Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21050 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21050 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7277/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentate e difese dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ACIREALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
R.G. 7277/2021
COGNOME.
Rep.
C.C. 24/4/2024
C.C. 14/4/2022
LOCAZIONE ALLOGGIO ATER – ACQUISTO – CONDIZIONI.
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 1387/2020 depositata il 28/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso ai sensi dell’art. 702 -bis cod. proc. civ. le sorelle NOME, NOME e NOME COGNOME convennero in giudizio, davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE e, sulla premessa di essere eredi legittime della loro madre NOME COGNOME, assegnataria di un alloggio popolare sito a Valverde, chiesero che fosse riconosciuto il proprio diritto ad una sentenza costitutiva, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., che trasferisse in loro proprietà l’alloggio in questione. Chiesero altresì, in via subordinata, che entrambi gli Istituti convenuti fossero condannati alla restituzione delle somme già in precedenza versate per l’acquisto dell’immobile, con interessi e rivalutazione e il risarcimento dei danni.
Esposero a sostegno della domanda, tra l’altro, che l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva proposto alla COGNOME, in data 9 giugno 1998, l’acquisto dell’immobile a lei assegnato, per la somma di lire 15.227.500, somma a suo tempo corrisposta; che in data 4 maggio 1999 l’RAGIONE_SOCIALE aveva confermato la regolarità del pagamento, invitando l’occupante a prepararsi per il rogito; che la madre NOME COGNOME era venuta a mancare in data 8 maggio 1999; che, successivamente alla morte, vi era stato un fitto carteggio tra le eredi e l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, allo scopo di risolvere alcune questioni che bloccavano il perfezionamento della procedura di acquisto; e che, inspiegabilmente, con lettera del 25 settembre 2014 l’RAGIONE_SOCIALE di
NOME aveva comunicato che, nonostante il nulla osta dell’altro RAGIONE_SOCIALE, non si poteva procedere all’atto definitivo di acquisto.
Si costituirono in giudizio entrambi gli Istituti convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda di pronuncia di una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.; condannò le sorelle COGNOME a rilasciare l’alloggio in questione, libero da persone e cose; accolse in parte la domanda subordinata e condannò l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE a restituire alle attrici la somma di euro 8.336,60, con interessi dalla data della domanda; compensò per un terzo le spese di lite e pose i due terzi residui a carico delle parti attrici.
La pronuncia è stata impugnata in via principale dalle sorelle COGNOME e in via incidentale dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, mentre l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il rigetto dell’appello principale.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 28 luglio 2020, ha respinto l’appello principale, ha accolto quello incidentale e ha posto a carico delle appellanti principali il carico delle ulteriori spese del grado.
2.1. Ha osservato la Corte territoriale, esaminando l’appello principale, che la domanda avanzata dalle sorelle COGNOME si fondava «sulla sola ragione di essere le eredi di COGNOME NOME, la quale, assegnataria in locazione semplice di alloggio popolare, aveva diritto all’acquisto del medesimo, non conclusosi a causa del decesso della stessa». L’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nel comunicare alle eredi l’impossibilità di procedere alla vendita dell’immobile, aveva rilevato che il diritto alla cessione è subordinato alla condizione che le acquirenti possiedano i requisiti indicati dalla legge e che, nel momento della morte dell’assegnatario, si trovino con lo stesso in rapporto di convivenza fondato su di un vincolo.
Tale rifiuto è stato ritenuto legittimo dalla Corte etnea, la quale si è riportata all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte contenuto nella sentenza 17 luglio 2017, n. 17623; le sorelle
COGNOME, d’altronde, nulla avevano replicato alle osservazioni suindicate, limitandosi a ribadire la loro qualità di eredi.
In relazione, poi, al profilo della decorrenza degli interessi sulle somme da restituire, la sentenza ha osservato che, trattandosi di ripetizione di indebito oggettivo, gli interessi sono dovuti dalla data della domanda o da altri atti, anche stragiudiziali, idonei a costituire in mora; poiché dagli atti non risultava alcuna domanda inoltrata per la restituzione, la censura relativa agli interessi era da rigettare. Parimenti infondata è stata poi ritenuta la domanda di rivalutazione monetaria, sul rilievo che il maggior danno avrebbe dovuto essere dimostrato ai sensi dell’art. 1224 cod. civ., mentre le appellanti principali non avevano neppure allegato ragioni per le quali si sarebbe potuto presumere il reinvestimento delle somme di denaro in attività redditizie.
