Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1215 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1215 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 28573/2020 r.g. proposto da:
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difes a dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio, giusta procura speciale alle liti in calce al ricorso.
-ricorrente –
contro
Provincia di Oristano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv . NOME COGNOME giusta procura speciale
in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato .
– controricorrente-ricorrente incidentale-
avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 452/2020 depositata in data 3/9/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Provincia di Oristano, dovendo provvedere ai lavori di realizzazione della circonvallazione di Mogoro e Masullas, aggiudicava la gara con determinazione n. 98 del 21/8/2001 alla NOME RAGIONE_SOCIALE stipulando il successivo contratto il 12/10/2001, per l’importo di euro 1.055.375,47.
Per quel che ancora qui rileva, il termine finale dei lavori veniva individuato in 558 giorni, con verbale di consegna del 12/10/2001.
Venivano redatte due perizie di variante: la prima il 22/11/2002, senza modificazione dei termini di consegna; la seconda il 31/5/2004, con termine per ultimazione dei lavori prorogato al 30/7/2004, con la stipulazione di atto di sottomissione del 15/6/2004, senza apposizione di alcuna riserva da parte della società appaltatrice.
I lavori venivano però consegnati con ritardo di 431 giorni, in data 4/10/2005.
Per quel che ancora qui rileva, la società appaltatrice provvedeva all’iscrizione della riserva n. 1, al momento del 2º SAL, con riferimento ai maggiori tempi di esecuzione dei lavori, per la presenza di sottoservizi, relativi alle linee Enel e Telecom, per un importo complessivo di euro 316.132,21.
Veniva poi iscritta alla riserva n. 5, con il 3º SAL, sempre con riferimento ai maggiori tempi di esecuzione per la presenza di sottoservizi, per la somma di euro 150.853,71.
Si procedeva anche all’iscrizione della riserva n. 6, iscritta nel 4º SAL, sempre per i sottoservizi, per la somma complessiva di euro 33.918,04.
Venivano poi iscritte le riserve numeri 8,10, 12 e 12/A, per l’indebita applicazione della penale da ritardo, in relazione ai 431 giorni.
La riserva n. 7 veniva iscritta al 2º SAL relativa all’erronea contabilizzazione, per la presenza di sottoservizi, del quantitativo dello scavo a sezione obbligata, nella misura di metri cubi 4967,92, a fronte dei metri cubi 1523,33 di cui alla direzione dei lavori.
Il tribunale di Oristano con sentenza n. 93 del 2015 rigettava le domande della società appaltatrice relativa alle riserve.
La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 452/2020, depositata il 3/9/2020, rigettava l’appello della società appaltatrice.
In particolare, con riferimento alle riserve di cui ai numeri 1,5 e 6, relative alla presenza dei sottoservizi, la Corte di merito, conformemente a quanto ritenuto già dal tribunale, reputava la tardività dell’iscrizione delle riserve, in quanto i sottoservizi relativi alle interferenze con le linee Enel e Telecom erano già noti sia al momento di consegna dei lavori in data 12/10/2001, sia al momento di redazione del primo SAL in data 3/10/2003.
Ciò emergeva: dall’art. 16.24 del contratto di appalto, ove si prevedeva che l’impresa appaltatrice era tenuta all’ottenimento di autorizzazioni, concessioni, permessi, licenze necessarie per eseguire lavori da parte di altre amministrazioni eventualmente interessate dalle opere; dalla previsione contrattuale per cui la società appaltatrice avrebbe dovuto ottenere dagli enti interessati i
preventivi per gli interventi necessari «per la regolarizzazione delle interferenze, deviazioni o spostamenti di servizi, cavi, tubi, canali, linea elettrica»; dalla perfetta visibilità delle linee telefoniche «essendo costituite dall’esistenza di pali in corrispondenza delle rampe di accesso del nuovo ponte di scavalco della circonvallazione» (pagina 8 della motivazione della sentenza della Corte d’appello «la presenza di sottoservizi era perfettamente visibile e avrebbe pertanto dovuto essere oggetto di riserva, a maggior ragione se rispondesse al vero la circostanza, dedotta dall’impresa e contestata dalla stazione appaltante, secondo cui delle interferenze non vi era traccia negli elaborati progettuali»); dalla visibilità anche delle linee interrate, nell’area in cui era stato realizzato il cavalcavia («perfettamente visibili sul piano viabile le tracce dei ripristini conseguenti alla loro interramento»); dalla nota del marzo 2003 con cui l’impresa appaltatrice aveva sollecitato la Telecom ad effettuare un sopralluogo al fine di definire gli spostamenti delle linee; dal sopralluogo effettuato dalla società appaltatrice ove si attestava che la stessa aveva preso conoscenza delle condizioni locali «nonché di tutte le circostanze generali e particolari suscettibili di influire sulla determinazione dei prezzi, sulle condizioni contrattuali e sull’esecuzione dell’opera e di aver giudicato i lavori stessi realizzabili, elaborati progettuali adeguati e di prezzi nel loro complesso remunerativi e tali da consentire il ribasso offerto»; dalle note della società appaltatrice del 28/5/2003, ricevute il 3/6/2003, all’Enel ed alla Telecom, con la richiesta di sopralluogo, in epoca antecedente al primo SAL che reca la data del 3/10/2003; dalla sussistenza della potenzialità dannosa, trattandosi di riserve «continuative», non essendo necessaria l’esistenza di un danno per appaltatrice, ai fini dell’iscrizione della riserva e della relativa tempestività della stessa.
