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Riscatto pensione: quando matura il diritto?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13925/2024, ha respinto il ricorso di un ex dipendente che chiedeva un ricalcolo del riscatto della pensione complementare. La Corte ha stabilito che il diritto al riscatto pensione sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e non quando si maturano i requisiti per la pensione statale. Di conseguenza, il calcolo della somma da liquidare deve basarsi sui dati certi al momento della cessazione del lavoro, come il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, e non su requisiti contributivi futuri e incerti.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Riscatto Pensione: la Cassazione chiarisce il momento decisivo

Il tema del riscatto pensione complementare è cruciale per molti lavoratori che cessano un rapporto di lavoro prima di aver maturato i requisiti per la pensione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 13925 del 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale su quale sia il momento esatto in cui sorge tale diritto e, di conseguenza, come debba essere calcolato l’importo da liquidare. La decisione sottolinea che il diritto sorge con la fine del rapporto di lavoro, non al successivo raggiungimento dei requisiti pensionistici.

I fatti di causa

Il caso esaminato riguardava un ex dipendente di un istituto bancario, il cui rapporto di lavoro era cessato nel 2001. L’ex lavoratore aveva richiesto la liquidazione (riscatto) della sua posizione maturata presso il fondo pensione aziendale. La controversia nasceva dalla differente visione sul momento determinante per il calcolo del valore di riscatto.

L’ex dipendente sosteneva che il calcolo dovesse essere effettuato con riferimento al 2003, anno in cui avrebbe maturato il diritto alla pensione di anzianità (basata su un requisito contributivo di 35 anni). I giudici di merito, invece, avevano confermato la correttezza del calcolo effettuato dal fondo pensione, che aveva preso come riferimento il 2001, anno di cessazione del rapporto, utilizzando come parametro attuariale il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia.

La questione giuridica sul riscatto pensione

La questione centrale posta all’attenzione della Suprema Corte era la seguente: il diritto al riscatto pensione sorge quando vengono meno i requisiti di partecipazione al fondo (solitamente con la cessazione del rapporto di lavoro) o quando l’iscritto matura effettivamente il diritto a una prestazione pensionistica?

La scelta di un momento o dell’altro ha un impatto significativo sul calcolo attuariale della somma da liquidare. Riferirsi a una data successiva, come quella del raggiungimento della pensione di anzianità, avrebbe potuto portare a un importo maggiore per il lavoratore. La difesa del ricorrente si basava proprio su questo punto, sostenendo che la Corte di merito avesse errato nell’applicare l’art. 10 del d.lgs. n. 124/1993.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati entrambi i motivi presentati. Gli Ermellini hanno chiarito che, secondo la normativa applicabile ratione temporis, il diritto al riscatto, così come quello al trasferimento della posizione (portabilità), sorge nel momento in cui vengono meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare.

Questo evento, hanno precisato i giudici, è direttamente collegato alla cessazione del rapporto di lavoro, che determina la fine del rapporto previdenziale con il fondo aziendale. La maturazione del diritto a pensione è un evento successivo e indipendente. Citando precedenti pronunce, anche a Sezioni Unite, la Corte ha ribadito che il presupposto comune sia al riscatto che alla portabilità è la cessazione della partecipazione al fondo, evento che nel caso di specie si è verificato nel 2001.

Di conseguenza, la quantificazione della posizione andava effettuata in quella data. Poiché nel 2001 non era possibile sapere con certezza se il lavoratore avrebbe continuato a versare contributi fino a raggiungere i 35 anni necessari per la pensione di anzianità nel 2003, la Corte d’Appello ha correttamente utilizzato l’unico criterio certo disponibile in quel momento: l’anzianità anagrafica richiesta per la pensione di vecchiaia (65 anni). Questa scelta si basa su un dato oggettivo e non su una previsione incerta del futuro percorso lavorativo dell’individuo.

Le conclusioni

La pronuncia della Cassazione consolida un principio di certezza giuridica in materia di previdenza complementare. Stabilisce in modo inequivocabile che i diritti dell’iscritto, come il riscatto pensione, devono essere valutati e quantificati al momento della perdita dei requisiti di partecipazione, coincidente con la fine del rapporto di lavoro. Questo impedisce calcoli basati su ipotesi future e potenzialmente speculative, ancorando la liquidazione a dati certi e disponibili al momento della richiesta. Per i lavoratori, ciò significa che il valore del riscatto sarà determinato in base alla situazione esistente alla data di cessazione del contratto, utilizzando per le proiezioni attuariali i requisiti pensionistici certi, come l’età per la pensione di vecchiaia.

Quando sorge il diritto al riscatto della posizione in un fondo pensione complementare?
Il diritto al riscatto sorge nel momento in cui vengono meno i requisiti di partecipazione al fondo, un evento che è collegato alla cessazione del rapporto di lavoro e non alla successiva maturazione del diritto alla pensione.

Perché la Corte ha usato il criterio della pensione di vecchiaia e non quello della pensione di anzianità per il calcolo?
La Corte ha utilizzato il criterio della pensione di vecchiaia perché, al momento della cessazione del rapporto di lavoro (2001), il requisito anagrafico (65 anni) era un dato certo. Al contrario, il raggiungimento del requisito contributivo per la pensione di anzianità nel 2003 era un evento futuro e incerto, poiché non si poteva sapere se l’ex dipendente avrebbe continuato a lavorare e versare contributi.

Il diritto al riscatto e quello alla portabilità della posizione hanno lo stesso presupposto?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, entrambi i diritti, riscatto e portabilità, hanno come presupposto comune la cessazione della partecipazione al fondo pensione, che si verifica con la fine del rapporto di lavoro che ne costituiva il requisito di adesione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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