2.2. Quanto, invece, all’appello incidentale, la Corte di merito l’ha ritenuto fondato, in quanto non era ravvisabile una responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a titolo di lesione delle buona fede nelle trattative precontrattuali. Ha ricordato la sentenza, in proposito, che per sussistere una responsabilità ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. occorrono tre requisiti: la pendenza di trattative, la serietà delle stesse tale da far insorgere un legittimo affidamento e la loro interruzione senza alcun motivo giustificato. Nel caso in esame, invece, l’RAGIONE_SOCIALE non aveva dato corso all’acquisto per mancanza dei requisiti di legge, circostanza che di per sé esclude l’esistenza di un’aspettativa ragionevole; per cui le attrici di nulla potevano dolersi.
Contro la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE propongono ricorso le sorelle NOME, NOME e NOME COGNOME con unico atto affidato a quattro motivi.
Resistono l’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE con due separati controricorsi.
Le ricorrenti e l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 52 della legge 5 agosto 1978, n. 457, dell’art. 2 della legge 2 aprile 2001, n. 36, e dell’art. 27 della legge 8 agosto 1977, n. 513.
Le ricorrenti osservano che la sentenza impugnata avrebbe violato le norme richiamate e i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità. Se, infatti, il procedimento attivato con la domanda di riscatto si conclude con l’accettazione e la comunicazione del prezzo da parte dell’amministrazione, l’assegnatario diventa titolare di un diritto soggettivo all’acquisizione, suscettibile di esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.; principio, questo, corrispondente al testo delle norme suindicate e alle sentenze di questa Corte. Nel caso specifico, il diritto alla cessione -inteso come diritto potestativo e non come mera aspettativa -era insorto in capo ad NOME COGNOME prima della sua morte; e, trattandosi di un diritto patrimoniale, esso dovrebbe essere ritenuto trasmissibile agli eredi, senza la necessità, in capo a questi ultimi, della sussistenza degli ulteriori requisiti (quale la convivenza) prescritti dalla normativa «per la diversa e distinta ipotesi della domanda di riscatto non ancora definita».
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della legge 24 dicembre 1993, n. 560, e dell’art. 2932 cod. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto insussistenti, in capo alle ricorrenti, i requisiti per conseguire il riscatto dell’immobile.
La censura contiene un’ampia trascrizione del carteggio intercorso tra le parti durante numerosi anni, dopo la morte della
COGNOME. Le ricorrenti, in particolare, richiamano le lettere dalle quali emergerebbe che il contratto non era stato stipulato perché l’RAGIONE_SOCIALE esigeva dalle eredi il versamento di somme non richieste alla loro madre. Soltanto nel 2011 l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva loro comunicato di essere diventato proprietario dell’immobile in questione, mentre nel 2014 l’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva ammesso di non poter pretendere somme ulteriori se non quelle a titolo di differenza di prezzo di cessione, spese e saldo canoni (somme versate). A questo punto, invece, era pervenuta la comunicazione del 25 settembre 2014 dell’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE che aveva bloccato la procedura. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, quindi, la procedura amministrativa era da ritenere conclusa, il che attribuirebbe alle ricorrenti il diritto di ottenere la richiesta sentenza costitutiva (viene richiamata, in particolare, la motivazione della sentenza 20 marzo 2015, n. 5689, di questa Corte).
I primi due motivi di ricorso sono da trattare congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li tiene uniti.
3.1. Il sistema di assegnazione in proprietà degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ruota, com’è noto, intorno alla sussistenza, in capo all’assegnatario, di una serie di requisiti di legge. Essi devono essere posseduti nel momento della stipula del contratto dal soggetto che diventerà il proprietario, non essendo sufficiente che essi siano stati posseduti in un momento precedente (da parte di un soggetto diverso) e siano poi venuti meno.
La giurisprudenza di questa Corte, alla quale la Corte territoriale si è correttamente richiamata, è costante nell’affermare che se, dopo l ‘ accettazione da parte dell ‘ ente gestore dell ‘ istanza di cessione e la comunicazione del prezzo indicato, l’ assegnatario sia deceduto senza procedere alla stipula del contratto di compravendita, gli eredi dello stesso non acquisiscono a titolo
derivativo il diritto alla cessione dell ‘ alloggio, ma sono soltanto esonerati, ai sensi dell ‘ art. 27 della legge n. 513 del 1977, dall ‘ onere di confermare la relativa domanda, atteso che la situazione precedente alla stipula del contratto, richiedente agli effetti della cessione la verifica di determinati requisiti, non è trasmissibile iure hereditatis . Né tale disciplina risulta derogata dall ‘ art. 2, comma 3, della legge n. 136 del 2001, che ha solo ribadito la non necessità di un ‘ espressa conferma della domanda di riscatto da parte degli eredi e l ‘ obbligo dell ‘ amministrazione di provvedere comunque nei confronti dei medesimi in ordine alla richiesta cessione, individuando tra di essi chi sia in grado di subentrare nella posizione dell ‘ originario assegnatario riscattante, e non ha previsto anche il necessario accoglimento della relativa domanda dell ‘ erede o degli eredi, a prescindere dalla valutazione di quei requisiti, di parentela e convivenza, i quali, non risultando essere stati espressamente abrogati, non possono ritenersi posti nel nulla da una norma meramente interpretativa (in questo senso sono da vedere già le sentenze 14 marzo 1995, n. 2915, e 17 settembre 1998, n. 9286, nonché la successiva sentenza 26 settembre 2005, n. 18732; tale orientamento ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite con la sentenza 17 luglio 2017, n. 17623).
La giurisprudenza più recente ha dato ancora continuità a quest’orientamento (v. le ordinanze 25 ottobre 2018, n. 27057, 8 gennaio 2019, n. 204, e la sentenza 16 febbraio 2022, n. 5032), ribadendo che anche l’accettazione dell’istanza di cessione con comunicazione del prezzo, seguita dall’integrale pagamento di questo, non conferisce agli eredi dell’assegnatario né il diritto dominicale sull’alloggio né il titolo per conseguirne la cessione a titolo derivativo, posto che il passaggio di proprietà può avvenire solo dopo la positiva verifica dell’esistenza, in capo all’assegnatario effettivo, della sussistenza delle condizioni soggettive per l’assegnazione.
3.2. Le ricorrenti hanno richiamato a sostegno della loro diversa tesi, trascrivendo alcuni passaggi della relativa motivazione, la sentenza 20 marzo 2015, n. 5689, secondo cui in tema di cessione in proprietà di alloggi residenziali pubblici, laddove il procedimento attivato con la presentazione della domanda di riscatto si concluda con l’accettazione e la comunicazione del prezzo da parte dell’amministrazione, l’assegnatario in locazione, in mancanza di fatti impeditivi sopravvenuti (come la decadenza o la revoca dell’assegnazione), diviene titolare di un diritto soggettivo alla stipula del contratto di compravendita, suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 del codice civile.
Questa pronuncia, peraltro, non è in contrasto con la giurisprudenza in precedenza richiamata. Nella sentenza n. 5689, infatti, si è ribadito -sulla scia della precedente sentenza 17 maggio 2007, n. 11334, delle Sezioni Unite di questa Corte -che, in mancanza dell’accettazione della domanda di riscatto o della comunicazione del prezzo, i richiedenti l’assegnazione in proprietà non possono chiedere, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., la pronuncia di una sentenza costitutiva, non sussistendone, evidentemente, le condizioni. Ma si è poi aggiunto che, se invece il procedimento amministrativo si è svolto e si è concluso con esito favorevole all’interessato, il rimedio di cui all’art. 2932 cit. non può essere escluso «in radice», almeno in assenza di fatti impeditivi.