Con riguardo, poi, alla non fondatezza delle riserve di cui ai nn. 1, 5 e 6, elementi di rilievo venivano dedotti da: l’inerzia dell’impresa in relazione alla risoluzione dei problemi inerenti ai sottoservizi; l’insussistenza delle condizioni per la sospensione dei lavori ai sensi degli articoli 24 e 25 del D.M. 145 del 2000; la nota del direttore dei lavori n. 5203 del 26/3/2004 da cui emergeva che nessun provvedimento era stato adottato per rimuovere le pretese cause ostative all’esecuzione degli scavi occorrenti per la successiva realizzazione del cavidotti; l’inerzia dell’impresa che dal mese di settembre 2003 al mese di marzo 2004 non si era in alcun modo attivata per risolvere le problematiche relative alla sussistenza delle interferenze; la circostanza che i lavori erano stati poi espletati in un brevissimo lasso temporale; l’ulteriore circostanza per cui, avendo l’impresa eseguito lo sbancamento, la Provincia, al fine di accelerare i tempi di esecuzione dei lavori, anche se gli stessi si sarebbero dovuti eseguire a carico totale dell’Enel, aveva deciso di farsi carico della posa del cavidotti; l’esistenza dei sottoservizi era già conosciuta alla data della stipulazione del contratto e comunque alla data della consegna dei lavori, non costituendo un evento imprevisto e imprevedibile; con riguardo alle linee telefoniche la Telecom con nota del 13/9/2004 aveva rappresentato la circostanza che la richiesta dell’1/7/2004, dopo oltre un anno dalla prima richiesta di sopralluogo dell’impresa risalente al marzo 2003, non aveva avuto alcuna risposta.
Con riferimento alle riserve numeri 8,10,12 e 12/A, la Corte d’appello evidenziava la concessione di due proroghe, la prima del 3/3/2013 di giorni 240 e la seconda, con l’atto di sottomissione del 15/6/2004, in data 31/5/2004, con termine per l’ultimazione dei lavori portato al 30/7/2004.
Anche in questo caso, nessuna riserva era stata iscritta dall’impresa al momento dell’atto di sottomissione, quando il termine per l’ultimazione dei lavori era stato fissato al 30/7/2004.
La Corte territoriale ribadiva che il ritardo non poteva essere giustificato con la presenza delle interferenze che non sarebbero state evidenziate negli elaborati progettuali.
Tra l’altro, la nota del 9/7/2004, con cui la società appaltatrice chiedeva la proroga del termine di consegna dei lavori, non recava alcun progetto esecutivo.
Inoltre, la direzione dei lavori aveva più volte rilevato «l’inattività del cantiere e l’insufficienza del personale e dei mezzi impiegati nell’esecuzione dei lavori».
Quanto alla riserva n. 7, iscritta al momento di sottoscrizione del 2º SAL, concernente l’erronea contabilizzazione, per la presenza dei sottoservizi, del quantitativo dello scavo a sezione obbligata, per una quantità pari a metri cubi 4967,92 a fronte dei metri cubi 1523,33, eseguito nel cavalcavia, la Corte territoriale confermava la tardività della riserva «per essere l’appaltatrice a conoscenza dell’esistenza dei sottoservizi già prima della sottoscrizione del primo SAL».
Quanto al merito, la Corte d’appello rilevava che «lo sbancamento avvenne in presenza dei cavi» per cui «la decisione dell’appaltatrice di realizzare il cavalcavia prima degli sbancamenti era corrisposta ad una sua scelta operativa, non ritenuta necessaria dalla committente, la quale pertanto non poteva essere chiamata a sopportare i relativi oneri».
La circostanza che la lavorazione era stata eseguita prima della sottoscrizione del primo SAL imponeva l’iscrizione della riserva in tale atto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la provincia di Oristano, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione delle norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.), in relazione all’art. 31 del D.M. 145/2000».
In particolare, la ricorrente censura la sentenza della Corte d’appello laddove ha ritenuto che l’iscrizione relativa alle riserve cui ai numeri 1,5 e 6, sarebbe stata tardiva, in quanto «sarebbe dovuta avvenire già al momento della consegna dei lavori, ovvero, al più, in calce alla Sal n. 1».
Preliminarmente, la ricorrente osserva che i giudici di merito hanno ritenuto inefficace sensi dell’art. 1341 c.c. le clausole contrattuali che escludevano qualsiasi diritto per l’impresa di chiedere proroghe o indennizzi connessi all’esistenza dei sottoservizi. Di qui, la conseguenza per cui ogni successiva considerazione espressa dei giudici di merito, tesa a fondare il rigetto delle riserve, costituiva «un fuor d’opera», atteso che l’eventuale conoscenza dei sottoservizi da parte dell’appaltatrice non equivale «a rinuncia dei maggiori oneri per il relativo ritardato spostamento».
Sarebbe poi contraddittoria l’affermazione della Corte di merito per cui, da un lato la presenza di interferenze ha determinato un rallentamento dei lavori soltanto «nel periodo successivo alla sottoscrizione del primo SAL», ma, dall’altro la mancata risoluzione dei problemi ad esse connessi in data anteriore al primo SAL «imponeva l’iscrizione della riserva in tale documento».
Tale giudizio si sarebbe fondato su un’errata ed inammissibile interpretazione dell’art. 31 del D.M. 145 del 2000.
Il legislatore avrebbe previsto due diversi momenti rilevanti ai fini della tempestiva iscrizione delle riserve: l’insorgenza del fatto che ha determinato il pregiudizio oppure la cessazione di questo punto
La Corte d’appello ha, invece, erroneamente, affermato che la natura continuativa della riserva non esonera l’appaltatore dall’iscrivere la stessa sul registro di contabilità «non appena si palesi l’evento pregiudizievole, rimandando poi, ad un secondo momento, l’esatta quantificazione economica del danno sopportato». In tal modo si sarebbe verificata un’indebita interpretatio abrogans dell’art. 31 richiamato.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.), in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c.».
La decisione della Corte d’appello sarebbe illegittima perché fondata «esclusivamente sulla documentazione depositata da controparte», senza tener conto della nota del 15/3/2004, con cui era stato fatto presente ad Enel ed alla Provincia che l’impossibilità di procedere con lo sbancamento «fosse da attribuire alla pretesa del gestore di non disattivare la linea interessata dai lavori».
Sarebbe stata anche arbitraria la decisione «resa in ordine alla mancata nomina di un CTU».
Inoltre, sussistevano i presupposti di cui agli articoli 24 e 25 del D.M. n. 145 del 2000, non essendo corretta la motivazione della Corte d’appello per cui non vi erano i presupposti per procedere alla sospensione dei lavori, «poiché la presenza dei sottoservizi sarebbe stata conosciuta dall’appaltatore già dalla consegna dei lavori».
In realtà, seppure la presenza di sottoservizi era ipotizzata dai documenti di gara, tuttavia «le problematiche relative ai ritardi nello spostamento si sono concretate solamente in un secondo momento e precisamente nel periodo successivo al SAL n. 1»; di qui l’imprevedibilità dell’evento, costituito da ritardo con cui la stazione appaltante ha provveduto alla rimozione.
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.) in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c.».
La ricorrente, con riferimento alla penale applicata dalla stazione appaltante, «reitera le medesime argomentazioni di cui al precedente motivo, considerando che le circostanze che hanno portato la committente ad applicare la penale sono le medesime che hanno determinato l’appaltatore ad iscrivere riserve numeri 1,5 e 6».
La Corte d’appello sarebbe incorsa in una palese violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. «nel fondare la decisione esclusivamente sulla documentazione avversaria, nonché nel non disporre il richiesto accertamento peritale».
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione delle norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) in relazione all’art. 31 del D.M. n. 145 del 2000 e nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4), in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c.».
Con riferimento alla riserva n. 7, l’errore dei giudici di merito avrebbe riguardato l’art. 31 del D.M. n. 145 del 2000.
Nel caso in esame, con riguardo alla tempestività della riserva, l’insorgenza del fatto pregiudizievole, ossia la mancata contabilizzazione delle maggiori lavorazioni eseguite, è avvenuta «non già al momento in cui l’opera è stata eseguita, bensì quando
l’appaltatore ha appreso il minor quantitativo contabilizzato». Di qui la corretta iscrizione della riserva «al SAL n. 4».
Quanto al merito, la Corte d’appello avrebbe errato «nel valutare l’assenza di allegazioni probatorie e nel rigettare la richiesta consulenza tecnica».
Con il primo motivo di ricorso incidentale la provincia deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 31 della legge n. 109 del 1994 e dell’art. 149 del d.P.R. n. 554 del 1999 vigenti ratione temporis ».
La Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi su gravame condizionato della provincia di Oristano, teso ad ottenere la riforma della sentenza del tribunale nella parte in cui ha disatteso l’eccezione proposta dalla provincia, in base alla quale appaltatrice doveva ritenersi decaduta dal diritto di proporre domande nel presente giudizio con riferimento alle riserve numeri 1,2,3 e 4.
Ad avviso del tribunale, poiché la provincia aveva ritenuto non attivabile la procedura di accordo bonario, ai sensi dell’art. 31bis della legge n. 109 del 1994, ne sarebbe conseguita l’assenza di «una determinazione della stazione appaltante rispetto alla quale possa dirsi intervenuta la decadenza di cui alla norma richiamata».
Tuttavia, al momento dell’iscrizione delle riserve suddette nel registro di contabilità la società appaltatrice aveva domandato l’attivazione della procedura di accordo bonario di cui all’art. 31bis della legge n. 109 del 1994.
La Provincia aveva ritenuto «non attivabile» tale procedura, avendo valutato «non ammissibili le richieste in questione ai fini del raggiungimento dei limiti di importo».
Tale decisione era stata comunicata con nota del 5/11/2004, ricevuta dall’impresa il 9/11/2004.
Pertanto, ad avviso della ricorrente incidentale, l’azione giudiziale doveva essere proposta dall’appaltatrice entro l’8/1/2005, ossia entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione.
Tale comunicazione doveva, dunque, intendersi come «comunicazione di cui all’art. 149, comma 3, del regolamento, dalle cui ricevimento l’art. 33 del capitolato generale fa decorrere il termine di 60 giorni per la valida proporzione della domanda».
La comunicazione di cui all’art. 149 comma 3 del regolamento non sarebbe solo quella, positiva, contenente la proposta di accordo bonario effettuata dal responsabile del procedimento è fatta propria dalla stazione appaltante, «ma anche quella, negativa, afferente al mancato riconoscimento (ossia al rigetto) delle riserve formulate dall’appaltatore, poiché ritenute infondate e/o inammissibili, e dunque non idonee a determinare la formulazione di alcuna proposta di soluzione bonaria».
6. Con il secondo motivo di impugnazione incidentale la Provincia deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 174 d.P.R. n. 554 del 1999 vigenti ratione temporis».
