Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23534 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23534 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 31823/2019
promosso da
Comune di RAGIONE_SOCIALE Imperiale , in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) , in persona del legale rappresentante pro tempore , nonché COGNOME NOME , COGNOME NOME , COGNOME NOME e COGNOME NOME , in qualità di eredi dell’RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, titolare dell’omonima impresa individuale, mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE;
intimati avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 895/2019 depositata il 29/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Imperiale conveniva in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché ciascuna delle imprese associate, deducendo che: con contratto del 30/09/1992 aveva affidato alla predetta ATI la realizzazione di un’area attrezzata per il tempo libero e lo sport, nonché i lavori per la ristrutturazione del Monastero (da adibire a centro museale·espositivo); con delibera del 12 aprile 1994 era stata nominata la Commissione per l’emanazione dell’Atto unico di Collaudo, al quale l’ATI aveva allegato riserve; dall’Atto Unico di Collaudo si desumeva l’incompletezza dei lavori eseguiti dall’ATI; erano stati ritenuti non idonei al collaudo, infatti, il campo polivalente di hockey e la pista di pattinaggio con annessi impianto elettrico, fognatura e parte della sottostante recinzione, tutte opere che richiedevano ulteriori specifici interventi; v’era stata poi la delibera dell’08/10/2002 per l’approvazione delle risultanze dell’Atto di Collaudo. Il cantiere, però, era rimasto in stato di completo abbandono e l’impresa non aveva provveduto ai lavori tuttora dovuti in base alle prescrizioni della Commissione.
Il Comune lamentava in particolare che l’RAGIONE_SOCIALE aveva consegnato parzialmente i lavori l’11/05/1998, con ben 238 giorni di ritardo rispetto al termine contrattualmente fissato al 15 settembre 1997, nonostante essa avesse ottenuto numerose proroghe fino alla data del 15/09/1997, e che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva tenuto una condotta negligente, come emergeva dal collaudo (si era spinta a lasciare il cantiere in uno stato di totale abbandono), con la conseguenza che gravavano su di essa tutti i lavori necessari per il ripristino delle opere, fino alla completa realizzazione di quanto previsto in contratto,
e la stessa doveva ritenersi responsabile per tutte le imperfezioni riscontrate durante i lavori.
Il Comune chiedeva, pertanto, la condanna delle convenute alla coattiva esecuzione dei lavori di realizzazione di un’area attrezzata per il tempo libero e lo sport in territorio di RAGIONE_SOCIALE Imperiale, con il risarcimento di tutti i danni derivati all’Amministrazione per le inadempienze e i ritardi, nella misura da valutarsi con idonea CTU.
RAGIONE_SOCIALE, nel costituirsi, eccepiva in primo luogo il difetto di giurisdizione e la propria carenza di legittimazione, non essendo la mandataria dell’ATI, oltre alla prescrizione e alla decadenza dall’azione ai sensi degli artt. 1667 e 1669 c.c. Nel merito respingeva gli addebiti, rilevando di essersi occupata solo dei lavori del Monastero, in quanto si trattava di associazione temporanea di tipo “verticale”, con specifica ripartizione dei lavori oggetto di appalto.
Nel corso del giudizio interveniva la morte dell’RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, cui seguiva la riassunzione del processo e la costituzione degli eredi di quest’ultimo, che aggiungevano alle difese del loro dante causa la precisazione che, nella stagione invernale successiva all’ultimazione dei lavori, si era verificato un vasto movimento franoso, che escludeva qualsiasi responsabilità ed obbligo dell’appaltatore.
Dopo l’istruzione orale e documentale, la causa veniva decisa dal Tribunale di Castrovillari con pronuncia di rigetto della domanda e condanna dell’attore alle spese.
Il Comune proponeva appello contro tale decisione, lamentando un’errata lettura delle risultanze di causa.
In particolare, con un primo motivo, deduceva che l’evento franoso era sopraggiunto a notevole distanza di tempo dal previsto termine di completamento delle opere, sicché, essendo l’appaltatore già in mora, il fatto non poteva essere considerato un’esimente; che dagli atti della Commissione
risultava che le opere erano incomplete, con riferimento al campo da hockey e da pattinaggio, con gli annessi servizi e recinzione; che il cantiere era in stato di abbandono, il che aggravava l’inadempimento dell’impresa, venuta meno alla sua obbligazione di risultato. Con un secondo motivo, l’appellante ribadiva la domanda di pagamento, quale equivalente dei lavori non fatti, delle somme necessarie al loro completamento, dovendosi ritenere insufficienti quelle già trattenute dalla committente.
Si costituivano in giudizio soltanto COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che contrastavano gli argomenti e le richieste formulati dall’appellante.
