Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27687 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data RAGIONE_SOCIALEzione: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° NUMERO_DOCUMENTO del ruolo generale dell’anno 2019
, proposto da
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Giugliano in Campania INDIRIZZO) alla INDIRIZZO, P. IVA P_IVA, in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME, rapp.ta e difesa g.m. a m. del ricorso dall’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE) e con lo stesso elett.te dom.ta in Roma alla INDIRIZZO presso l’AVV_NOTAIO COGNOME, fax NUMERO_TELEFONO, pec EMAIL.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE –P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, Presidente del C.d.a., AVV_NOTAIO, autorizzato con delibera del C.d.a. n.5 del 25/2/2019, con sede in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, rappresentata, assistita e difesa dall’AVV_NOTAIO (c.f. CODICE_FISCALE), con studio in RAGIONE_SOCIALE alla INDIRIZZO, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notificazioni inerenti il presente
giudizio ai sensi dell’art. 366 c.p.c. al seguente recapito di pec: EMAIL, comunque indicando all’uopo i seguenti ulteriori recapiti tele fax NUMERO_TELEFONO – e-mail: EMAIL, come da procura speciale in calce al controricorso.
Controricorrente
avverso la sentenza non definitiva della Corte d’appello di Firenze n° 1361 depositata il 15 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1 .-Il tribunale di RAGIONE_SOCIALE, su domanda dell’appaltatore RAGIONE_SOCIALE, condannava la RAGIONE_SOCIALE a pagare complessivi euro 129.614,33, di cui euro 120.951,39 per opere eseguite e non pagate ed euro 8.262,94 per oneri di sicurezza del cantiere, tutti relativi alla costruzione di un fabbricato nel Comune di RAGIONE_SOCIALE, località San Filippo, composto da trentatré alloggi di edilizia RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, cinque fondi commerciali, sistemazioni esterne ed opere di urbanizzazione dell’area.
Avverso tale decisione proponevano due distinti appelli RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e la Corte d’appello di Firenze, riunite le impugnazioni, le decideva con la sentenza non definitiva indicata in intestazione.
La Corte accoglieva, in particolare, il secondo motivo di gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE , col quale l’appellante lamentava l’omesso esame della riconvenzionale proposta contro RAGIONE_SOCIALE.
Ritenuto fondato il mezzo, dichiarava legittima la delibera di ERP del 31 maggio 2007, con la quale era stato risolto l’appalto per inadempimento dell’appaltatore, e rimetteva, quindi, la causa sul ruolo onde rinnovare la c.t.u. ed accertare il giusto compenso spettante ad COGNOME per i lavori eseguiti sino alla risoluzione, al netto degli acconti ricevuti, nonché l’entità del pregiudizio che RAGIONE_SOCIALE
aveva subito in conseguenza dell’inadempimento contrattuale della controparte.
2 .- Per quello che qui ancora interessa, la Corte osservava che le riserve n° 1, 2 e 3 -con le quali NOME aveva preteso il pagamento di maggiori oneri (riserve n° 1 e 3) ed il ristoro del mancato guadagno (riserva n° 2) a causa della sospensione dei lavori disposta dal 21 luglio 2004 al 22 maggio 2006 -erano state espresse solo nel verbale di ripresa dei lavori del 22 maggio 2006 ed erano, pertanto, improcedibili, non essendo state precedute dalla diffida ex art. 24 d.m. n° 145/2000, prevista per il caso di inerzia del committente pur in presenza di cessazione della causa di sospensione.
Medesima sorte dovevano avere le riserve n° 4 e 5, riguardanti i maggiori oneri ed il mancato guadagno per la sospensione disposta nel periodo 19 ottobre -16 novembre 2006.
La riserva n° 6 (con la quali l’impresa contestava la legittimità della sospensione dal 16 novembre 2006 al 22 gennaio 2007, disposta a seguito di un ordine del direttore dei lavori ), la n° 7 (con la quale COGNOME contestava l’ulteriore sospensione per la constatata impossibilità di proseguire i lavori a causa della pericolosità delle pareti dello scavo) e la n° 8 (con cui COGNOME richiedeva il ristoro di maggiori oneri a seguito della risoluzione contrattuale) erano del pari inammissibili, in quanto formulate addirittura dopo la risoluzione del rapporto.
Quanto alla domanda riconvenzionale proposta da RAGIONE_SOCIALE, di accertamento della legittimità della delibera con cui aveva disposto risoluzione del contratto, la Corte osservava che l’appaltatore, dopo la prima prolungata sospensione dei lavori terminata nel maggio del 2006, nel corso di tutta l’estate di quell’anno non era stato in grado neppure di ultimare lo scavo delle fondazioni ed aveva ripetutamente omesso di ottemperare agli ordini di servizio n° 4, 5,
6, 10 ed 11, così lasciando nello scavo una massa di acqua stagnante, nociva per la salute RAGIONE_SOCIALE, ed omettendo di sistemarne le pericolose pareti a strapiombo.
Dopo il 15 maggio i rapporti tra committenza ed appaltatore si erano irrimediabilmente compromessi, tanto che alla fine venne redatto un verbale di consistenza delle opere eseguite, senza la presenza dell’impresa, che aveva dichiarato di non poter presenziare: donde la fondatezza della risoluzione contrattuale ‘ pronunciata unilateralmente da RAGIONE_SOCIALE ‘.
Rimetteva, quindi, la causa sul ruolo per accertare il giusto compenso spettante ad COGNOME per i lavori eseguiti sino alla risoluzione in danno, al netto degli acconti ricevuti, nonché l’entità dei danni che RAGIONE_SOCIALE ha subito in conseguenza dell’inadempimento contrattuale grave di controparte, previa nomina di un nuovo c.t.u.
3 .- Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidando il gravame a tre mezzi.
Resiste RAGIONE_SOCIALE , che conclude per la reiezione dell’impugnazione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Non sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 .- Col primo motivo la ricorrente deduce la ‘ violazione e falsa applicazione art. 24 del d.m. n° 145/2000 ‘.
La Corte territoriale avrebbe ritenuto tardive le riserve n° 1, 2 e 3, concernenti la sospensione dei lavori dal 22 luglio 2004 al 22 maggio 2006, in quanto non precedute dalla diffida prevista dall’art. 24 citato.
In realtà, tale sospensione sarebbe stata disposta a causa di un errore progettuale della stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in quanto le distanze reali tra gli edifici progettati e le proprietà confinanti risultavano inferiori a quelle indicate negli elaborati progettuali,
donde la necessità di una variazione del progetto e della presentazione al Comune di RAGIONE_SOCIALE di una D.I.A. (n. 635/05), in variante all’originaria Concessione RAGIONE_SOCIALE n. 937/03.
La ragione della sospensione non sarebbe, dunque, riconducibile al disposto dell’art. 24 e, trattandosi, dunque, di sospensione illegittima, ex art. 25 del d.m. n° 145/2000, non necessiterebbe della preliminare diffida prevista dall’art. 24.
A medesima conclusione dovrebbe giungersi riguardo alle riserve n° 4 e 5.
Col secondo mezzo COGNOME deduce la ‘ violazione art. 31 d.m. 145/00 e 165 d.P.R. 554/99 ‘.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto tardive le riserve n° 6, 7 ed 8, concernenti la sospensione dei lavori dal 16 novembre 2006 al 22 gennaio 2007, poiché iscritte il 19 novembre 2008 e, dunque, non nella vigenza del contratto d’appalto, senza considerare che dopo il 22 dicembre 2006 all’impresa non fu più sottoposto il registro di contabilità, né un verbale di ripresa dei lavori, sicché essa le formulò dapprima nella nota 28 settembre 2007 e poi le ripropose nel registro di contabilità in occasione dello stato finale dei lavori.
Col terzo motivo la ricorrente si lamenta della ‘ illegittimità della risoluzione unilaterale del contratto d’appalto ‘.
La Corte avrebbe erroneamente ritenuto legittima la risoluzione dell’appalto in ragione della mancata ultimazione dello scavo delle fondazioni, nonché degli inadempimenti agli ordini di servizio concernenti la realizzazione del fronte dello sterro con una pendenza eccessiva ed il mancato impianto di otto pozzi drenanti per lo svuotamento dell’acqua dal cantiere.
In realtà, tali conclusioni sarebbero in stridente contrasto con la documentazione di causa, essendo, per contro, palese che la mancata prosecuzione dei lavori sarebbe stata provocata dai gravi rischi per la sicurezza scaturiti dalla perdita della fogna comunale e
dalla presenza di acqua sul fondo dello scavo, che ne pregiudicava la staticità.
La ricorrente avrebbe reiteratamente segnalato che l’unica soluzione tecnica praticabile era una palificazione, tuttavia mai approvata dal D.L., ma poi, invero, realizzata affidando l’intervento ad altra impresa.
5 .- Tutti i motivi di ricorso -esaminabili congiuntamente, in ragione della loro comune caratteristica di tendere al riesame del merito della lite -sono inammissibili.
Come si desume dal loro riassunto esposto al precedente paragrafo, la ricorrente -pur formalmente enunciando una violazione degli artt. 24 e 31 del d.m. n° 145/2000 e 165 del d.P.R. n° 163/2006 -in realtà pretende che questa Corte accerti la sussistenza di un errore progettuale della RAGIONE_SOCIALE appaltante (primo mezzo), la tempestività dell’esplicazione delle riserve n° 6 -8 nello Stato finale dei lavori (secondo motivo) e la presenza di circostanze esterne per la cui eliminazione sarebbe stato disatteso il suggerimento di COGNOME di procedere ad una palificazione, poi in realtà realizzata dall’impresa subentrante (terza doglianza).
È, invece, palese che i motivi, per come sono enunciati, non si prestano ad essere sussunti nel disposto dell’art. 360 n° 3 cod. proc. civ., in quanto la violazione di legge è prospettata su una diversa interpretazione o ricostruzione dei fatti di causa e, dunque, sul merito della vicenda, nel quale questa Corte non può entrare.
Va qui ribadito che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.).
Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero, erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( ex multis : Cass., sez. 2, 12 ottobre 2017, n° 24054).
I motivi sopra riassunti non sono riconducibili nemmeno al disposto dell’art. 360 n° 5, dato che (anche a prescindere dalla constatazione che la ricorrente non ha minimamente accennato a tale motivo di ricorso) è pure evidente che tutte le circostanze fattuali indicate nei mezzi sono state tenute perfettamente presenti dal giudice di secondo grado, che le ha valutate in modo diverso da RAGIONE_SOCIALE, ma sempre seguendo un percorso motivazionale pertinente e del tutto privo di contraddizioni o vizi logici, donde l’impossibilità di qualificare i motivi anche sub art. 360 n° 4 cod. proc. civ.
6 .- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ed alla soccombenza della ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese del presente grado, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore della lite (euro 686,8 mila ) -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater, del decreto del presidente della
reRAGIONE_SOCIALE 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese del presente grado, che liquida in euro 9.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta.
Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del presidente della reRAGIONE_SOCIALE 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2024, nella camera di