È evidente, però, che la sentenza n. 5689 del 2015 doveva esaminare un caso ben diverso da quello odierno nel quale, invece, i l decesso dell’assegnatario è avvenuto, come si è visto, in un momento precedente la stipula del contratto definitivo; di talché rispetto a tale situazione rimane inalterata l’irrilevanza tanto della determinazione del prezzo quanto dell’eventuale suo versamento (eventi entrambi avvenuti nel caso di specie). E ciò, è bene ribadirlo, non certo per riconoscere una sorta di arbitrio o di premio
in favore dell’Amministrazione inerte, ma semplicemente perché, come si è detto, i requisiti per l’assegnazione devono sussistere in capo a chi nel momento dell’acquisto divenga effettivamente il proprietario, rimanendo quindi non decisive le vicende pregresse.
Ed è appena il caso di aggiungere che l’art. 2, comma 3, della legge n. 136 del 2001 -dettando una norma di interpretazione autentica dell’art. 27 della legge n. 513 del 1977 ha stabilito che, «in caso di decesso del soggetto avente titolo al riscatto che abbia presentato la domanda dei termini prescritti», l’Amministrazione ha comunque «l’obbligo di provvedere nei confronti degli eredi, disponendo la cessione dell’alloggio, indipendentemente dalla conferma della domanda stessa». Ma l’obbligo di provvedere significa, come si detto, che non è necessario che gli eredi rinnovino la domanda; non certo che questi ultimi abbiano diritto ad un provvedimento favorevole anche se privi dei requisiti per l’assegnazione, cioè a prescindere dalla valutazione «di quei requisiti, di parentela e convivenza, i quali non possono ritenersi posti nel nulla da una norma meramente interpretativa» (in tal senso la sentenza 27 novembre 2018, n. 30721, punto X.1 della motivazione).
3.3. Alla luce di queste considerazioni risulta in modo evidente che il primo e il secondo motivo di ricorso sono privi di fondamento.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 cod. civ. e dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ. in materia di responsabilità extracontrattuale.
Dopo aver ricordato i passaggi logici attraverso i quali la sentenza ha negato l’esistenza di tale responsabilità, le ricorrenti sostengono che nel caso specifico sussistono tutte e tre le condizioni indicate nella sentenza per il risarcimento: la pendenza di trattative, il fatto che esse erano giunte a un punto tale da far sorgere nella controparte il ragionevole affidamento sulla
conclusione del contratto e, infine, la loro interruzione senza alcun giustificato motivo. Risulterebbe in atti la prova della malafede dei due Istituti convenuti, i quali prima hanno riconosciuto il diritto al riscatto, poi hanno chiesto il pagamento di altre somme (pagate), poi hanno rilasciato il nulla-osta alla stipula e poi, improvvisamente, hanno rifiutato di concludere l’atto di cessione.
4.1. Il motivo è inammissibile per due concorrenti ragioni.
La prima consiste nel fatto che, come questa Corte ha già affermato, la verifica sull’esistenza di tutte le condizioni idonee ad integrare la responsabilità precontrattuale costituisce oggetto di un accertamento di fatto che è devoluto al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se non inficiato da omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (così le sentenze 29 marzo 2007, n. 7768, e 15 aprile 2016, n. 7545, nonché l’ordinanza 16 novembre 2021, n. 34510). Nel caso specifico, la Corte di merito ha esaminato il caso e ha indicato con chiarezza le ragioni per le quali ha escluso l’accoglimento della domanda.
La seconda ragione consiste nel fatto che la Corte d’appello ha poi ulteriormente argomentato sul punto, osservando che le COGNOME non avevano fornito «alcuna prova di aver ricevuto un danno giuridicamente apprezzabile»; e quest’argomento non è stato, in effetti, censurato nel motivo di ricorso in esame.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., sul rilievo che le spese dei tre gradi di giudizio dovrebbero essere poste a carico dei due Istituti convenuti.
5.1. Il motivo -che in effetti non è propriamente tale, ricollegandosi alla ritenuta fondatezza dei motivi precedenti -rimane evidentemente assorbito.
Il ricorso, in conclusione, è rigettato.
A tale esito segue la condanna delle ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, sopravvenuto a regolare i compensi professionali.
Sussistono inoltre le condizioni di cui a ll’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate quanto all’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in complessivi euro 2.500, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, e quanto all’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in complessivi euro 3.700, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza