Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9570 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9570 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19462/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE
EMAIL
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
EMAIL
-controricorrente e ricorrente incidentale condizionato-
e
COGNOME NOME, rappresentata e difesa come sopra -controricorrente al ricorso incidentale condizionato- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di BARI n. 939/2021 depositata il 12/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° marzo 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
R.G. 19462/2021
COGNOME.
Rep.
C.C. 1°/3/2024
C.C. 14/4/2022
RISCATTO AGRARIO.
FATTI DI CAUSA
Con atto del 1° settembre 2010 NOME COGNOME vendette a NOME COGNOME, proprietario di un terreno confinante, un fondo agricolo con annessa casa colonica in agro di Castelluccio dei Sauri, riservandosi l’usufrutto vitalizio su quest’ultima.
NOME COGNOME, proprietaria anch’ella di un terreno confinante con quello del COGNOME, convenne in giudizio il COGNOME e il COGNOME davanti al Tribunale di Foggia e -sulla premessa di non aver avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di prelazione a causa della mancata comunicazione di cui all’art. 8, quarto comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590 -agì per l’esercizio del diritto di riscatto di cui all’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, chiedendo che la proprietà del fondo le venisse trasferita dietro pagamento del prezzo pattuito in sede contrattuale.
Si costituì in giudizio il COGNOME, chiedendo il rigetto della domanda sul rilievo che la COGNOME non possedeva i requisiti di legge per l’esercizio del riscatto, mentre il COGNOME rimase contumace.
Espletata una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda e dispose il trasferimento della proprietà del fondo alla parte attrice subordinatamente al pagamento del prezzo, condannando il convenuto al pagamento delle spese di lite.
La sentenza è stata impugnata dal COGNOME e la Corte d’appello di Bari, con sentenza del 12 maggio 2021, ha accolto il gravame e, in riforma della pronuncia del Tribunale, ha rigettato la domanda della COGNOME, contestualmente condannandola alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che erano infondati i primi due motivi di appello.
Il primo, avente ad oggetto la questione della mancata iscrizione dell’originaria attrice nel registro speciale dei coltivatori diretti esistente presso la locale RAGIONE_SOCIALE, è stato ritenuto infondato richiamando la giurisprudenza di legittimità
secondo la quale, ai fini dell’esercizio del riscatto agrario, non è sufficiente l’iscrizione negli elenchi dei coltivatori diretti, dovendosi invece dimostrare la diretta e abituale attività di coltivazione del fondo.
Per la medesima ragione è stato poi respinto il secondo motivo di appello, nel quale si contestava il fatto che la COGNOME non potesse definirsi realmente coltivatrice del fondo, avendo comprovato solo di svolgere attività di raccolta delle olive.
Fondato, invece, è stato ritenuto, con valenza decisiva, l’ultimo motivo di appello, nel quale il COGNOME aveva contestato la valutazione dei criteri preferenziali seguiti dal Tribunale per la scelta del contraente, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228.
A questo proposito, la Corte territoriale ha rilevato che dall’espletata c.t.u. era emerso che entrambe le parti in causa possedevano tutti i requisiti previsti dalla legge per l’esercizio della prelazione agraria. Sulla base di tale premessa, il Tribunale aveva ritenuto di dover preferire, a seguito di una valutazione comparativa, la posizione della COGNOME, richiamando una serie di considerazioni rese dal consulente d’ufficio.
Ad avviso della Corte barese, tuttavia, la decisione di primo grado non era condivisibile; al c.t.u., infatti, non era stata rimessa la valutazione di una possibile preferenza tra i due -attività che compete per legge al giudice -e comunque i giudizi che l’ausiliare aveva espresso sono apparsi alla Corte d’appello «affermazioni di mero stile, prive di qualsiasi addentellato concreto dal punto di vista scientifico ed economico», non aventi perciò alcun contenuto giuridicamente apprezzabile. Il consulente, infatti, aveva affermato che la posizione della parte attrice era preferibile perché l’acquisto del fondo da parte sua avrebbe comportato una più idonea ricomposizione fondiaria e un più rilevante sviluppo aziendale, con creazione di un’unità produttiva più efficiente.
Ora, poiché entrambi gli aspiranti erano in possesso dei requisiti e nessuno dei due, viceversa, godeva dei titoli preferenziali riconosciuti dall’art. 7 del d.lgs. n. 228 del 2001 (presenza di coltivatori diretti di età tra i 18 e i 40 anni), il giudicante di primo grado non avrebbe potuto, a parità dei requisiti, stabilire criteri diversi e discrezionali, non fissati dalla legge. Il criterio legale di preferenza tra più proprietari confinanti, in altre parole, non poteva «giungere sino al punto di obliterare del tutto la libertà contrattuale nella scelta del contraente e sostituire alla volontà delle parti la valutazione discrezionale del giudice, sulla base di criteri ineffabili».
Da tanto conseguiva che la domanda avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE in primo grado doveva essere rigettata, non avendo ella dimostrato di essere in possesso di titoli di preferenza rispetto all’altro acquirente.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Bari propone ricorso principale NOME COGNOME con atto affidato ad un solo motivo.
Resiste NOME COGNOME COGNOME controricorso contenente ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso al ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale.
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 132 n. 4) cod. proc. civ., violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 1322 e 1362 cod. civ., dell’art. 7 del d.lgs. n. 228 del 2001 e dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965, oltre a motivazione perplessa, apparente e in contrasto con un indirizzo giurisprudenziale consolidato.
La ricorrente rileva, innanzitutto, che il nucleo centrale del ricorso consiste nella necessità di stabilire se, pur sussistendo in capo ad entrambi i possibili acquirenti del fondo i presupposti di legge per l’esercizio del riscatto, possa ritenersi corretto il criterio di scelta fatto proprio dalla Corte d’appello e individuato nella c.d. libertà contrattuale; o se, al contrario, non debba scegliersi il criterio, seguito dal Tribunale, di privilegiare l’accorpamento del terreno oggetto della compravendita a quello di superficie inferiore (nella specie, quello della ricorrente).
La ricorrente -dopo aver premesso che l’istituto della prelazione agraria limita, di fatto, l’autonomia negoziale del venditore -ricorda che la consolidata giurisprudenza di legittimità, nell’affrontare il problema della scelta tra due diversi titolari del diritto di prelazione (e di riscatto), ha più volte affermato che tale scelta è rimessa al giudice di merito. Questi, però, nell’esercitare tale potere, deve avere come bussola la ratio della norma, che è quella di preferire il soggetto che meglio possa garantire l’ampliamento delle dimensioni dell’azienda, le esigenze di ricomposizione fondiaria e l’efficienza tecnica ed economica delle unità produttive. E tanto a prescindere dalla priorità temporale dell’acquisto e dall’eventuale preferenza del venditore. A questi criteri si era correttamente conformato il giudice di primo grado, mentre quello di secondo grado ha scelto arbitrariamente il criterio della libertà contrattuale. L’art. 7 del d.lgs. n. 228 del 2001 ha introdotto regole di legge per esprimere la preferenza per l’uno o l’altro dei potenziali acquirenti; ma, nell’impossibilità di risolvere il conflitto grazie ad esse, dovrebbero risorgere, secondo la ricorrente, le regole indicate dalla pregressa giurisprudenza di legittimità. Ed anche la più recente giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il giudice di merito, in presenza di una pluralità di coltivatori diretti tutti confinanti col fondo rustico messo in vendita,
dovrà scegliere chi preferire in base alla maggiore attitudine a realizzare l’obiettivo per il quale la prelazione è stabilita.
Il criterio seguito dalla Corte d’appello, invece, non sarebbe stato mai indicato dalla giurisprudenza e la sentenza impugnata sarebbe affetta anche dal vizio della motivazione apparente, con conseguente nullità della stessa.
1.1. Il motivo è fondato per una serie di concorrenti ragioni.
1.2. Il problema del concorso tra più titolari del diritto di prelazione e del conseguente diritto di riscatto agrario non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha in più occasioni affermato che in presenza di una pluralità di coltivatori diretti proprietari di terreni diversi, tutti confinanti con il fondo rustico posto in vendita, a ciascuno dei medesimi spetta il diritto di prelazione e riscatto di cui all’art. 7, secondo comma, n. 2), della legge n. 817 del 1971. Ne consegue che, ove si verifichi una situazione di conflittualità, per effetto dell’esercizio della prelazione o riscatto da parte di due o più dei predetti confinanti, è compito riservato al giudice del merito la scelta del soggetto preferito, che dovrà accordare prevalenza ad uno piuttosto che agli altri aspiranti alla prelazione, alla stregua della maggiore o minore attitudine a concretare la finalità perseguita dalla citata norma e, cioè, l’ampliamento delle dimensioni territoriali dell’azienda diretto -coltivatrice che meglio realizzi le esigenze di ricomposizione fondiaria, di sviluppo aziendale e di costituzione di unità produttive efficienti sotto il profilo tecnico ed economico. Il giudice di merito, quindi, in funzione del compimento della scelta da operare per la soluzione del suddetto conflitto fra posizioni di diritto soggettivo, deve prescindere dalla priorità temporale dell’iniziativa dell’uno o dell’altro confinante, come anche dalle eventuali preferenze espresse dal venditore, mentre è tenuto a valutare l’entità, le caratteristiche topografiche, fisiche e colturali dei terreni in possibile accorpamento, l’esuberanza della forza lavoro che i
confinanti siano in grado di riversare sul fondo in vendita, nonché la stabilità nel tempo che l’azienda da incrementare possa assicurare, considerando, altresì, che, in esito a tale indagine, deve ritenersi consentito, ove il terreno in alienazione sia costituito da una pluralità di poderi o di unità produttive funzionalmente autonome, anche un accorpamento per porzioni distinte in favore di più confinanti (così la sentenza 20 gennaio 2006, n. 1106, più volte confermata in seguito; v., da ultimo, l’ordinanza 16 marzo 2021, n. 7292).