Il tribunale ha ritenuto che l’impresa non fosse incorsa nella decadenza di cui all’art. 174 del d.P.R. n. 554 del 1999 laddove, nonostante la sottoscrizione del conto finale, in data 12/9/2007, «senza conferma delle riserve precedentemente iscritte», aveva successivamente confermato le stesse in data 7/11/2007, persino iscrivendone una nuova.
Per il tribunale la conferma delle riserve potrebbe promanare anche da altro documento diverso dal conto finale.
Ad avviso della ricorrente incidentale l’ultronea esplicitazione, da parte dell’appaltatore che abbia sottoscritto il conto finale senza
confermare le precedenti riserve, è generalmente rinvenuta in atti coevi o antecedenti alla sottoscrizione del conto finale.
In genere si tratta della coeva sottoscrizione nel caso in esame, però, si tratta di una diversa ipotesi.
I primi tre motivi di impugnazione principale, che fanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
7.1. Invero, si rileva che, pur allegando la ricorrente una violazione di legge, in realtà chiede una nuova valutazione delle risultanze istruttorie già compiutamente esaminate dalla Corte di merito, non consentita in sede di legittimità.
7.2. Sotto questo aspetto, non può non osservarsi che si è in presenza di una doppia decisione conforme di merito, in quanto sia il giudice di prime cure che la Corte d’appello hanno ritenuto, con motivazioni sostanzialmente sovrapponibili, sia la mancanza di tempestività dell’iscrizione delle riserve di cui ai numeri1, 5 e 6, essendo infatti perfettamente conosciuti o conoscibili dalla società appaltatrice già al momento della consegna dei lavori e quindi in data 12/10/2001, e comunque al momento di sottoscrizione del primo SAL in data 13 2003, sia la non fondatezza nel merito delle doglianze, essendo obbligo contrattuale dell’appaltatrice la rimozione delle interferenze relative sottoservizi Telecom ed Enel.
Il quadro normativo sul punto risulta alquanto variegato.
8.1. La previsione delle riserve si rinviene nell’art. 53 del regio decreto 25/5/1895, n. 350 (Che approva il regolamento sulla direzione, contabilità e collaudazione dei lavori dello Stato), per cui «Notate nel libretto delle misure, sul luogo dell’opera, le partite di lavoro eseguito e quelle delle somministrazioni fatte dall’appaltatore, si devono iscrivere le une e le altre al più presto nel registro di contabilità Si iscrivono immediatamente di seguito le domande
che l’appaltatore crede di fare, le quali debbono essere formulate e giustificate nel modo indicato dal successivo art. 54, e le osservazioni del Direttore».
Si prevede, poi, all’art. 54, comma 3, del regio decreto n. 350 del 1895 che «se l’appaltatore ha firmato con riserva egli deve, nel termine di 15 giorni, esplicare le sue riserve, scrivendo e firmando nel registro le corrispondenti domande di indennità, e indicando con precisione le cifre di compenso cui crede aver diritto e le ragioni di ciascuna domanda».
Tale disposizione viene abrogata dall’art. 231 del d.P.R. n. 554 del 1999.
8.2. Segue l’art. 26 del d.P.R. n. 1063 del 1962 (Approvazione del capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici), abrogato dall’art. 231 del d.P.R. n. 554 del 1999, a mente del quale (Documenti contabili e riserve dell’appaltatore) « documenti contabili sono tenuti secondo le prescrizioni del regolamento approvato con regio decreto 25 maggio 1895, n. 350. Le osservazioni dell’appaltatore sui predetti documenti, nonché sul certificato di collaudo, devono essere presentate ed iscritte, a pena di decadenza nei termini e nei modi stabiliti dal regolamento di cui al precedente comma».
8.3. Si passa, poi, al d.P .R. n. 554 del 1999 (Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 109/1994), applicabile alla fattispecie ratione temporis , il cui art. 164 (Annotazioni delle partite di lavorazioni nel registro di contabilità) stabilisce che «e partite di lavorazioni eseguite e quelle delle somministrazioni fatte dall’appaltatore sono annotate nel libretto delle misure o nell’apposito documento, a seconda delle modalità di contabilizzazione, sul luogo del lavoro, e quindi trascritte nel registro di contabilità, segnando per ciascuna partita il richiamo della pagina
del libretto nella quale fu notato l’art. di elenco corrispondente ed il prezzo unitario di appalto. Si iscrivono immediatamente di seguito le domande che l’appaltatore ritiene di fare, le quali debbono essere formulate e giustificate nel modo indicato dall’art. 165 nonché le motivate deduzioni del direttore dei lavori. Si procede con le stesse modalità per ogni successiva annotazione di lavorazioni e di somministrazioni. Nel caso in cui l’appaltatore si rifiuti di firmare, si provvede a norma dell’art. 165, comma 5».
Si chiarisce all’art. 165 che «1. Il registro di contabilità è firmato dall’appaltatore, con o senza riserve, nel giorno in cui gli viene presentato. 2. Nel caso in cui l’appaltatore non firmi il registro, è invitato a farlo entro il termine perentorio di quindici giorni e, qualora persista nell’astensione o nel rifiuto, se ne fa espressa menzione nel registro. 3. Se l’appaltatore ha firmato con riserva, egli deve a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni, esplicare le sue riserve, scrivendo e firmando nel registro le corrispondenti domande di indennità e indicando con precisione le cifre di compenso cui crede aver diritto, e le ragioni di ciascuna domanda. 4. Il direttore dei lavori, nei successivi quindici giorni, espone nel registro le sue motivate deduzioni. Se il direttore dei lavori omette di motivare in modo esauriente le proprie deduzioni e non consente alla stazione appaltante la percezione delle ragioni ostative al riconoscimento delle pretese dell’appaltatore, incorre in responsabilità per le somme che, per tale negligenza, l’amministratore dovesse essere tenuta a sborsare».
Ai sensi dell’art. 174 del d.P.R. n. 554 del 1999 (Reclami dell’appaltatore sul conto finale) «saminati i documenti acquisiti, il responsabile del procedimento invita l’appaltatore a prendere cognizione del conto finale a sottoscriverlo entro un termine non superiore a 30 giorni», con la precisazione per cui «l’appaltatore,
all’atto della firma, non può iscrivere domande per oggetto o per importo diverse da quelle formulate nel registro di contabilità durante lo svolgimento dei lavori, e deve confermare le riserve già iscritte sino a quel momento negli atti contabili per le quali non sia intervenuto l’accordo bonario ».
Ai sensi del comma 3 dell’art. 174, «se l’appaltatore non firma il conto finale nel termine sopra indicato, o se lo sottoscrive senza confermare le domande già formulate nel registro di contabilità, il conto finale si ha come da lui definitivamente accettato».
Il d.P.R. n. 544 del 1999 è stato abrogato dal d.P.R. n. 207 del 2010.
8.4. La norma applicabile al caso di specie è rappresentata dal D.M. n. 145 del 2000 (Regolamento recante il capitolato generale d’appalto di lavori pubblici, ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni), il cui art. 31 (Forma e contenuto delle riserve) dispone che «’appaltatore è sempre tenuto ad uniformarsi alle disposizioni del direttore dei lavori, senza poter sospendere o ritardare il regolare sviluppo dei lavori, quale che sia la contestazione o la riserva che egli iscriva negli atti contabili. 2.Le riserve devono essere iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a ricevere, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’appaltatore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve devono essere iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono abbandonate».
8.5. Successivamente le disposizioni in ordine alle riserve sono transitate negli articoli 189, 190,191 e 201 del d.P.R. 5/10/2010, n. 207.
Il d.lgs. n. 50 del 2016 ha previsto la definitiva abrogazione del regolamento n. 207 del 2010, contenente le norme sulle riserve.
L’abrogazione delle predette norme, tuttavia, era subordinata all’approvazione di apposite linee guida adottate con decreto del ministero delle infrastrutture dei trasporti.
È stato adottato, quindi, con D.M. 7/3/2018 n. 49, il regolamento che ha abrogato definitivamente la disciplina in materia di riserve contenuta nel d.P.R. n. 207 del 2010.
Pertanto, a partire dall’ 1/6/2018, data di entrata in vigore del D.M. n. 49 2018, l’operatività del regime delle riserve è condizionata dalla sussistenza di apposite previsioni di cui la stazione appaltante dovranno munirsi dei rispettivi capitolati negoziali.
Il d.lgs. 31/3/2023, n. 36, ha previsto, all’allegato II.14, art. 7, l’istituto delle riserve, richiamando l’originaria normativa per cui «le riserve sono iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a ricevere, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche nei registri di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole, nonché all’atto della sottoscrizione del certificato di collaudo mediante precisa esplicitazione delle contestazioni circa le relative operazioni. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono rinunciate. Le riserve devono essere formulate in modo specifico e indicare, con precisione le ragioni sulle quali si fondano».
Con riguardo alla funzione svolta dalle riserve, si ritiene, in dottrina, che essa sia quella di fornire all’amministrazione la
possibilità di effettuare, con immediatezza i necessari controlli circa la fondatezza della pretesa al fine di assumere tempestivamente gli adempimenti del caso, ivi compresa la risoluzione del contratto (Cass., 12/6/2008, n. 15693, con riferimento al regio decreto n. 350 del 1895; Cass., 21/12/2007, n. 27086).
Per altra parte della dottrina si reputa, invece, che la ratio vada rinvenuta nell’esigenza di garantire certezza giuridica alla contabilità dei lavori e ciò nell’interesse pubblico alla regolare conduzione dell’appalto nonché a tutela della reciproca buona fede delle parti.
Si reputa anche che la ratio dell’istituto sia quella di consentire agli organi dell’amministrazione una continua verifica sull’andamento dei costi dell’opera pubblica (Cass., 8/9/2004, n. 18070, per cui trattasi non solo di un dovere di lealtà contrattuale e dell’esigenza di tempestivi controlli, ma anche per consentire all’amministrazione la tempestiva verifica delle contestazioni, attesa la necessità della continua evidenza della spesa dell’opera in funzione della corretta utilizzazione e della eventuale integrazione dei mezzi finanziari per essa predisposti).
Le tre finalità vengono compendiate da questa Corte nella pronuncia 17/9/2008, n. 23783: consentire all’amministrazione la verificazione dei fatti suscettibili di produrre un incremento delle spese con immediatezza; assicurare la continua evidenza delle spese dell’opera; mettere l’amministrazione tempestivamente in grado di adottare altre possibili determinazioni, in armonia con il bilancio pubblico, fino a esercitare la potestà di risoluzione unilaterale (anche Cass., 4/10/2016, n. 19802).
