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Rischio di confusione marchio: no alla provenienza

Un produttore di vino tenta di registrare un marchio con un nome simile a quello di una nota azienda di liquori, sostenendo che si tratti di un’indicazione geografica. La Corte di Cassazione respinge il ricorso, stabilendo che se la località è sconosciuta al pubblico, prevale il rischio di confusione marchio. La somiglianza fonetica e concettuale tra i nomi è stata ritenuta decisiva, indipendentemente dalla diversa qualità o dal prezzo dei prodotti.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Marchio Simile e Provenienza Geografica: Cosa Prevale? L’Analisi della Cassazione

Quando un nome può essere registrato come marchio? E se quel nome corrisponde a una località geografica? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio questi temi, facendo luce sul delicato equilibrio tra la tutela dei marchi registrati e l’uso di indicazioni di provenienza. Il caso esaminato chiarisce come il rischio di confusione marchio sia un criterio fondamentale, capace di prevalere anche quando un imprenditore cerca di usare il nome della propria località di produzione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Due Marchi a Confronto

La vicenda ha origine dalla domanda di registrazione di un marchio figurativo, contenente la componente verbale «PARADIIS», da parte di un produttore di vino e olio. A questa registrazione si è opposta una nota azienda internazionale di liquori, titolare di diversi marchi anteriori contenenti la parola “PARADIS” per prodotti della stessa classe merceologica (vino).

L’opposizione è stata accolta, ritenendo sussistente un rischio di confusione per il pubblico. Il produttore ha quindi impugnato la decisione, basando la sua difesa su due argomenti principali:

1. Il termine «PARADIIS» non era un nome di fantasia, ma la denominazione in lingua friulana di una frazione del comune in cui ha sede la sua azienda. Si tratterebbe, quindi, di un’indicazione di provenienza geografica legittima.
2. Non vi era confondibilità a causa della diversa qualità, del diverso prezzo e dei differenti mercati di sbocco dei rispettivi prodotti.

Nonostante queste argomentazioni, sia la Commissione dei Ricorsi che, in ultimo, la Corte di Cassazione hanno dato torto al produttore.

L’Indicazione Geografica Non Basta a Escludere il Rischio di Confusione Marchio

Il primo punto cruciale della decisione riguarda l’uso di nomi geografici come marchi. Il produttore sosteneva di avere il diritto di usare il nome della località in cui opera. La Cassazione, tuttavia, ha chiarito un principio fondamentale: perché un’indicazione geografica possa essere usata legittimamente senza creare confusione, essa deve essere nota a una parte significativa del pubblico di consumatori.

Nel caso di specie, è stato accertato che la frazione, denominata “Paradiso”, era conosciuta solo a livello locale e quindi priva di notorietà per il consumatore medio nazionale. Di conseguenza, il pubblico non avrebbe percepito «PARADIIS» come un’indicazione di origine, ma come un nome di fantasia, del tutto simile al già noto marchio «PARADIS» della concorrente. La Corte ha concluso che un nome geografico sconosciuto non può giustificare la creazione di un rischio di confusione marchio.

La Valutazione della Confondibilità e il Ruolo del Consumatore Medio

Il secondo motivo di ricorso si concentrava sull’assenza di confondibilità, data la differenza tra i prodotti. Anche su questo punto, la Corte ha respinto le argomentazioni del ricorrente. La valutazione del rischio di confusione va condotta dal punto di vista del “consumatore medio”, ovvero un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento.

Secondo i giudici, questo consumatore, pur non essendo uno sprovveduto, potrebbe non essere in grado di distinguere tra un prodotto di alta gamma e uno ordinario quando i marchi sono molto simili. La somiglianza fonetica e concettuale tra «PARADIIS» e «PARADIS» è stata ritenuta talmente forte da essere l’elemento dominante nella percezione del pubblico. La Corte ha sottolineato che, di fronte a segni quasi identici, le differenze di prezzo o qualità passano in secondo piano, poiché il consumatore potrebbe comunque essere indotto a credere che i prodotti provengano dalla stessa impresa o da imprese collegate.

La Componente Grafica e la Debolezza del Marchio

Il ricorrente aveva anche sostenuto che la componente grafica del suo marchio fosse sufficiente a distinguerlo. La Corte ha ritenuto infondato anche questo punto, osservando che l’elemento verbale era chiaramente prevalente e che l’intero marchio evocava lo stesso concetto di “paradiso” del marchio anteriore. Infine, l’argomento secondo cui il marchio della controparte fosse “debole” (e quindi meritevole di una tutela meno intensa) è stato dichiarato inammissibile, in quanto sollevato per la prima volta in Cassazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione su principi consolidati in materia di proprietà intellettuale. Il cuore della motivazione risiede nella protezione del consumatore e della funzione distintiva del marchio. Se un segno (anche se coincidente con un nome geografico) non è percepito dal pubblico come indicazione di origine ma come un nome di fantasia, la sua somiglianza con un marchio anteriore va valutata secondo i criteri ordinari. In questo caso, la quasi identità fonetica e concettuale tra i due segni verbali è stata considerata sufficiente a generare un concreto rischio di confusione marchio. La notorietà dell’indicazione geografica è, quindi, un presupposto indispensabile per poterla utilizzare senza interferire con i diritti altrui. La Corte ribadisce che la valutazione deve essere globale, tenendo conto dell’impressione complessiva suscitata dai marchi nella memoria del consumatore medio, il quale non ha la possibilità di un confronto diretto e simultaneo.

Conclusioni: Lezioni per le Imprese

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici per le aziende che si apprestano a scegliere e registrare un nuovo marchio. Innanzitutto, è fondamentale condurre un’attenta ricerca di anteriorità per verificare l’esistenza di marchi simili. In secondo luogo, l’idea di utilizzare un nome geografico come marchio non è una scorciatoia: se la località non è ampiamente conosciuta per quel tipo di prodotto, il nome verrà trattato come un marchio di fantasia, con tutti i rischi che ne conseguono. Infine, la decisione conferma che nella valutazione del rischio di confusione, l’elemento verbale ha spesso un peso predominante, e lievi variazioni ortografiche o grafiche potrebbero non essere sufficienti a scongiurare la confondibilità.

L’uso di un nome geografico come marchio esclude sempre il rischio di confusione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il nome geografico è sconosciuto al grande pubblico dei consumatori, viene percepito come un nome di fantasia. Di conseguenza, se è simile a un marchio anteriore, può generare confusione e la sua registrazione può essere negata.

Prodotti con qualità e prezzo molto diversi possono comunque essere considerati in confusione?
Sì. La Corte ha stabilito che la diversa qualità e il prezzo non sono sufficienti a eliminare il rischio di confusione quando i marchi sono foneticamente e concettualmente molto simili. Il consumatore medio potrebbe essere indotto a credere che i prodotti provengano dalla stessa impresa o da imprese collegate.

In un marchio complesso, quale elemento è più importante per valutare la confusione?
La valutazione è globale, ma si dà prevalenza all’elemento dominante, cioè quello che più colpisce la memoria del consumatore. Nel caso esaminato, la componente verbale («PARADIIS» vs «PARADIS») è stata ritenuta decisiva e prevalente sulla componente grafica, a causa della sua forte somiglianza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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