Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 272 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 272 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5103 R.G. 2023 anno proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso quest ‘ ultimo;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avv ocato NOME COGNOME e dall’avv ocato NOME COGNOME domiciliata quest’ultimo ;
contro
ricorrente
nonché contro
Ministero delle imprese e del Made in Italy -Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, rappresento e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 142/2022 depositata il 28 dicembre 2022 della Commissione dei Ricorsi.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ RAGIONE_SOCIALE ha richiesto all’ UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) la registrazione del marchio figurativo n. 302017000136786 « Blue in RAGIONE_SOCIALE » per contrassegnare i servizi assicurativi designati dalla classe 36 della classificazione di Nizza.
RAGIONE_SOCIALE si è opposta alla registrazione: ha rilevato di essere titolare di più marchi figurativi e denominativi recanti la componente verbale « blue » e ha assunto che il segno distintivo della richiedente era confondibile con i propri, assumendo che i marchi in conflitto, che designavano servizi identici o affini, risultavano essere altamente somiglianti sotto il profilo visivo fonetico e concettuale.
In data 5 ottobre 2020 l’opposizione è stata accolta.
2 . ─ Con sentenza del 28 dicembre 2022 la Commissione dei Ricorsi ha respinto l’impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE. In grande sintesi, la Commissione, dopo aver dato atto del grado medio-basso di somiglianza fonetica e concettuale dei segni in conflitto, ha evidenziato che, nondimeno, « la valutazione globale e sintetica di tutti i fattori pertinenti ai marchi in esame – tra cui la somiglianza visiva, fonetica e concettuale dei segni, l’identità dei servizi rivendicati, il carattere distintivo del marchio anteriore, nonché l’attenzione dedicata dal pubblico di riferimento nella scelta del servizio – a ritenere sussistente il rischio di confusione e associazione ex art. 12, comma 1, lett. d), c.p.i. tra gli stessi ».
Ricorre per cassazione, con cinque motivi, RAGIONE_SOCIALE; resistono con controricorso RAGIONE_SOCIALE e il Ministero delle
imprese e del Made in Italy . La ricorrente e RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Col primo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si deduce che l’opponente non avrebbe fornito prova alcuna dell’uso di un marchio anteriore con riguardo ai servizi per i quali il marchio opposto era stato limitato; tale circostanza, che era stata oggetto di discussione in giudizio, sarebbe stata « elusa dalla Commissione con l’argomento -del tutto inconferente -che la differenza tra attività riservate e non riservate non rileverebbe ai fini della valutazione dell’affinità dei servizi designati dai marchi in esame ».
Il motivo è infondato.
Esso investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto esistente l’affinità tra i servizi prestati dalle due società disattendendo la deduzione dell’odierna ricorrente, secondo cui i servizi contrassegnati dal suo marchio erano riconducibili a una particolare categoria di servizi assicurativi, resi esclusivamente nell’ambito delle « attività riservate » a soggetti che avessero ottenuto apposita autorizzazione per operare nel mercato assicurativo, come precisato in apposita domanda di limitazione. La Commissione dei Ricorsi ha ritenuto, al riguardo, che esistesse piena identità tra i servizi di assicurazione rivendicati, rispettivamente, dal marchio di RAGIONE_SOCIALE e dal marchio « RAGIONE_SOCIALE » dell’opponente : ha osservato che i servizi contrassegnati dai marchi in conflitto appartenevano alla più ampia categoria dei servizi di assicurazione e che le eventuali distinzioni operate nella regolamentazione del mercato assicurativo tra attività riservate e non riservate non rilevavano ai fini della valutazione circa l’identità o l’affinità dei servizi designati dai marchi in questione.
Come è del tutto evidente, non ricorre alcun omesso esame del fatto consistente nella mancata prova, e quindi nell’inesistenza, di un
uso del marchio anteriore con riguardo ai servizi assicurativi non riservati: la circostanza è stata specificamente presa in considerazione dalla Commissione e da questa reputata non decisiva. Per contestare la consistenza giuridica dell’argomento speso dalla Commissione dei Ricorsi – argome n to basato, come si è visto, sull’irrilevanza della distinzione, nell’ambito della classe n. 36, relativa ai prodotti assicurativi, tra attività riservate e non riservate -sarebbe stato necessario che la ricorrente proponesse una censura di violazione o falsa applicazione di norme di legge: ciò che non è accaduto.
2. – Col secondo mezzo la ricorrente si duole dell’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La società istante lamenta che la sentenza impugnata abbia totalmente omesso di valutare che l’elemento denominativo « blue » era stato preso in considerazione da una sentenza della Commissione dei Ricorsi – la n. 8 del 2021 – che lo aveva ritenuto privo di carattere distintivo o comunque munito di un carattere distintivo tenue.
Il motivo è inammissibile.
La censura si fonda sull’esistenza di una decisione della Commissione dei Ricorsi, che risulta confermata da una pronuncia di questa Corte – l’ordinanza n. 23716 del 3 agosto 2023 -vertente sulla questione relativa al l’anteriorità, rispetto al marchio « RAGIONE_SOCIALE », del marchio « RAGIONE_SOCIALE ». In tale decisione, mette conto di rilevare, si poneva il problema del conflitto tra marchi registrati per prodotti e servizi appartenenti alla classe 44, diversa da quella che qui viene in esame.
La censura denuncia, come è evidente, la mancata valorizzazione di argomentazioni che si assume avrebbero dovuto trarsi dalla nominata pronuncia: ma l’art. 360, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’omesso esame come riferito ad un fatto decisivo per il giudizio ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza
in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a « questioni » o « argomentazioni » che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure così irritualmente conformate (Cass. 26 gennaio 2022, n. 2268). Tantomeno può considerarsi « fatto » rientrante nella previsione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. il « giudicato della Commissione di Ricorsi sulla capacità distintiva dell’elemento denominativo ‘blue’ del marchio anteriore » (così la ricorrente, a pag. 6 della sua memoria). In termini generali, il giudicato esterno è un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici (Cass. Sez. U. n16 giugno 2006, n. 13916); nel caso in esame, poi, il detto giudicato non è nemmeno destinato a operare come regola del caso concreto poiché non si è formato tra gli odierni contendenti e non ha ad oggetto la declaratoria di nullità, con effetto erga omnes (art. 123 c.p.i.), di uno dei marchi oggi in conflitto.
3. Col terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per nullità, stante l’assenza di motivazione. La Commissione dei Ricorsi avrebbe completamente omesso di prendere posizione sui rilievi formulati da RAGIONE_SOCIALE: rilievi basati su quanto affermato dallo stesso organo decisionale nella sentenza n. 8 del 2021 in relazione al carattere distintivo del marchio anteriore di controparte.
La doglianza replica, sul versante motivazionale, quanto fatto valere col precedente mezzo di censura lamentando l’omesso esame di fatto decisivo.
Tanto detto, il motivo va disatteso.
Infatti, onde assolvere all’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere
implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. 9 febbraio 2021, n. 3126; Cass. 2 dicembre 2014, n. 25509).
4. Il quarto motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. d), c.p.i.. Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la parola « blue » sufficiente a configurare un rischio di confusione e associazione per i segni e per aver affermato, in modo apodittico e disattendendo il principio per cui nel caso di marchi deboli sono sufficienti ad escludere il rischio confusorio anche lievi modifiche, che gli elementi caratterizzanti il marchio della ricorrente non erano sufficienti ad escludere il pericolo di confusione con il marchio anteriore.
Il motivo è nel complesso infondato.
La Commissione dei Ricorsi, in base a una valutazione di fatto che sfugge al sindacato di legittimità, ha ritenuto che il termine « blue » fosse privo di portata descrittiva e ha con ciò sconfessato l’assunto dell’odierna ricorrente secondo cui quell’elemento verbale era «ampiamente diffuso e utilizzato nel mercato dei servizi assicurativi e pertanto privo di carattere distintivo »: dopodiché, pur ritenendo debole il marchio « RAGIONE_SOCIALE », essa ha ravvisato un rischio di confusione e associazione tra tale segno e il marchio dell’odierna ricorrente, e ciò in base a una « valutazione globale e sintetica di tutti i fattori pertinenti ai marchi in esame ».
Sostiene chi impugna che i numerosi elementi di diversità, sotto il profilo visivo, fonetico e concettuale, individuati dalla Commissione avrebbero dovuto condurre quest’ultima a una conclusione di opposto contenuto, anche in considerazione del fatto che il marchio « RAGIONE_SOCIALE » doveva considerarsi debole.
Ora, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità, o meno, dei marchi costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se esso è sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. 13 marzo 2017, n. 6382; Cass. 28 febbraio 2006, n.
4405). La pronuncia non evidenzia, poi, contraddittorietà o errores iuris . Sul piano della conformità al diritto, in particolare, l ‘ affermazione per cui il marchio « RAGIONE_SOCIALE », pur essendo debole, poteva essere confuso con il segno « Blue in Underwriting » della società ricorrente si mostra pienamente coerente col principio per cui il marchio debole può ricevere tutela a fronte dell’adozione di mere varianti formali, inidonee ad escludere la confondibilità dei segni (Cass. 2 febbraio 2015, n. 1861; Cass. 25 giugno 2007, n. 14684).
-Col quinto mezzo si denuncia la nullità della sentenza per assenza di motivazione. Si deduce che la Commissione dei Ricorsi avrebbe completamente omesso di prendere posizione sulle critiche mosse dalla ricorrente relativamente alla valutazione dei marchi del cui uso non era stata fornita prova.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente imputa alla sentenza impugnata di non aver preso posizione sull’errore in cui sarebbe incorso l’Ufficio, e consistente nell’aver esaminato, ai fini della valutazione globale circa il rischio di confusione, non solo il marchio « RAGIONE_SOCIALE », ma anche altri segni dell’opponente rispetto ai quali non era stata fornita alcuna prova d’uso.
Il motivo è privo di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, ed è perciò inammissibile (per tutte: Cass. 9 aprile 2024, n. 9450).
La Commissione dei Ricorsi ha infatti evidenziato che il controllo dell’esaminatore in sede di opposizione ha avuto ad oggetto il solo marchio anteriore « RAGIONE_SOCIALE », non anche gli ulteriori marchi per i quali non era stata fornita prova dell’uso effettivo.
6. – Il ricorso è respinto.
7. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in
favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del Ministero, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle eventuali spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito d all’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione