Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14023 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14023 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14740/2024 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME-) rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
UFFICIO ITALIANO COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.RIC.PROV.UFF.CEN.BR ROMA n. 16/2024 depositata il 15/04/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione alla domanda di registrazione di marchio figurativo presentata in data 30 novembre 2016 da COGNOME EMILIANO, contenente, in particolare, la componente verbale « PARADIIS» per contraddistinguere i prodotti rientranti nelle classi 29 (olio d’oliva extra vergine) e 33 (vino) . L’opponente ha dedotto la confondibilità ex art. 12, comma 1, lett. d) d. lgs. n. 30/2005 (CPI) del marchio con diversi marchi anteriori registrati internazionali: a) tridimensionale registrato il 19 febbraio 2015 al n. 1248225; b) denominativo ‘RAGIONE_SOCIALE‘ registrato il 31 gennaio 1964 al n. 279262A e rinnovato sino al 31 gennaio 2024; c) denominativo ‘RAGIONE_SOCIALE‘ registrato il 6 gennaio 2006 al n. 877550 e rinnovato sino al 6 gennaio 2026; d) denominativo ‘RAGIONE_SOCIALE‘ registrato il 3 dicembre 2010 al n. 1062163. Ha dedotto l’opponente la somiglianza dei marchi sotto il profilo visivo, fonetico e e concettuale, atta a generare confusione tra i marchi, deducendo identità quanto alla classe 33.
L ‘opposizione è stata accolta per i prodotti della classe 33 per sussistenza del rischio di confusione.
Ha proposto ricorso il COGNOME deducendo l ‘omesso esame dell’origine geografica del prodotto del richiedente a termini dell’art. 13, co. 1, lett. b) CPI, essendo la componente verbale « PARADIIS» corrispondente alla denominazione in lingua friulana della località di produzione del vino (frazione del comune di
Pocenia), nonché deducendo assenza di confondibilità tra i segni, sia in termini grafici, sia per diversità del mercato di sbocco.
La Commissione dei Ricorsi ha rigettato il ricorso. Ha ritenuto la Commissione che la diversa qualità dei prodotti e la differenza di prezzo non elimina il rischio di confusione tra segni distintivi. Ha, poi, evidenziato che l’apprezzamento circa la confondibilità dei segni deve tenere conto dell’effetto associativo ingenerato nel pubblico dei consumatori, ritenendo decisiva la parte verbale dei segni distintivi, non essendovi altri segni grafici significativi e, pertanto, sovrapponibili. Ha, infine, escluso la rilevanza della provenienza geografica, essendo la frazione del Comune di Pocenia priva di significanza nel pubblico dei consumatori.
Propone ricorso per cassazione il Subacchi, affidato a due motivi e ulteriormente illustrato da memoria, cui resiste con controricorso l’originaria società opponente intimata , la quale deposita memoria. Uno dei difensori del controricorrente ha dichiarato di rinunciare al mandato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni di inammissibilità articolate dal controricorrente (e ribadite in memoria), non vertendosi nel caso di specie in tema di revisione dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito, così come risulta il ricorso risulta sufficientemente specifico in relazione ai diversi profili di censura e alle parti di sentenza impugnate.
C on il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 13, co. 1, lett. b) CPI, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il titolare del marchio possa vietare al ricorrente l’uso di una indicazione analoga relativa alla provenienza geografica. Osserva parte ricorrente che « RAGIONE_SOCIALE» è la denominazione in lingua friulana della località ove si trova l’azienda
vitivinicola del ricorrente , laddove l’associazione con il marchio anteriore dovrebbe ritenersi del tutto casuale. Nel qual caso la confondibilità non può sussistere, ad avviso del ricorrente, in relazione alla sola indicazione della denominazione geografica ma va ascritta a circostanze ulteriori, non dedotte dal titolare del marchio anteriore.
Il primo motivo è infondato. Il ricorrente censura, nella sostanza, la violazione del l’art. 21 , comma 1, lett. b) CPI, secondo cui il titolare di marchio registrato non può impedire a terzi l’uso di un marchio contenente indicazioni relative alla provenienza geografica (cfr. art. 12, par. 1, lett. b) Reg. (CE) n. 207/2009). A tale proposito va osservato che la provenienza geografica, deve essere nota al pubblico dei consumatori al fine dell’individuazione di una zona di provenienza e presuppone che lo stesso sia conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o ai servizi da esso contraddistinti e che la notorietà sia diffusa in una parte sostanziale del territorio di uno Stato membro, tenuto conto di tutti gli elementi rilevanti della causa, e in particolare della quota di mercato coperta dal marchio, dell’intensità, dell’ambito geografico e della durata del suo uso, nonchè dell’entità degl’investimenti realizzati per promuoverlo (Cass., n. 21086/2005).
Nella specie, la Commissione ha compiuto un accertamento in fatto relativo alla circostanza che la denominazione geografica (peraltro non in lingua italiana ma in lingua friulana) fosse sconosciuta al pubblico dei consumatori, in quanto attinente a una frazione di un Comune friulano conosciuta solo localmente (« la frazione del Comune di Pocenia denominata Paradiso ha una notorietà estremamente circoscritta ed è quindi priva di significanza »).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 12, co. 1, lett. d) CPI, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto integrato il rischio di confusione per il consumatore meno avveduto tra i prodotti per effetto della confondibilità dei due segni, quale effetto della mera appartenenza dei due prodotti alla stessa classe di prodotti (n. 33), senza tenere conto della diversa qualità e del prezzo dei prodotti. Osserva parte ricorrente che la confondibilità va riferita al consumatore medio e non anche al consumatore sprovveduto e che, nel caso, di specie, non possa sussistere confusione tra prodotti indirizzati a mercati e consumatori del tutto differenti. Osserva, infine, che l’espressione « Paradiso » costituisce marchio debole, per il quale è sufficiente, ai fini della non confondibilità, una modificazione ancorché lieve. Osserva, infine, il ricorrente che il marchio ha anche una componente grafica e non solo verbale, idonea a distinguere i due marchi.
Il secondo motivo è infondato. Il riscontro del rischio che si verifichi il pregiudizio arrecato al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore va valutato facendo riferimento al consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, dei prodotti o dei servizi per i quali tale marchio è registrato (ECJ, 20 settembre 2017, The Tea Board, C673/15P, punto 92) . E’ in relazione al grado di attenzione del consumatore medio che va valutato il rischio di confusione, che varia a seconda delle caratteristiche del prodotto commercializzato, essendo tendenzialmente basso per i beni di consumo corrente ed elevato per i beni o servizi maggiormente importanti e costosi o di uso eccezionale, ovvero potenzialmente pericolosi o talmente sofisticati dal punto di vista tecnico da non poter essere apprezzati senza l’assistenza di un professionista (Cass., n. 2305/2025).
n. 14740/2024 R.G.
Il riferimento contenuto nella sentenza al « consumatore meno avveduto » deve ritenersi riferito proprio al consumatore medio, che è proprio il consumatore che non è in grado di distinguere un prodotto di alta gamma da un prodotto ordinario. Diversamente, non può ritenersi consumatore medio il consumatore particolarmente avveduto, il quale è in grado di distinguere prodotti che, benché abbiamo marchi simili, sono destinati a mercati differenti e hanno qualità non comparabili. La sentenza impugnata, pur riferendosi al consumatore meno avveduto, ha inteso riferire il rischio di confondibilità in relazione a ai consumatori diversi da quelli che, dotati di particolari informazioni, sarebbero comunque in grado di distinguere i due prodotti, così facendo corretta applicazione dei suddetti principi.
Il motivo è infondato quanto alla idoneità della componente grafica a distinguere i due marchi, trattandosi di marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dei quali dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile. Né si tratta, nella specie, di un marchio d’insieme, ove i vari elementi sono singolarmente privi di capacità distintiva e la capacità distintiva deriva dalla loro combinazione (Cass., n. 36862/2022). In questo caso sia il marchio verbale, sia il marchio grafico evocano il concetto di « Paradiso» , per cui la capacità caratterizzante va attribuita alla combinazione di entrambe le componenti .
Nel qual caso, la valutazione della capacità distintiva di un marchio complesso, impone al giudice di esaminare le qualità intrinseche di entrambi, nonché le loro rispettive posizioni, al fine di identificare la componente dominante (Cass., n. 22034/2023), utilizzando un criterio globale che si giovi della percezione visiva, uditiva e concettuale degli stessi con riferimento al consumatore medio di una determinata categoria di prodotti, considerando
anche che costui non ha possibilità di un raffronto diretto, che si basa invece sulla percezione mnemonica dei marchi a confronto (Cass., n. 12566/2021). Nella specie, la Commissione ha effettuato tale valutazione globale e ha dato prevalenza, all’esito di tale valutazione, alla componente verbale in entrambi i marchi ( RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ), facendo corretta applicazione dei suddetti principi.
Inammissibile è, infine, la censura relativa al marchio debole, in quanto questione nuova, implicante accertamenti in fatto, estranea alla sentenza impugnata.
Il ricorso va, pertanto rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 6 .000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/05/2025.