Tale giurisprudenza -alla quale la pronuncia odierna intende dare ulteriore continuità -si è determinata prima che entrasse in vigore l’art. 7 del d.lgs. n. 228 del 2001 richiamato dalla Corte d’appello nella sentenza qui in esame. Questa norma, applicabile nell’odierna fattispecie ratione temporis , non ha affatto rivoluzionato i criteri già contenuti nell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e nell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, quanto ne ha introdotti di altri, più moderni e al passo dei tempi. Recita l’art. 7 del d.lgs. n. 228 del 2001, infatti, che ai fini dell’esercizio dei diritti di prelazione e riscatto agrario, «nel caso di più soggetti confinanti, si intendono, quali criteri preferenziali, nell’ordine, la presenza come partecipi nelle rispettive imprese di coltivatori diretti e imprenditori RAGIONE_SOCIALE a titolo principale di età compresa tra i 18 e i 40 anni o in cooperative di conduzione associata dei terreni, il numero di essi nonché il possesso da parte degli stessi di conoscenze e competenze adeguate ai sensi dell’articolo 8 del regolamento (CE) n. 1257/99 del Consiglio, del 17 maggio 1999» (rileva la Corte, incidentalmente, che l’art. 7 ora indicato è stato nel frattempo abrogato dall’art. 8, comma 2, della legge 15 marzo 2024, n. 36, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 2024, chiaramente inapplicabile alla presente fattispecie).
1.3. La Corte d’appello di Bari non ha fatto buon governo dei principi enunciati da questa Corte e non ha correttamente
interpretato l’art. 7 del d.lgs. n. 228 del 2001. Partendo dal dato di fatto per cui nessuno dei due potenziali acquirenti godeva del requisito di preferenza basato sull’età -non potendo fare affidamento nessuno dei due su coltivatori diretti o imprenditori RAGIONE_SOCIALE di età compresa tra i 18 e i 40 anni -la Corte barese ha ritenuto che tanto fosse sufficiente a far emergere il criterio della libera scelta da parte del venditore.
Tale conclusione è errata sotto molteplici aspetti. Da un lato, infatti, non è stata vagliata in alcun modo l’eventuale esistenza di qualcun altro dei criteri preferenziali indicati dalla citata norma; dall’altro si è ritenuto che la mancanza dei requisiti di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 228 del 2001 imponesse di risolvere il conflitto dando la preferenza all’autonomia negoziale del venditore. Senza contare -principio che è qui opportuno ribadire -che i criteri enunciati dalla giurisprudenza sopra citata mantengono intatta la loro validità; le ulteriori indicazioni aggiunte dalla normativa più recente valgono a completare il quadro, ma gli obiettivi di fondo del sistema della prelazione e del riscatto agrario rimangono quelli già indicati, costituiti dall’ampliamento delle dimensioni territoriali dell’azienda diretto -coltivatrice che meglio realizzi le esigenze di ricomposizione fondiaria, di sviluppo aziendale e di costituzione di unità produttive efficienti sotto il profilo tecnico ed economico. E in nessun caso potrà essere utilizzato, come criterio discretivo, quello della priorità temporale dell’iniziativa dell’uno o dell’altro confinante o quello dell’eventuale preferenza espressa dal venditore.
A tali considerazioni va aggiunto, ad abundantiam , che la Corte d’appello ha censurato la sentenza di primo grado osservando che il c.t.u. aveva affermato cose prive di riscontro; ma non è dato comprendere dal testo complessivo della motivazione quali siano le ragioni di tale affermazione, anche perché la sentenza del Tribunale, a quanto la sentenza d’appello riporta,
parrebbe essersi conformata alla citata giurisprudenza di questa Corte.
