Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2474 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2474 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6638/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME domiciliazione telematica digitale
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME domiciliazione telematica digitale
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2285/2021 depositata il 06/09/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE NOME ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 2285 del 2021 della Corte di appello di Venezia, esponendo, per quanto ancora qui di utilità, che:
la RAGIONE_SOCIALE quale affiliante, e la deducente, quale affiliata, avevano sottoscritto, il 12 luglio 2007, un contratto di affiliazione commerciale relativo al punto vendita con insegna ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ubicato all’interno del Centro Commerciale INDIRIZZO‘ sito in Roma, per la commercializzazione al dettaglio dei prodotti con marchio ‘RAGIONE_SOCIALE‘; per il medesimo punto vendita tra le stesse parti, il 6 agosto 2007, era stato sottoscritto il contratto di subaffitto di ramo d’azienda con decorrenza dal 25 luglio 2007;
alla direzione del detto esercizio era stata preposta NOME che con la società aveva sottoscritto un contratto di associazione in partecipazione;
il rapporto commerciale con RAGIONE_SOCIALE era già stato avviato da precedente contratto di affiliazione del 2 aprile 2005, presso il diverso punto vendita in Roma sito in INDIRIZZO
RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato poi un ulteriore contratto, l’8 maggio 2008, per gli stessi prodotti e con lo stesso marchio, presso un punto vendita in Terracina;
alla fine del 2010 NOME NOME aveva informato la società NOME di un increscioso episodio di aggressione verbale e di breve colluttazione con una dipendente, avvenuto all’interno del punto vendita di ‘INDIRIZZO‘, e la lite era stata resa oggetto di un programma televisivo a diffusione nazionale, il 13 aprile 2011, determinando l’interruzione dell’incarico direzionale da parte dell’amministrazione della società;
il 19 aprile 2011 RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato a NOME la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 12 dei tre contratti di
affiliazione commerciale, seppure l’episodio posto a base delle stesse avesse riguardato solo la gestione del punto vendita del centro commerciale ‘INDIRIZZO Roma’;
a séguito di ciò la gestione dei tre punti vendita era stata assunta direttamente da RAGIONE_SOCIALE, il 7 aprile 2016 NOME aveva promosso procedimento arbitrale, contestando la liceità dei tre atti di risoluzione che avevano causato gravi danni anche non patrimoniali, e il 3 maggio 2016 RAGIONE_SOCIALE aveva aderito al procedimento, assumendo, invece, la legittimità delle determinazioni assunte;
con lodo definitivo del 4 luglio 2017 il Collegio arbitrale nominato aveva deciso, a maggioranza dei suoi componenti, accertando la sproporzione della condotta di RAGIONE_SOCIALE in relazione ai due punti di vendita Roma INDIRIZZO e Terracina, determinando il danno subito da NOME per i giorni pari al termine di preavviso per il recesso, accertando il danno subito da RAGIONE_SOCIALE in relazione alla chiusura del punto vendita ‘INDIRIZZO‘, rigettando le residue domande e regolando le spese della lite;
NOME impugnava il lodo davanti alla Corte d’appello di Venezia, e RAGIONE_SOCIALE resisteva, proponendo pure impugnazione incidentale; tale Corte d’appello, con sentenza n.2285/2021, rigettava entrambe le impugnazioni;
NOME avverso la sentenza ha proposto ricorso, composto di cinque motivi, cui resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale fondato su motivo unico, RAGIONE_SOCIALE
le parti hanno depositato memorie;
il Sostituto Procuratore Generale ha formulato conclusioni scritte chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi;
Rilevato che:
con il primo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., 1362, 1363, 1364, cod. civ., 27, d.lgs. n. 40 del 2006 in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c.,
nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo: la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che non vi era stato alcun accordo come invece affermato nel lodo, per assoggettare tutto il relativo procedimento alla disciplina legislativa novellata del 2006, ovvero anche il contratto di affiliazione del 2005, ma solo dichiarazioni dei difensori, a quel fine comunque inidonee, volte diversamente a un complessivo vaglio delle contestate interruzioni dei tre distinti rapporti contrattuali, pur essendo la vicenda insorta relativamente al punto vendita di ‘INDIRIZZO‘;
da ciò deriverebbe la necessità della riforma della sentenza impugnata – per violazione dei canoni ermeneutici richiamati -, che avrebbe ‘ritenuto sussistente un accordo dei difensori sulla base del quale si sarebbero negoziate le norme di rito del procedimento arbitrale unificandole anche quanto al contratto sottoscritto del 2005’, le cui questioni presentate da RAGIONE_SOCIALE avrebbero invece dovuto scrutinarsi ‘secondo le censure sollevate da Emilio così come previste dall’art.829 c.p.c. vecchia formulazione’;
con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 816-bis, 104, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo: questo in quanto la Corte di appello avrebbe errato assumendo una mai avvenuta negoziazione e pattuizione sulle norme del relativo procedimento, mentre vi sarebbe stato solo un accordo a una trattazione complessiva della vicenda per evidenti ragioni di economia processuale, senza che potesse tradursi in una deroga alle norme di rito, con conseguente inapplicabilità della disciplina del 2006 al contratto del 2005;
con il terzo motivo si violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 808, ratione temporis applicabile, 808-quater c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., nonché, in relazione all’art.
360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo, poiché -in sostanza – la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che quanto accaduto era stato solo presupposto storico comune alle interruzioni dei rapporti contrattuali, mentre questi sarebbero rimasti distinti e non assimilabili se non del tutto immotivatamente oltre che in violazione del criterio di adeguatezza e proporzionalità, sicché, con il lodo, vi sarebbe stato un superamento dei limiti delle clausole compromissorie di ciascun contratto;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione de ll’ art. 112, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo; ciò in quanto la Corte di appello avrebbe errato:
-mancando di considerare che il Collegio arbitrale aveva adottato una decisione a sorpresa qualificando in termini di recesso, e non risoluzione, l’interruzione dei rapporti negoziali relativi ai due punti vendita diversi da quello dov’era accaduto l’incidente, fermo che, nel caso, sarebbero spettati rimborso dei costi e mancati guadagni ai sensi dell’art. 1671 cod. civ.;
-omettendo di esaminare, di conseguenza, l’intrinseca contraddittorietà dell’argomentazione arbitrale, tale ai sensi di entrambe le discipline sul lodo anteriore e successiva alla novella legislativa del 2006, essendosi limitata la corte territoriale ad affermare che non sussisteva contrasto tra motivazione e dispositivo o parti di quest’ultimo, assumendo che solo ciò avrebbe potuto aver rilievo;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 184, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., nonché, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il Collegio arbitrale
aveva negato ingresso a una produzione documentale senza che fossero stati dati termini istruttori a tal fine definiti perentori e, parimenti, aveva respinto la richiesta della difesa deducente di ottenere chiarimenti dal consulente tecnico d’ufficio sebbene il calcolo peritale dei costi sostenuti dalla affiliata per i primi mesi del 2011 sarebbe stato da riferire a merce destinata alla vendita anche nei mesi successivi, sicché il valore di magazzino avrebbe dovuto considerarsi tenendo conto che la controparte aveva in tal modo lucrato sul valore da banco;
con il motivo di ricorso incidentale si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 829, 115, 132, n. 4, cod. civ., 1223, 1226, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il danno all’immagine commerciale della deducente sarebbe stato sussistente nonostante gli utili realizzati, che sarebbero stati evidentemente maggiori se non ci fosse stato bisogno dei maggiori investimenti necessari a compensare quel danno, il cui corrispondente pregiudizio avrebbe dovuto liquidarsi equitativamente una volta non ammesse le prove orali articolate sul punto e da vagliare in uno alla produzione documentale offerta al riguardo;
Considerato che:
i primi quattro motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;
in primo luogo, le censure dirette a sostenere l’illegittimità di un accordo sulle norme di rito seguite dal Collegio arbitrale, quale ipotizzato dalla Corte d’appello , sono inammissibili nella misura in cui non spiegano o non risulti comunque evidente quale sarebbe stata la lesione del diritto di difesa della ricorrente o altro suo pregiudizio incidente sull’andamento o sull’esito del processo (cfr., ad esempio, Cass., 09/01/2024, n. 903);
in secondo luogo, la Corte territoriale ha evidenziato che «ciascun contratto stato esaminato nei limiti che gli erano propri come si poteva dedurre dal fatto che il Collegio arbitrale aveva ritenuto che il comportamento della Emilio giustificasse la risoluzione del contratto di affiliazione relativo al punto vendita Porta di Roma, ma non dei contratti di affiliazione relativi ai punti vendita di Appia Nuova e Terracina, ritenuti sciolti per effetto dell’esercizio di un valido diritto di recesso», fermo che «a prescindere dalla differente valutazione effettuata per ciascuno dei tre contratti nessuna contraddizione del lodo ritenersi sussistere atteso che il Collegio arbitrale ha distintamente esaminato la ricaduta su ciascun contratto degli effetti conseguenti alla condotta che aveva dato origine alla iniziale richiesta di risoluzione. In ogni caso … la contraddittorietà del lodo rilevante ai fini del riconoscimento di un vizio per nullità di questo non è quella che riguarda il convincimento espresso, sulla base delle argomentazioni logiche compiutamente svolte dal Collegio arbitrale in motivazione, ma è quella che si traduce in un contrasto evidente e puntuale tra motivazione e dispositivo o tra le diverse parti del dispositivo …, contrasto che non si evince nella specie» (pagg. 16-17);
questa duplice ragione decisoria supera la questione della pretesa sproporzione nella condotta di Calzedonia;
in punto di recesso parte ricorrente afferma, come detto, che la decisione sarebbe stata ‘a sorpresa’ e comunque senza considerare le spettanze derivanti dai recessi (pag. 23 del ricorso); con riguardo al primo profilo, però, non viene svolta censura in questa sede sull’interpretazione della domanda svolta dagli arbitri, mentre dal ricorso (pagg. 8-9) emerge che in appello sarebbe stata affermata l’adozione d’ufficio di tale statuizione e, comunque, in pretesa difformità dalle iniziative negoziali di RAGIONE_SOCIALE senza che emerga ovvero venga specificatamente illustrato in alcun modo, in ricorso, il necessario confronto con le domande e deduzioni svolte
in sede arbitrale, così da dimostrare l’extrapetizione affermata riguardo a fatti pacificamente allegati, né il necessario contenuto delle dichiarazioni negoziali dell’affiliante tale da palesare la diversità ipotizzata o l’impossibilità di darne un’ermeneutica negoziale estensiva o comunque alternativa: le deduzioni sul punto rimangono quindi, per come formulate, meramente assertive e, perciò, inammissibili (cfr. anche Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);
né risulta dimostrata la formulazione di domande aventi ad oggetto spettanze non accordate dagli arbitri in relazione alla fattispecie di recesso;
ciò posto, non risulta pertanto, quanto al secondo profilo, alcuna contraddittorietà del lodo, a prescindere dal rilievo, effettuato dalla Corte di appello (pag. 15), per cui «la sanzione di nullità del lodo contenente disposizioni contraddittorie prevista dall’art. 829, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., e dall’odierno art. 829, primo comma, n. 11, cod. proc. civ., non corrisponde a quella dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ma va intesa nel senso che detta contraddittorietà deve emergere tra le diverse componenti del dispositivo, ovvero tra la motivazione ed il dispositivo, mentre la contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione, non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo, può assumere rilevanza, quale vizio del lodo, soltanto in quanto determini l’impossibilità assoluta di ricostruire l’iter logico e giuridico sottostante alla decisione … (Cass. 17645/21; Cass. 2747/21; Cass. 1258/16; Cass.11895/14, tra le più recenti)»;
quest’affermazione (che richiama una giurisprudenza di legittimità risalente a molti anni addietro: v., ad esempio, Cass., 17/07/1999, n. 7588), comunque, non risulta oggetto di specifica censura, neppure in argomentata correlazione alla disciplina ratione temporis applicabile, in tesi, all’arbitrato;
il quinto motivo è inammissibile;
la censura non dimostra in alcun modo quali, e di quale potenziale concludenza, sarebbero stati i documenti oggetto di diniego di acquisizione (pag. 23 della decisione impugnata), e quando e come sarebbero state svolte e supportate da offerta di prova le allegazioni dettagliate (pag. 25 della stessa sentenza, ultimo capoverso) in ordine ai costi di acquisto delle merci, in evidente violazione, per aspecificità, del disposto di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, e del divieto di deduzione, in sede di legittimità, di fatti nuovi e implicanti nuovi ulteriori accertamenti di fatto (cfr., ad esempio, Cass., 13/12/2019, n. 32804);
il ricorso principale, dunque, va rigettato;
il ricorso incidentale presenta un unico motivo inammissibile;
innanzi tutto, non viene censurata specificatamente la ragione decisoria afferente ai limiti di deduzione del vizio del lodo appena sopra discussi quali riportati dal Collegio di seconde cure, se non: i) con inappropriato riferimento alla motivazione apparente nel caso del tutto decifrabile nei suddetti termini; ii) con riferimento al fatto che, in altro passo del lodo, il Collegio arbitrale aveva fatto riferimento alla gravità dei fatti tale da determinare pregiudizio all’immagine di Calzedonia, laddove è evidente che altro è la valutazione del fatto ai fini risolutori o di recesso, altro ai fini della pretesa di risarcimento di danni da provare nel loro ammontare o comunque offrendo i possibili elementi di prova, seppure parziale, tale da legittimare integrazioni equitative (cfr. Cass., 12/04/2023, n. 9744);
in secondo luogo, si fa riferimento ad allegazioni:
che non si comprende se svolte in memorie assertive o meramente illustrative;
di cui non si dimostra la corrispondente offerta di necessaria prova;
il disattendimento di entrambi i ricorsi conduce a spese compensate stante la reciproca soccombenza delle parti;
si dà atto, ex art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, sia da parte ricorrente principale che, distintamente, da parte ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale, compensando le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, sia da parte ricorrente principale che, distintamente, da parte ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17/12/2024.