Va dunque confermato l’orientamento giurisprudenziale per cui in materia di appalti pubblici, ai sensi degli artt. 164 e ss. del d.P.R. n. 554 del 1999 l’appaltatore, il quale pretenda un maggior compenso o rimborso rispetto al prezzo contrattualmente pattuito, a
causa di pregiudizi o maggiori esborsi sopportati per l’esecuzione dei lavori, ha l’onere d’iscrivere apposite riserve nella contabilità entro il momento della prima annotazione successiva all’insorgenza della situazione integrante la fonte delle vantate ragioni (e ciò anche con riferimento a quelle situazioni di non immediata portata onerosa, la cui potenzialità dannosa si presenti, fin dall’inizio, obbiettivamente apprezzabile secondo criteri di media diligenza e di buona fede), nonché di esplicarle nel termine di quindici giorni e poi di confermarle nel conto finale, dovendosi altrimenti intendere definitivamente accertate le risultanze della contabilità; ciò per ragioni di tutela della P.A. committente, che, nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali, deve essere messa in grado di provvedere immediatamente ad ogni necessaria verifica, al fine di poter valutare, in ogni momento, l’opportunità del mantenimento in vita o del recesso dal rapporto di appalto in relazione al perseguimento dei propri fini d’interesse pubblico (Cass., sez. 1, 9 maggio 2018, n. 11188; Cass., sez. 1, 27 giugno 2017, n. 15937; Cass., sez. 1, 4 ottobre 2016, n. 19802; Cass., sez. 1, 4 aprile 2019, n. 9518; Cass., sez. 1, 5 agosto 2020, n. 16700; per Cass., sez. 1, 21 novembre 2018, n. 30102).
Quanto alle modalità di formulazione delle domande, esse vanno inserite nel primo atto idoneo a riceverle immediatamente successivo al fatto pregiudizievole da cui le stesse traggono origine; successivamente le domande vanno formulate sul registro di contabilità, con conferma sul conto finale.
Tra gli atti idonei a ricevere le domande, sulla base del principio di buona fede di affidamento dell’appaltatore, vanno indicati, per la dottrina, i seguenti atti: verbale di consegna dei lavori; libretti delle misure, liste settimanali, conto finale; verbale di sospensione e verbale di ripresa dei lavori; ordini di servizio; verbale di ultimazione dei lavori.
In ordine alla tempestività dell’iscrizione della riserva si distinguono fatti ad effetti istantanei, che sono quelli che producono istantaneamente pregiudizio, come per esempio l’ordine di servizio che impone una lavorazione extracontrattuale, e fatti ad effetti continuativi, che sono quelli in cui il pregiudizio non si esaurisce in un solo momento, ma si prolunga per un certo lasso di tempo più o meno lungo, come per esempio un anomalo andamento che si protrae per tutto il corso dell’appalto.
Si ritiene che, con riguardo ai fatti ad effetti continuativi, la riserva è prescritta contestualmente o immediatamente dopo l’insorgenza del fatto lesivo anche in presenza di un fatto continuativo, allorché lo stesso sia percepibile con i criteri di normale diligenza, mentre solo la specifica quantificazione può operarsi successivamente, anche al cessare del fatto pregiudizievole (Cass., 21/7/2016, n. 15029).
Con la precisazione per cui in tema di appalto pubblico, le riserve dell’appaltatore derivanti da fatti dannosi continuativi devono essere iscritte nella contabilità, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.m. n. 145 del 2000 (applicabile ratione temporis ), contestualmente o immediatamente dopo l’insorgenza dell’evento lesivo, percepibile con la normale diligenza, mentre il quantum può essere indicato successivamente – nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto tardiva la riserva per l’aumento di volume del materiale di risulta, iscritta nel registro di contabilità anziché nel verbale di consegna dei lavori, attesa la immediata percepibilità del lamentato evento lesivo, essendo evidente che la frantumazione mediante esplosivo avrebbe determinato la formazione di spazi vuoti tra le parti frantumate – (Cass., 24/5/2024, n. 14522).
Tra l’altro, spetta all’impresa appaltatrice l’onere di dimostrare la tempestività delle riserve (Cass., sez. 1, 20/9/2022, n. 27451).
14. Nella specie, la Corte d’appello, non solo si è conformata perfettamente ai principi di diritto sopra enunciati in tema di riserve costituite da fatti «continuativi», dando rilevanza alla potenzialità dannosa degli stessi, ma, con pieno giudizio meritale, ha reputato che la sussistenza dei sottoservizi enel e Telecom e la relativa interferenza con le opere di scavo era perfettamente conoscibile da parte della società appaltatrice già al momento della consegna dei lavori, e quindi in data 12/10/2001, o comunque al momento della sottoscrizione del primo SAL del 3/10/2003.
14.1. Ed infatti, con riguardo alle riserve di natura continuativa, la Corte d’appello ha osservato che l’appaltatore ha l’onere di inserire nella contabilità forma di riserve entro il momento della prima iscrizione successiva all’insorgenza della situazione integrante la fonte delle vantate ragioni, e ciò anche con riferimento «a quelle situazioni di non immediata portata onerosa, la potenzialità dannosa delle quali si presenti peraltro, già dall’inizio, obbiettivamente apprezzabile secondo i criteri di media diligenza e di buona fede.
Ha ritenuto la Corte di merito che «essendo oggetto dell’appalto anche lavorazioni consistenti in attività di scavo, la presenza di sottoservizi, imponendo la stessa un’interfaccia con gli enti competenti e uno scavo a sezione obbligata secondo un criterio di ordinaria diligenza e di buona fede, a una immediata intrinseca potenzialità dannosa che avrebbe dovuto essere segnalata la stazione appaltante fine dal verbale di consegna dei lavori o quanto meno fine dalla data di sottoscrizione del primo SAL».
Anche con riguardo «ai fatti produttivi di danno continuativo» per la Corte di merito «la riserva prescritta contestualmente o immediatamente dopo l’insorgenza del fatto lesivo, percepibile con
la normale diligenza, mentre il quantum può essere successivamente indicato».
14.2. Quanto al giudizio pienamente meritale, in ordine alla tempestività delle riserve di cui ai numeri 1, 5 e 6, la Corte d’appello ha posto in rilievo numerosi elementi di fatto: le previsioni contrattuali di cui all’art. 16, punti 24 e 25, già valorizzate dal giudice di prime cure; la perfetta visibilità delle opere, sia con riguardo ai pali Telecom («alcune delle interferenze erano costituite da linee aeree»), sia con riguardo ai cavi interrati («mentre per quanto riguarda le linee interrate, nell’area in cui è stato realizzato il cavalcavia di Masullas erano perfettamente visibili sul piano viabile le tracce dei ripristini conseguenti alla loro interramento – vedasi foto scattate il giorno della consegna dei lavori – »); la conoscenza della problematica derivante dal sopralluogo effettuato dalla società appaltatrice («l’appaltatrice ha attestato di essersi recata sul posto ove debbono eseguirsi i lavori, di aver preso conoscenza di tutte le circostanze generali e particolari suscettibili di influire sulla determinazione dei prezzi»); la conoscenza della questione anche in relazione alle note inviate dalla società appaltatrice all’Enel ed alla Telecom il 28/5/2003 quindi prima della sottoscrizione del primo SAL delle 3/10/2003; la nota della direzione dei lavori n. 5203 del 26/3/2004.
Quanto al giudizio, anch’esso pienamente meritale, in ordine alla non fondatezza delle riserve, la Corte d’appello ha messo in evidenza «l’inerzia dell’impresa attrice in relazione alla risoluzione dei problemi inerenti la presenza dei sottoservizi».
15.1. Tra l’altro, la Corte d’appello ha rilevato che in data 15/3/2004 l’impresa aveva avviato il primo tratto degli scavi di sbancamento, in prossimità del cavo elettrico, senza alcuna contestazione con quanto affermato dal direttore dei lavori nella nota
n. 5203 del 26/3/2004, relativa alla circostanza per cui «nessun fatto nuovo o nessun provvedimento fosse stato adottato per rimuovere le pretese cause ostative all’esecuzione degli scavi occorrenti per la successiva realizzazione del cavidotto».
La Corte di merito ha dunque sottolineato l’inerzia dell’impresa «che dal mese di settembre 2003 al mese di marzo 2004 non risulta essersi in alcun modo attivata per risolvere le problematiche connesse alla sussistenza delle interferenze inerenti alle linee elettriche».
Anche perché, successivamente i lavori sono stati espletati «in un brevissimo tempo», senza l’intervento di fatti nuovi e senza che si sia reso necessario adottare alcuno specifico provvedimento.
Anzi, la Provincia, proprio al fine di accelerare i tempi di esecuzione, anche se tali lavori dovevano essere eseguiti dall’Enel, ha deciso di farsi carico della posa del cavidotto.
Non può dunque in alcun modo reputarsi che la Corte d’appello non abbia preso in considerazione il fatto decisivo, che sarebbe stato costituito dalla nota dell’impresa del 15/3/2004, che ineriva proprio alle linee elettriche ed alla comunicazione con cui la società ha «fatto presente ad Enel ed alla stessa provincia che l’impossibilità di procedere con lo sbancamento – finalizzato allo spostamento dei sottoservizi – fosse da attribuire alla pretesa del gestore di non disattivare la linea interessata dai lavori», con richiesta all’Enel di «disattivare l’erogazione dell’energia elettrica per la durata dei lavori».
La chiara enunciazione della sussistenza dell’inerzia in capo alla società appaltatrice emerge in modo nitido dalla sentenza della Corte d’appello, che riporta anche gli ordini di servizio del direttore dei lavori con accertamento della «inattività del cantiere e l’insufficienza del personale dei mezzi impiegati nell’esecuzione
dei lavori» (cfr. pagina 17 della motivazione della sentenza della Corte d’appello).
La Corte di merito, proprio in ragione della responsabilità della società appaltatrice nella mancata tempestiva rimozione delle opere relative sottoservizi Enel e Telecom, ha ritenuto anche non sussistenti le ragioni per la sospensione dei lavori (cfr. pagina 13 della motivazione «l’esistenza dei sottoservizi era già conosciuta alla data della stipulazione del contratto e comunque alla data della consegna dei lavori e pertanto non poteva configurarsi quale evento imprevisto ed imprevedibile legittimante la sospensione, peraltro mai richiesta dall’impresa prima del 2º SAL»).
Con riferimento, poi, alle riserve numeri 8,10,12 e 12/A, tutte relative alla indebita applicazione della penale da ritardo (431 giorni), la Corte d’appello ha rilevato, con valutazione di pieno merito, che mentre la prima variante del 22/11/2002, non aveva previsto variazioni temporali, la seconda variante del 31/5/2004, aveva previsto lo spostamento del termine ultimo dei lavori al 37 2004, con consegna prevista per il 4/10/2005, e con sottoscrizione da parte dell’impresa appaltatrice dell’atto di sottomissione del 15/6 mila 4, senza che fosse stata formulata riguardo alcuna riserva.
Il ritardo viene giustificato dall’impresa appaltatrice proprio per la presenza dei sottoservizi, che, però, come già esaminato, erano ben presenti e visibili già al momento della consegna dei lavori del 12/10/2001, non avendo contribuito in alcun modo, dunque, alla protrazione dei lavori oltre il termine finale concordato.
La nota dell’impresa del 9/7/2004, con cui si chiedeva una ulteriore proroga dei termini di considerare lavori, era sprovvista di programma esecutivo.
L’ulteriore nota della provincia del 28/7/2004 non otteneva alcuna risposta.
Tra l’altro, deve evidenziarsi che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez.U., 30/9/2020, n. 20867).
Quanto alla mancata ammissione della CTU, la Corte d’appello ha chiarito che la società appaltatrice non aveva in alcun modo ottemperato all’onere della prova su di essa gravante, sicché una eventuale CTU avrebbe avuto natura meramente esplorativa e la richiesta non poteva essere accolto.
La Corte di merito, infatti, ha affermato, senza alcuna contestazione specifica riguardo, che «l’impresa non ha depositato gli elaborati progettuali né un programma dei lavori di sbancamento nonostante le richieste del direttore dei lavori».
19.1. In relazione alla inammissibilità di una CTU meramente esplorativa, che vada a sgravare la parte onerata dall’obbligo di allegazione prova dei fatti dimostrativi del proprio diritto, sussiste un orientamento giurisprudenziale di legittimità del tutto consolidato (Cass., sez. 6-1, 15/12/2017, n. 30218, per cui tale mezzo di
indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, non potendo supplire alla deficienza delle allegazioni o offerte di prova; Cass., sez. 1, 15/9/2017, n. 21487).
Al limite costituito dal divieto per il consulente tecnico d’ufficio di compiere indagini esplorative è consentito derogare quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo, in questo caso, consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza (Cass., sez. 1, 11/1/2017, n. 512).
Si è affermato infatti che la c.t.u. costituisce un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnicoscientifiche, e non un mezzo di soccorso volto a sopperire all’inerzia delle parti; essa, tuttavia può eccezionalmente costituire fonte oggettiva di prova, per accertare quei fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di un perito. Ne consegue che, qualora la c.t.u. sia richiesta per acquisire documentazione che la parte avrebbe potuto produrre, l’ammissione da parte del giudice comporterebbe lo snaturamento della funzione assegnata dal codice a tale istituto e la violazione del giusto processo, presidiato dall’art. 111 Cost., sotto il profilo della posizione paritaria delle parti e della ragionevole durata (Cass., sez. 1, 15/9/2017, n. 21487; Cass., sez. 1, 10/9/2013, n. 20695; Cass., sez. 3, 19/4/2011, n. 8989).
Il quarto motivo è del pari infondato.
Si fa riferimento alla riserva n. 7 relativa all’erronea contabilizzazione per la presenza dei sottoservizi, del quantitativo
dello scavo a sezione obbligatoria, che avrebbe comportato uno scavo di metri cubi 4967,92, a fronte di metri cubi 1523,32 previsti dalla direzione lavori.
Anche in questo caso, la Corte d’appello, con giudizio di pieno merito (anche con doppia decisione conforme nel merito) ha ritenuto la intempestività della riserva, iscritta al momento della sottoscrizione del 2º SAL, mentre doveva essere iscritta già alla sottoscrizione del primo SAL.
Si trattava, infatti, sempre della questione dei sottoservizi, pienamente conoscibili e conosciuti dalla società appaltatrice già al momento della consegna dei lavori in data 12/10/2000.
Quanto alla non fondatezza, anche in questo caso la Corte d’appello, con pieno giudizio di merito, ha evidenziato che, come correttamente rilevato dal primo giudice, lo «sbancamento avvenne in presenza dei cavi per cui la decisione dell’appaltatrice di realizzare il cavalcavia prima degli sbancamenti era corrisposta con sua scelta operativa, non è ritenuta necessaria dalla committente, la quale pertanto non poteva essere chiamata a sopportare i relativi oneri».
Pertanto, quanto alla tempestività, «il fatto che la lavorazione sia stata eseguita prima della sottoscrizione del primo SAL imponeva l’iscrizione della riserva in tale atto»; quanto al merito, mancava «ogni allegazione delle ragioni per le quali la realizzazione del cavalcavia prima degli sbancamenti costituisse una scelta tecnicamente obbligata ».
La richiesta di CTU «ancora una volta si configurerebbe avere natura meramente esplorativa», in assenza in atti degli elaborati progettuali «sui quali l’accertamento peritale avrebbe dovuto svolgersi», senza considerare che con riferimento alla riserva n. 7 lo stesso appellante «aveva dedotto CTU volta soltanto ad accertare
l’effettiva quantità di scavo a sezione obbligata realizzato rispetto a quella prevista progetto».
21. Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.
Infatti, la stessa ricorrente incidentale ha premesso che la Corte d’appello si è limitata a reputare «assorbito l’appello incidentale condizionato proposto dalla provincia di Oristano», dopo aver respinto l’impugnazione principale proposta dalla NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE. Ha anche evidenziato che ciò «esime avrebbe la provincia – siccome parte totalmente vittoriosa – dal proporre ricorso incidentale in relazione agli altri profili della controversia non esaminati dalla Corte territoriale».
Effettivamente, per questa Corte il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza, cosicché è inammissibile il ricorso proposto dalla parte che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, proposto al solo scopo di risollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito perché assorbite dall’accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare, salva la facoltà di riproporle dinanzi al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza (Cass., sez. 5, 25/10/2023, n. 29662; Cass., sez. L, 29/8/2003, n. 12680).
22. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in
complessivi euro 10.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025