La Corte d’appello respingeva l’impugnazione, condannando il Comune al pagamento delle spese di lite.
Il Giudice del gravame evidenziava che dalla documentazione versata in atti, ancor prima che dalla prova per testi, emergeva in maniera chiara che gli inadempimenti contestati alle appellate erano del tutto insussistenti, o che comunque le domande formulate non trovavano alcun supporto negli atti, che descrivevano una fattispecie abbastanza differente da quella prospettata.
Con riferimento al primo motivo di appello, evidenziava che il 24/07/ 1998 il Comune di RAGIONE_SOCIALE Imperiale e l’ATI appaltatrice, con la presenza del Direttore dei Lavori, avevano sottoscritto un verbale, nel quale, premesso che a quella data i lavori erano quasi ultimati e che risultavano invece completamente ultimate le opere relative al “complesso denominato Monastero e ai campi di gioco … (calcetto, tennis e plurimo)”, avevano concordato, in attesa del completamento e del collaudo, l’anticipata e provvisoria consegna delle opere al Comune di RAGIONE_SOCIALE Imperiale, per le attività estive già programmate, dal 25 luglio al 30 settembre 1998. Nello stato di consistenza ivi allegato, si dava atto che nell’area attrezzata di cui si faceva consegna, ai campi sportivi consegnati mancavano le “reti” (quelle delle porte di calcetto,
la rete del tennis e della pallavolo, i retini del canestro), mentre i lavori erano “completi per il resto”. Il 28 luglio 1998 era stato redatto sia lo Stato finale dei Lavori, che il certificato di ultimazione lavori, ove si precisava che i lavori oggetto del contratto principale erano da ritenersi completati in data 11 maggio 1998, mentre i lavori aggiuntivi richiesti dall’Amministrazione erano stati completati “interamente” entro il 28 luglio 1998; poiché tuttavia solo per i primi risultava prevista la penale, si valutava alla data dell’11 maggio 1998 il ritardo nell’ordine di 238 giorni, con la penale·defalcata dal saldo nello stato finale dei lavori. A tali atti, che consacravano il completamento delle opere e la buona esecuzione delle stesse, non risultava seguito il collaudo nel termine dovuto, effettuato solo nel 2001.
La Corte di merito aggiungeva che nell’Atto unico di Collaudo del marzo o maggio 2001 (la data era illeggibile) si dava conto dell’avvio, nella stagione invernale 1999/2000, di un vasto movimento franoso che aveva interessato la parte inferiore dell’area attrezzata, nella zona in cui era sito il campo di hockey, pattinaggio, muro di valle, che aveva provocato la rovina di parte della recinzione e della vicina sistemazione dell’area, di parte del campo di hockey e dell’annessa pista di pattinaggio e aveva danneggiato gli annessi impianti di raccolta e smaltimento delle acque, oltre che quelli di illuminazione del campo. Lesioni e fratture si erano verificate anche nel muro con le gradinate a monte del Campo e nelle strade e nei piazzaletti vicini.
Secondo la Corte d’appello, il fatto che i collaudatori avessero osservato de visu il fenomeno franoso non comportava, com’è ovvio, che essi potessero rendere collaudabili le opere che non avevano rinvenuto come idonee, ma questo non significava che tale condizione dovesse essere necessariamente ricondotta all’appaltatore, tenuto conto che, in quella sede, la D.L., anche con riguardo alle opere non più ispezionabili, aveva dichiarato che tutti i lavori erano stati eseguiti a perfetta regola d’arte e, nella precedente
visita di collaudo del 12 aprile 2000, la stessa Commissione aveva giudicato “ottima” la fattura delle opere relative al Monastero, mentre l’Amministrazione comunale, presente, aveva assicurato all’impresa ogni collaborazione ed assistenza per la esecuzione dei lavori di riparazione dei danni cagionati dalla frana all’area attrezzata. Il movimento franoso, d’altronde, era stato ritenuto di tali proporzioni da non potersi assicurare la tranquilla utilizzabilità delle opere, ove pure riparate, se non all’interno di lavori di ben più imponente portata, utili a stabilizzare il versante.
La sequela dei suddetti atti, dei quali venivano riportate dalla Corte di merito solo le parti più significative, conduceva la stessa Corte a ritenere non imputabile all’appaltatore la condizione delle opere indotta dalla frana. Ciò, in primo luogo, con riferimento al dedotto ritardo nella consegna dei lavori, poiché considerando il disposto dell’art. 1221 c.c., era evidente che non sarebbe cambiata la sorte della res, ove l’ultimazione e la consegna fossero state fatte nei tempi contrattuali, ossia entro il settembre 1997.
Inoltre, con riferimento ai dedotti vizi, era certo che prima dell’evento franoso le opere erano state tutte eseguite a regola d’arte e che il Comune fosse in mora nella esecuzione del collaudo, che doveva compiere entro l’11 maggio 1999, dunque prima della frana. Infine, l’effettuazione del collaudo dopo l’evento franoso, secondo la Corte d’appello, escludeva la rilevanza dello stato di abbandono del cantiere, posto che in esso emergeva che quello stato non esisteva affatto per quel che concerneva il complesso denominato Monastero e che comunque, sia per questo che per l’area attrezzata, non aveva comportato danni o difetti alle opere, se non di estrema lievità, sì che dal punto di vista contabile erano stati detratti dall’importo dell’appalto solo i lavori rinvenuti non collaudabili per fatto non imputabile all’appaltatore.
Avverso tale sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo di ricorso.
Nessuno degli intimati si è difeso con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e unico motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., da leggersi in combinato disposto con gli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il ricorrente ha reiterato le proprie affermazioni in ordine al fatto che l’ATI aveva effettuato una consegna tardiva e parziale dell’opera, che l’evento franoso si era verificato quando l’ATI era già inadempiente, che il cantiere era in stato di completo abbandono a causa dell’inerzia e della superficialità dell’ATI, che l’appaltatore rispondeva della cattiva esecuzione delle opere, aggiungendo che doveva tenersi conto degli obblighi di buona fede delle imprese che, pertanto, erano tenute ad eseguire i lavori di completamento dell’opera o, in subordine, a risarcire i danni e che la Corte avrebbe dovuto disporre CTU per quantificare i danni subiti.
In particolare, il Comune ha affermato che l’ATI aveva operato in ritardo una consegna parziale dei lavori, come si evinceva dal certificato di collaudo, ove, con riferimento a quelli relativi alla realizzazione dell’area attrezzata per il tempo libero e lo sport in Agro di RAGIONE_SOCIALE Imperiale, non erano collaudabili il campo polivalente di Hockey e la pista di pattinaggio con annessi impianto elettrico, fognatura e parte della sottostante recinzione, aggiungendo che, come si evinceva dall’Atto unico di collaudo, il cantiere risultava in stato di completo abbandono, a causa dell’inerzia e della superficialità e le opere realizzate non potevano assolvere alle funzioni d’interesse pubblico cui erano state destinate.
Ad opinione del ricorrente, l’ATI non poteva invocare l’esimente relativa all’evento franoso che si era verificato prima del collaudo, poiché tale evento
si era verificato dopo il termine stabilito per la consegna delle opere appaltate, ovvero quando l’inadempimento contrattuale era già in essere.
Il motivo è infondato, ma la motivazione deve essere corretta nei termini di seguito evidenziati.
2.1. Occorre prima di tutto rilevare che la Corte d’appello ha accertato, in punto di fatto, che la consegna dei lavori è stata effettuata in via anticipata al 24/07/1998 e che tutti i lavori sono stati completati il 28/07/1998, quando è stato redatto lo stato finale dei lavori e il certificato di ultimazione degli stessi.
La stessa Corte ha accertato che il collaudo non è stato effettuato nei sei mesi successivi, come dovuto, addirittura nel 2001.
Infine, la medesima Corte ha tenuto conto che nell’Atto unico di collaudo è stato riportato che, nella stagione invernale 1999/2000, si era verificato un vasto movimento franoso, che aveva provocato la rovina di parte delle opere realizzate, relative all’area attrezzata, che pertanto non venivano collaudate.
2.2. La Corte d’appello ha ritenuto non imputabile all’RAGIONE_SOCIALE la condizione delle opere indotta dalla frana.
Il ricorrente ha censurato tale statuizione, affermando che, comunque, l’evento franoso si era verificato quando l’inadempimento contrattuale dell’ATI appaltatrice si era già verificato, non avendo essa consegnato l’opera nel termine previsto in contratto e dovendo, pertanto, rispondere dello stato delle cose, così come riscontrate all’esito del collaudo dopo la verificazione della frana.
2.3. Com’è noto, l’art. 1673 c.c. stabilisce che «Se, per causa non imputabile ad alcuna delle parti, l’opera perisce o è deteriorata prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora a verificarla, il perimento o il deterioramento è a carico dell’appaltatore, qualora questi abbia fornito la materia. Se la materia è stata fornita in tutto o in
parte dal committente, il perimento o il deterioramento dell’opera è a suo carico per quanto riguarda la materia da lui fornita, e per il resto è a carico dell’appaltatore».
La norma richiede, come presupposto, che il perimento o deterioramento della cosa non sia imputabile ad alcuna delle parti, e pone come condizione che il medesimo perimento o deterioramento sia intervenuto prima che l’opera sia accettata dal committente o prima che il quest’ultimo sia in mora nel verificarla.
2.4. Occorre tenere presente che la procedura di accettazione dell’opera è di fondamentale rilevanza ai fini dell’individuazione dei soggetti che ex lege sono tenuti a sopportare il rischio di perimento o deterioramento di quanto costruito.
La verifica della stessa, dunque, si concretizza nell’esercizio di un diritto che non presenta i caratteri di una situazione giuridica soggettiva potestativa, in quanto anche l’appaltatore è titolare dell’interesse a che tale potere venga espletato nel più breve tempo possibile dal completamento materiale dell’opera.
In effetti, il rischio del perimento di quanto eseguito è a carico dell’appaltatore fintantoché non venga avviato il procedimento che porta alla decisione sull’accettazione dell’opera, e non può ritenersi compatibile con l’esecuzione del contratto secondo buona fede l’inerzia del committente nello avviare tale procedimento.
Il ritardo, se ingiustificato, configura un caso di mora accipiendi , che secondo la giurisprudenza di legittimità non richiede una formale offerta nei modi di cui all’art. 1209 c.c.
In tale ottica, in tema di collaudo delle opere pubbliche, questa Corte ha più volte affermato che l’art. 5 della legge n. 741 del 1981 (applicabile ratione temporis ) è norma di carattere generale, applicabile a tutte le procedure di esecuzione di opere pubbliche, ove prevede i termini entro i quali
deve essere compiuto il collaudo, delineando con certezza il periodo superato il quale, perdurando l’inerzia dell’ente committente, quest’ultimo deve ritenersi inadempiente, con la duplice conseguenza che l’appaltatore può agire per il pagamento senza necessità di mettere in mora l’Amministrazione e che, dalla scadenza del predetto termine, inizia a decorrere la prescrizione del credito (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 2477 del 29/01/2019; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17314 del 16/08/2011; v. già Cass., Sez. U, Sentenza n. 29530 del 18/12/2008 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23746 del 16/11/2007).
Più in generale, questa stessa Corte ha spiegato che l’Amministrazione appaltante, non può ritardare sine die le proprie determinazioni relative al collaudo delle opere appaltate, paralizzando per un tempo indefinito i diritti della controparte, essendo tenuta ad eseguire il contratto nel rispetto degli artt. 1374 e 1375 c.c., con la conseguenza che, se è fissato espressamente nel contratto un termine per il compimento delle indicate operazioni, e lo stesso trascorra senza che sia adottato alcun provvedimento, tale situazione assume il significato di rifiuto del collaudo e di inadempimento da parte del committente. Ne consegue che, da tale momento, non solo l’appaltatore può agire in sede giurisdizionale per far valere i suoi diritti, senza necessità di costituire preliminarmente in mora la debitrice, né di assegnarle o chiedere che le sia assegnato un termine, ma inizia anche a decorrere il termine di prescrizione del suo diritto al corrispettivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1509 del 27/01/2015; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10377 del 21/06/2012).
2.5. Nel caso di specie, come sopra evidenziato, la Corte d’appello ha accertato, con statuizione in fatto non impugnata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che l’impresa ha completato i lavori il 28/07/1998 successivamente alla scadenza dei termini previsti in contratto.
Né il Comune ha censurato la statuizione della Corte di merito, nella parte in cui ha accertato l’esecuzione del collaudo dopo anni dall’ultimazione dei lavori, ben oltre il termine ritenuto dovuto di sei mesi.
Non è stato neppure posto in discussione che l’evento franoso sia stato un evento non riconducibile alla condotta di alcuna delle parti.
In effetti, guardando alla posizione dell’RAGIONE_SOCIALE, come ritenuto dalla Corte d’appello, il rispetto dei termini contrattuali non avrebbe impedito il danneggiamento delle opere realizzate, tenuto conto che la frana si sarebbe ugualmente verificata.
2.6. Scaduto il termine entro il quale doveva essere effettuato il collaudo, dunque, come sopra evidenziato, lo stesso Comune era da ritenersi in mora in ordine al diritto-dovere di verificare i lavori, con la conseguenza che non poteva esigere dall’ATI il rifacimento delle opere danneggiate o il compimento delle riparazioni in esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto di appalto, né chiedere all’ATI stessa il risarcimento del pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione di tali lavori, poiché il rischio del perimento o del danneggiamento del bene gravava su di lui ai sensi del combinato disposto degli artt. 1207 e 1673 c.c.
Il ricorso deve pertanto essere respinto.
Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, essendo le parti convenute rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile