento.
Infatti, mentre il collaudo era disciplinato dall’art. 192 del d.P.R. n° 554/1999 ed era diretto a verificare l’esecuzione dell’opera al termine dell’adempimento contrattuale, in caso di risoluzione l’appaltatore aveva diritto al solo pagamento delle opere eseguite, ai sensi dell’art. 119 d.P.R. n° 554/1999.
Era, dunque, infondata la pretesa oggetto della riserva n° 12.
Era, infine, fondato anche il terzo motivo di appello, col quale Anas si doleva del rigetto della domanda di addebito alla COGNOME dei costi di riappalto, oggetto della riserva n° 13, in quanto l’art. 121 del d.P.R. n° 554/1999 sanciva il diritto della Stazione appaltante di porre tali costi a carico dell’appaltatore inadempiente.
Non era, tuttavia, accoglibile la domanda di Anas di ottenere il rimborso degli ulteriori costi di riappalto, oltre a quelli (pari ad euro 80 mila) originariamente decurtati dal residuo corrispettivo dovuto, perché, in disparte la genericità della domanda stessa, non risultavano dimostrati gli ulteriori oneri economici sostenuti.
Le spese sono state compensate per metà e per la residua metà poste a carico della COGNOME e le spese di c.t.u. sono state poste integralmente a carico di quest’ultima.
4 .- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la COGNOME, affidando l’impugnazione a cinque mezzi.
Resiste Anas, che conclude per l’inammissibilità del ricorso e, comunque, per la sua infondatezza.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza aamerale ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.
Solo la ricorrente ha depositato una memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n° 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza derivante dalla violazione dell’art. 342 del codice di rito.
Deduce che la Corte ha disatteso la sua eccezione di inammissibilità dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE nonostante l’impugnazione fosse priva delle parti della sentenza che venivano sottoposte a critica, delle modifiche richieste e delle circostanze da cui sarebbe derivata la violazione di legge.
6 .- Il mezzo è palesemente inammissibile.
Non può essere dimenticato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione -che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte -vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito.
Ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi,
deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte.
Invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per il principio di autosufficienza di esso (per tutte: Cass., sez. I, 23 dicembre 2020, n° 29495, con menzione di altri precedenti).
Ora, nel mezzo è totalmente mancata la trascrizione, almeno nei passaggi fondamentali, della sentenza di primo grado e dell’appello proposto dall’Anas e tale carenza rende la doglianza generica ed irricevibile in questo giudizio di legittimità.
7 .- Col secondo motivo di ricorso, contenente in realtà più censure, la COGNOME lamenta, ai sensi dell’art. 360 n° 4 cod. proc. civ., che la Corte non abbia dichiarato inammissibile il primo motivo d’appello, così violando gli artt. 342, 329, 112 e 132, secondo comma, n° 4 del codice di rito.
Secondo una prima censura, il primo giudice avrebbe accolto la domanda dell’appaltatore sul rilievo che Anas non avesse dimostrato l’addebitabilità della risoluzione contrattuale alla COGNOME, mentre Anas aveva formulato il primo motivo di appello allegando che ‘ il ritardo nella predisposizione del collaudo attribuibile non ad un comportamento negligente dell’amministrazione quanto piuttosto a quello latitante di controparte ‘, cioè attribuendo una colpa all’appaltatore per il ritardo nel collaudo e non per aver determinato la risoluzione del contratto.
Ciononostante, la Corte aveva accolto l’appello predicando la riconducibilità della risoluzione contrattuale alla condotta inadempiente della COGNOME, così violando il giudicato ed il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.).
A tenore della seconda censura, la Corte (premesso che non occorreva attendere l’esito del giudizio di Cassazione avverso la sentenza d’appello che aveva annullato il lodo) aveva accolto l’appello osservando che ‘ non stati forniti elementi probatori idonei a ritenere la risoluzione del contratto di appalto ascrivibile a reciproci inadempimenti, anziché alla condotta inadempiente della sola appaltatrice ‘: spostamento dell’onere probatorio non comprensibile, a dire della ricorrente, dato che tali elementi erano già stati valutati dal Tribunale ai fini dell’addebitabilità dell’inadempimento alla committente e che su tale valutazione non vi era un motivo di appello.
Terzo profilo: la Corte aveva osservato che la stessa COGNOME in primo grado non aveva mai chiesto espressamente un ‘ accertamento sulla differente scaturigine della risoluzione contrattuale (…) forse forte del contenuto del Lodo ‘, mentre tale richiesta doveva considerarsi implicita nella domanda di risarcimento del danno e, comunque, il tribunale aveva statuito sul punto.
Secondo una quarta critica, la Corte aveva osservato che il dies a quo per il collaudo era stato fatto pacificamente decorrere dalla data del provvedimento di risoluzione contrattuale e tale elemento confortava, sempre a dire della Corte, che il rapporto contrattuale ebbe a risolversi sulla base del citato provvedimento unilaterale, scaturito dalla condotta inadempiente dell’impresa, mentre tale circostanza pacifica non implicava alcun riconoscimento dell’addebito da parte della COGNOME.
Infine, quinto biasimo, la Corte aveva osservato che il lodo arbitrale era stato annullato e da tale circostanza aveva dedotto che non vi era spazio ‘ per ritenere una diversa qualificazione delle cause originanti la risoluzione contrattuale ‘: motivazione inesistente, dato che l’annullamento del lodo non aveva alcun rilievo in punto di attribuibilità dell’inadempimento.
8 .-Nonostante l’eterogeneità delle censure, il mezzo appare ammissibile, in quanto le varie doglianze sono chiaramente enucleabili dal contesto del motivo.
Il primo profilo, col quale la ricorrente lamenta nella sostanza (questa volta trascrivendo le parti rilevanti della decisione e dell’appello) la violazione tra chiesto e pronunciato, è infondata.
Anzitutto, come è dato leggere dalla stessa sentenza di secondo grado nella parte contenente le conclusioni rese dalla COGNOME davanti al tribunale (pagine 2-3) ed in quella dedicata al riassunto dei motivi d’appello (pagine 4 -5), fu la stessa COGNOME a delimitare l’oggetto del giudizio alla sola questione del danno da ritardo nel collaudo, dando con ciò per ammessa la legittimità della risoluzione contrattuale disposta dalla Stazione appaltante.
Infatti, l’appaltatrice chiese al primo giudice di ‘ accertare e dichiarare il proprio diritto a vedersi riconosciuta e corrisposta in accoglimento della riserva n° 12 e per i titoli in essa indicati, la somma di € 539.133,29 oltre €/g 1505,30 dall’11 giugno 2010 e fino all’emissione del certificato di collaudo finale (…) ‘.
Questa domanda -vertente, come è dato notare, sulla sola questione del danno da tardivo collaudo -ha implicato, ovviamente, l’intangibilità del provvedimento unilaterale di risoluzione contrattuale e, dunque, la sua conformità a diritto, con conseguente definitiva addebitabilità dell’inadempimento alla sola COGNOME.
A fronte dell’accoglimento di tale domanda (danno da ritardo nel collaudo) da parte del primo giudice, Anas ha coerentemente
interposto appello rispettando l’oggetto del primo giudizio, ossia facendo osservare (primo motivo) che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale (secondo il quale il ritardo era attribuibile alla Stazione appaltante), ‘ la stessa consulenza tecnica aveva evidenziato come l’Impresa avesse realizzato lavorazioni per solo il 3,17 del totale, dovendo quindi ritenersi chiaramente dimostrato come il ritardo nella predisposizione del collaudo fosse attribuibile al comportamento latitante della COGNOME e che in ogni modo (secondo motivo) ‘ in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore viene meno in capo alla stazione appaltante l’obbligo di procedere al collaudo ‘.
Tale essendo il thema decidendum , la Corte di merito è correttamente partita dalla constatazione che la COGNOME non avesse ‘ chiesto espressamente al primo giudice un previo accertamento sulla differente scaturigine della risoluzione contrattuale (per mutuo dissenso, anziché per atto unilaterale della stazione appaltante … per grave inadempimento) ‘.
Da qui l’osservazione che ‘ il rapporto contrattuale ebbe a risolversi sulla base del citato provvedimento unilaterale, scaturito dalla condotta inadempiente dell’Impresa ‘.
Come è dato notare, non solo non vi è stata alcuna lesione tra il chiesto ed il pronunciato (donde l’infondatezza del primo profilo), ma nemmeno è ravvisabile una inversione dell’onere probatorio o la nullità della sentenza per mancanza di motivazione (vizi denunciati nel corpo del motivo con i profili 2-5), avendo la Corte ben spiegato le ragioni per le quali il gravame andava ‘ esaminato muovendo dal presupposto che il contratto di appalto da cui traggono origine le pretese oggetto delle due riserve nella presente sede azionate (nn. 12 e 13) si sia risolto a causa del grave inadempimento dell’appaltatrice ‘.
In conclusione, è pur vero che la Corte ha incidentalmente toccato la questione della prova dell’inadempimento contrattuale,
osservando che non vi erano elementi per predicare inadempienze reciproche e per negare l’inadempimento della COGNOME, ma è anche vero che tale questione non apparteneva all’oggetto del contendere, sicché tali digressioni della motivazione non inficiano il suo nucleo fondamentale, consistito nel predicare la non obbligatorietà del collaudo ove il contratto sia stato risolto per inadempimento dell’appaltatore (su tale questione si tornerà in seguito).
9 .- Col terzo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360 n° 4, la violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e, ex art. 360 n° 3, la violazione degli artt. 138 e 141 del d.lgs. n° 163/2006 e 192 del d.P.R. n° 554/99, nonché la falsa applicazione e degli artt. 119 e 121 del d.P.R. n° 554/99.
La Corte d’appello avrebbe stabilito che in caso di risoluzione per inadempimento non vi sarebbe obbligo per la Stazione appaltante di procedere al collaudo, ma tale statuizione sarebbe stata eccentrica rispetto al thema decidendum , in quanto il collaudo c’era effettivamente stato, anche se tardivo.
Inoltre, erano inconferenti i precedenti citati dalla Corte territoriale (Cass. 11189/18 e 25674/15), che avevano stabilito la non obbligatorietà del collaudo nel diverso caso in cui questo fosse stato impedito dallo stesso appaltatore, come pure fuori luogo era il richiamo alla decisione del Consiglio di Stato n° 2815/06.
In ogni caso del tutto inconferente sarebbe il richiamo all’art. 138 del d.lgs. n° 163/2006, che regola la redazione dello stato di consistenza conseguente alla risoluzione in danno disposta dalla committente, ma non sopprime l’obbligo di procedere al collaudo, che invece sorge, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. 7292/12), in ogni caso di mancata ultimazione dei lavori, compreso quello di risoluzione del contratto.
Da ultimo, la tesi di RAGIONE_SOCIALE sarebbe sconfessata dalla sua stessa condotta, avendo proceduto al collaudo, sebbene con ritardo, in data 10 maggio 2012, come pure accertato dal c.t.u.
10 .- Il mezzo è infondato.
È vero che questa Corte ha stabilito che l’ipotesi della risoluzione anticipata del contratto per fatto e colpa dell’appaltatore (ricorrente nel caso di specie) è assimilabile a quella dell’integrale esecuzione dell’opera appaltata e dell’omissione o del ritardo dell’amministrazione nell’effettuazione del collaudo e nell’approvazione del relativo certificato nei termini previsti dalla legge (Cass., sez. VI-3, 29 settembre 2017, n° 22950 e più recentemente Cass., sez. III, 20 ottobre 2023, n° 33858).
A tale orientamento, però, se ne affianca un altro, secondo il quale l’obbligo di procedere a tempestivo collaudo viene meno nel caso di una condotta o di un evento riferibile all’impresa e tale da impedire od ostacolare specificamente lo svolgimento delle operazioni di collaudo nel termine previsto dalla legge: evento che può anche consistere in una condotta gravemente inadempiente (come ad es. l’interruzione ingiustificata dei lavori), tale da indurre la stazione appaltante a porre fine al rapporto contrattuale mediante l’attivazione dei poteri ufficiosi di risoluzione anticipata del rapporto, e quindi da rendere impossibile il completamento delle opere, con la conseguenza che queste ultime non possono essere, per definizione, oggetto di collaudo nel termine di legge (Cass., sez. I, 9 maggio 2018, n° 11189 e Cass., sez. I, 21 dicembre 2015, n° 25674).
Tale ultimo indirizzo sembra preferibile a questo Collegio.
Infatti, se si esamina il testo degli artt. 119 e 121 del d.P.R. n° 554/1999 (che appaiono applicabili in quanto dalla stessa sentenza impugnata emerge che la risoluzione venne basata proprio sul citato art. 119) si può agevolmente notare che, in caso di risoluzione del contratto a seguito di inadempimento
dell’appaltatore, l’unico obbligo a carico della stazione appaltante è quello di disporre (tramite il Responsabile del procedimento) con preavviso di (almeno) venti giorni ‘ la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti e l’inventario di materiali, macchine e mezzi d’opera che devono essere presi in consegna dal direttore dei lavori ‘.
Questa disposizione è confluita quasi testualmente nell’art. 138, primo comma, del d.lgs. n° 163/2006, il quale al secondo comma prevede che ‘ ualora sia stato nominato l’organo di collaudo le operazioni, lo stesso procede a redigere, acquisito lo stato di consistenza, un verbale di accertamento tecnico e contabile (…) ‘.
Le disposizioni citate, pur potendo fare agevole riferimento alle norme sul collaudo (artt. 187 e seguenti del d.P.R. n° 554/1999 e art. 141 del d.lgs. n° 163/2006), hanno invece previsto, in caso di risoluzione per inadempimento, la formazione di atti diversi dal collaudo stesso.
In conclusione, il dato testuale della legge porta a ritenere che in presenza di risoluzione contrattuale per inadempimento dell’appaltatore, la Stazione appaltante non sia tenuta a procedere al collaudo.
Peraltro, che tale obbligo sia insussistente nel caso di risoluzione del rapporto per inadempimento dell’appaltatore è pure evidente dal testo dell’art. 187 del d.P.R. n° 554/1999 (‘ Oggetto del collaudo ‘), il quale stabilisce infatti che tale adempimento ‘ ha lo scopo di verificare e certificare che l’opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto, delle varianti e dei conseguenti atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati ‘: scopo che, in tutta evidenza, implica la prosecuzione del rapporto ed il compimento dell’opera.
Deve poi osservarsi che la tesi, secondo la quale il collaudo sarebbe obbligatorio anche in caso di risoluzione per inadempimento
dell’appaltatore, consentirebbe a quest’ultimo di avvalersi delle decadenze poste dalle disposizioni sul collaudo a carico della PA ed a favore della parte totalmente adempiente, così godendo di un vantaggio davvero ingiustificabile.
In conclusione, la decisione della Corte che nella presente fattispecie ha escluso l’obbligo di procedere al collaudo appare corretta.
11 .- Col quarto motivo la COGNOME lamenta nuovamente, in base all’art. 360 n° 4, la violazione degli artt. 342 e 112 cod. proc. civ.
Il giudice di primo grado avrebbe escluso l’obbligo della COGNOME di rifondere gli oneri di riappalto (euro 80 mila), non essendovi prova del suo inadempimento.
RAGIONE_SOCIALE avrebbe impugnato il punto deciso con un motivo (il terzo) del tutto fuori fuoco, con la conseguenza che non vi era contestazione sulla parte di sentenza del tribunale che aveva riconosciuto la fondatezza della riserva n° 13.
Dall’inammissibilità del mezzo, perché eccentrico rispetto alla ratio decidendi della prima sentenza, deriverebbe -a dire della ricorrente -anche un vizio di extrapetizione.
12 .- Il motivo è inammissibile.
La Corte ha riassunto a pagina 4 della sentenza il motivo di appello di Anas, precisando che con esso l’appellante rivendicava la piena legittimità della ritenuta operata per il riappalto nel conto finale, sulla base dell’art. 121 del d.P.R. n° 554/1999, norma che espressamente sancisce il diritto del committente di porre a carico dell’appaltatore inadempiente la maggiore spesa sostenuta per affidare i lavori ad altra impresa.
A pagina 7 la Corte ha poi spiegato le ragioni di accoglimento del motivo, facendo osservare che l’addebito dei costi di riappalto era previsto dall’art. 121 del d.P.R. n° 554/1999, norma successivamente confluita nell’art. 138 del d.lgs. n° 163/2006.
Non è dato, dunque, comprendere la lamentata violazione degli artt. 342 e 112 cod. proc. civ.
13 .- Col quinto ed ultimo motivo la COGNOME deduce che la auspicata riforma della sentenza oggetto di ricorso avrebbe effetto sulla pronuncia di condanna al pagamento delle spese di lite e di c.t.u.
14 .- Osservazione assolutamente condivisibile, ma non applicabile nella fattispecie, in considerazione della soccombenza della ricorrente.
15 .- Alla soccombenza della ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55/2014, come modificato dal d.m. n° 147/2022, ed al valore della lite (euro 1.204 mila, somma riconosciuta dal primo giudice e negata dalla Corte d’appello) si rimanda al dispositivo che segue.
Va, infine, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese del presente giudizio, che liquida in euro 16.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2025, nella camera di