Ogni decisione sulla scelta del confinante da preferire deve essere, dunque, rimessa al giudice di rinvio, alla luce delle indicazioni contenute nella presente decisione.
L’accoglimento del ricorso principale determina l’assorbimento della censura in ordine alla liquidazione delle spese (che la parte indica alla p. 16 del ricorso, pur senza farne oggetto di un autonomo motivo).
Ricorso incidentale (condizionato).
Dal tenore della decisione sul ricorso principale deriva la necessità di esaminare il ricorso incidentale condizionato.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 228 del 2001, in ordine alla sussistenza dei requisiti per l’esercizio del riscatto agrario.
Il ricorrente osserva di aver a suo tempo rilevato, come motivo di appello, che la domanda della COGNOME doveva essere rigettata perché ella non risultava iscritta alla sezione speciale dei coltivatori diretti della Provincia di Foggia. La motivazione resa dalla Corte d’appello per rigettare quel motivo non sarebbe condivisibile, perché ai sensi del citato art. 2 colui il quale intende far valere, nei confronti dei terzi, la sua qualità di coltivatore diretto deve essere obbligatoriamente iscritto alla menzionata sezione speciale. Prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 228 del 2001, infatti, quell’iscrizione aveva una mera funzione di certificazione anagrafica; ma alla luce della riforma, invece, detto requisito è divenuto obbligatorio. Ne consegue che la domanda di riscatto proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto comunque essere rigettata.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione apparente, ai sensi dell’art. 132, n. 4),
cod. proc. civ., in relazione al riconoscimento della conduzione materiale dei fondi richiesta dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965 per l’esercizio del riscatto.
Il ricorrente ricorda di aver chiesto, come motivo di appello, il rigetto della domanda di riscatto proposta dalla RAGIONE_SOCIALE perché era emerso dalle prove che ella non si dedicava direttamente alla coltivazione dei terreni. La motivazione resa dalla Corte d’appello sarebbe, sul punto, del tutto assente, perché la sentenza non ha indicato le ragioni di infondatezza del motivo. Il ricorrente, pertanto, invoca la nullità della sentenza per motivazione del tutto apparente.
5. I motivi sono entrambi fondati, per quanto di ragione.
In ordine al primo, la Corte osserva che la motivazione resa dalla Corte di merito dimostra che essa non ha colto il problema posto dal COGNOME. Questi, infatti, aveva chiesto al giudice di secondo grado di rigettare la domanda di riscatto proposta dalla COGNOME poiché ella non risultava iscritta alla Sezione speciale coltivatori diretti presso la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di Foggia.
La Corte barese, esaminando la censura, ha richiamato il principio enunciato dalla sentenza 8 gennaio 2020, n. 123, di questa Corte, secondo cui, ai fini della prova della qualità di coltivatore diretto necessaria per l’esercizio del diritto di prelazione, non è sufficiente l’iscrizione negli elenchi dei coltivatori diretti del RAGIONE_SOCIALE unificati (RAGIONE_SOCIALE).
Il principio è corretto, ma non risponde alla domanda posta dall’appellante, il quale aveva chiesto alla Corte d’appello di esaminare la portata innovativa di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 228 del 2001, punto sul quale la motivazione è del tutto assente.
Il secondo motivo, poi, è pure fondato.
Anche su questo punto, infatti, la motivazione resa dalla Corte d’appello è sostanzialmente inesistente. Il COGNOME, infatti, aveva eccepito che la COGNOME non era in condizioni di esercitare il diritto
di riscatto, perché non si dedicava direttamente alla coltivazione dei terreni, limitandosi la sua attività alla raccolta delle olive. Ed è pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che il retraente deve provare di essere in possesso di tutti i requisiti fissati dalla legge per l’esercizio del riscatto; fra i quali, ovviamente, lo svolgimento dell’attività di coltivatore diretto. La Corte d’appello ha risposto al quesito enunciando il principio secondo cui la prova di tale qualità deve essere fornita in concreto; affermazione esatta, che però non risponde al motivo di appello.
In conclusione, sono fondati sia il ricorso principale che quello incidentale condizionato.
La sentenza impugnata è cassata e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione personale, la quale deciderà il merito dell’appello attenendosi al principio di diritto indicato a proposito del ricorso principale e colmerà le lacune evidenziate dal ricorso incidentale.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese dell’odierno giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e quello incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza