Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2034 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 2034 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14682/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE RUSSO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso la SENTENZA di TRIBUNALE TORRE ANNUNZIATA n. 1847/2020 depositata il 29/11/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1.- NOME COGNOME al rientro da un volo San Pietroburgo -Palermo, ha ricevuto i suoi bagagli con due giorni di ritardo. Egli ha dunque citato in giudizio davanti al Giudice di pace di Sorrento la compagnia RAGIONE_SOCIALE per vedersi riconosciuto il risarcimento del danno connesso a tale ritardo. Oltre alla somma forfettaria prevista per il caso di ritardo nella consegna, il COGNOME ha altresì chiesto il risarcimento di danni patrimoniali ulteriori, ossia di alcune spese che asserisce di aver dovuto affrontare a causa della ritardata consegna dei
bagagli.
2.- Il Giudice di Pace ha accolto la domanda liquidando 398,21 euro.
3.- La decisione è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE, ed il Tribunale di Sorrento, in secondo grado, ha ridotto il risarcimento a 391,28 euro. Il Tribunale ha escluso il risarcimento dei danni ulteriori, ossia delle spese che il passeggero sosteneva di essere stato costretto a sostenere a causa del ritardo nella consegna dei bagagli: il Tribunale le ha ritenute non provate.
4.- Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi di ricorso, illustrati da memoria, cui ha fatto seguito il controricorso del Palumbo, anche esso illustrato da memoria.
Il PG ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione dell’articolo 30 della Convenzione di Varsavia. La tesi è la seguente.
Il Tribunale ha riconosciuto una somma forfettaria di 380,00 euro (cioè 19 euro per 20 kg di bagaglio), per il ritardo in sé, senza che vi fosse alcuna prova di una qualche conseguenza dannosa di tale ritardo, e ciò a dispetto della stessa premessa secondo cui il danno è risarcibile solo se provato.
In realtà, secondo la società ricorrente, il danno risarcibile in caso di ritardo nella consegna dei bagagli non è in re ipsa , non è cioè nel ritardo in quanto tale, ma presuppone che si siano prodotte conseguenze dannose ulteriori, che vanno allegate e dimostrate.
Né può farsi applicazione analogica della regola prevista per il caso di cancellazione del volo, ove effettivamente una somma è riconosciuta per la cancellazione in sé, in quanto tale ipotesi è eccezionale rispetto al principio per cui non può risarcirsi il danno in re ipsa , e dunque non applicabile analogicamente a casi simili (come precisato da Cass. 9474/ 2021).
2.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 1223, 2059, 1226 c.c.
La questione è quella già esposta con il primo motivo: l’avere liquidato il danno in re ipsa , ossia senza allegazione e prova delle conseguenze dannose del ritardo, ha costituito altresì violazione dell’articolo 1223 c.c.
Si evidenzia che l’importo previsto dalla Convenzione di Varsavia non costituisce un importo risarcitorio forfettario <>.
Con la conseguenza che, a prescindere dalla Convenzione di Varsavia, il risarcimento per il ritardo del bagaglio presuppone
che ne sia derivata effettivamente una conseguenza dannosa, in base ai principi generali del diritto della responsabilità civile. Inoltre, tra queste conseguenze dannose non è annoverabile il danno non patrimoniale, in quanto quest’ultimo presuppone la lesione di un interesse costituzionalmente protetto.
Né, in ipotesi, il risarcimento della mera lesione dell’interesse potrebbe essere giustificato dal ricorso al criterio equitativo, che presuppone pur sempre la difficoltà di prova del danno, e dunque dà per implicito che un danno si sia verificato.
3.Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2697 c.c.
La medesima questione è questa volta prospettata sotto il profilo della violazione delle regole sull’onere della prova.
L’aver risarcito la lesione in sé, prescindendo dalle conseguenze dannose, ha significato violazione della regola per cui è onere del danneggiato provare il danno, regola dunque aggirata dal riconoscimento di un risarcimento che prescinde da quelle conseguenze.
4.- Il quarto motivo lamenta nullità della sentenza per difetto di adeguata motivazione.
E verte sempre sulla medesima questione: il giudice di merito ha riconosciuto il risarcimento, ma senza dare adeguata ragione del fatto di averlo ancorato al mero ritardo, senza alcuna relazione con le conseguenze dannose.
I motivi vertono su una questione comune. Può farsene scrutinio unitario.
Essi sono infondati e vanno rigettati nei termini di seguito indicati.
La questione è -come detto- se il risarcimento sia giustificato dal ritardo in sé o se invece presupponga delle conseguenze dannose, sicché nel primo caso è sufficiente il ritardo a giustificare il risarcimento mentre nel secondo occorre che il
passeggero dimostri di aver subito un danno al patrimonio a cagione del detto ritardo.
La questione va risolta nel primo senso, per le ragioni che seguono.
Innanzitutto, va sgomberato il campo dall’equivoco di attribuire alla decisione impugnata rationes decidendi che invece non le appartengono.
Intanto, l’idea che il risarcimento va elargito per il ritardo in sé non deriva dalla applicazione analogica della medesima regola prevista per la cancellazione del volo, e dunque non vi è bisogno di invocare il divieto di applicazione di norme eccezionali.
Ciò in quanto l’analogia presuppone una lacuna, mentre nella fattispecie c’è una regola apposita: il caso in questione ha una sua disciplina, quella, per l’appunto, della Convenzione di Varsavia (segnatamente gli articoli 18 e ss.) e dunque l’analogia è esclusa in radice. Si tratta quindi di stabilire se il ritardo produce risarcimento di per sé sulla base delle norme che regolano questa fattispecie, e non già sulla base della applicazione analogica di norme che si riferiscono a fattispecie diverse.
In secondo luogo, il danno non patrimoniale non è mai stato chiesto: il passeggero ha semmai preteso un danno patrimoniale ulteriore rispetto al ritardo, che tuttavia è stato negato dai giudici di merito, per difetto di adeguata prova.
Ciò detto, la questione posta con i motivi di ricorso deve essere risolta nei seguenti termini.
Ovviamente non è negabile che, secondo gli ordinari principi del diritto civile, e della responsabilità civile segnatamente, il risarcimento presuppone non la mera lesione di un interesse protetto, ma presuppone che da quella lesione siano derivate conseguenze dannose risarcibili, anche se non mancano casi,
che sono eccezionali e la cui ratio non è dunque estensibile ad altri, in cui l’ordinamento accorda risarcimento per la mera lesione dell’interesse protetto, e dunque considera il danno, in quei casi, come in re ipsa (articoli 924, 925 c.c., ad esempio).
In giurisprudenza si è d’altro canto pervenuti a risarcire un danno senza che vi fosse un interesse protetto leso, come nella nota vicenda del <> (a partire da Cass. 2765/1982).
Ciò per dire, che, pur non potendo negarsi che il risarcimento presuppone un danno quale conseguenza della lesione di un interesse, in alcuni settori del traffico giuridico, norme speciali possono prevedere una disciplina derogatoria.
Ed è ciò che fanno le Convenzioni internazionali sul trasporto aereo.
Prevedono infatti un regime speciale di ristoro per il passeggero in deroga spesso alle norme civilistiche sul risarcimento: la stessa società ricorrente cita il caso della cancellazione del volo, che è ipotesi in cui viene riconosciuto un ristoro per il fatto stesso della cancellazione e dunque, <> (cosi Cass. 9474/ 2021).
La questione è dunque se in base alla Convenzione di Vienna possa affermarsi che un risarcimento debba essere accordato per il semplice ritardo, a prescindere da conseguenze dannose ulteriori, che semmai giustificano un risarcimento diverso ed ulteriore.
La norma di riferimento è l’articolo 19 della Convenzione che prevede che <>.
L’art. 20, poi specifica che, in tal caso, il risarcimento è dovuto nella misura massima di 250 franchi (approssimativamente 20 euro) per chilogrammo.
Gli argomenti addotti dalla ricorrente presuppongono che tali disposizioni siano intese come se si riferissero al risarcimento del danno inteso come un rimedio che, reagendo a un fatto illecito (contrattuale o extra), tende ad una equivalenza monetaria con il danno. Ma non sempre il rimedio che il diritto appresta tende ad equivalere monetariamente al danno: vi sono casi in cui è accordata una condanna pecuniaria, attraverso una liquidazione legale del danno, che prescinde da detta equivalenza e viene forfettariamente determinata, sulla base di un criterio (nella specie, il peso del bagaglio) che non tende ad equivalere ad una perdita effettiva, non tende ad essere l’equivalente monetario di una perdita specifica.
La natura forfettaria di tale risarcimento, misurato sul peso del bagaglio, criterio indifferente rispetto alle conseguenze dannose ulteriori (ossia, si possono verificare perdite maggiori anche per il ritardo di bagagli leggeri), sta a significare che la Convenzione di Varsavia considera danno il ritardo di per sé, prevedendo la condanna pecuniaria del vettore inadempiente, ferma restando la possibilità che, se il ritardo ha provocato ulteriori danni (es., vi erano documenti da produrre in un dato termine, la necessità di comprare vestiti in luogo di quelli non arrivati in tempo), essi vanno ulteriormente risarciti.
La condanna pecuniaria prevista dalla Convenzione non esclude, ed è questo il punto, che possano risarcirsi danni ulteriori, sicché la somma di denaro che la Convenzione prevede non è a ristoro di quei danni ulteriori, ma proprio del ritardo in sé.
Il risarcimento forfettario, del resto, non è risarcimento in re ipsa , che è altra cosa: è risarcimento presunto. La legge
presume che nel ritardo vi sia un danno, ed esonera dalla prova di esso il viaggiatore, accordando una somma forfettaria. Il danno presunto è cosa diversa dal danno in re ipsa : quest’ultimo consiste nella mera lesione dell’interesse protetto, ed è accordato dunque a prescindere dal fatto che da quella lesione si siano prodotte conseguenze dannose; il danno presunto consiste invece in una conseguenza dannosa che è dalla legge presuntivamente ricollegata alla lesione dell’interesse; dunque nel primo caso il risarcimento prescinde dalla conseguenza, nel secondo la pretende, ma la presume.
Né può sostenersi che la Convenzione si limiti a predeterminare l’ammontare massimo della somma da corrispondersi, in quanto assume fondamentale rilievo al riguardo la previsione di un ristoro di ammontare non commisurato all’effettiva perdita subita, bensì presuntivamente dovuta in misura forfettariamente determinata.
Il fatto che il sistema forfettario prescinda dall’esatta commisurazione della perdita subita non esclude invero la relativa natura di rimedio.
Il sistema dei rimedi è infatti vario, essendo costituito non solo dal risarcimento dell’equivalente pecuniario della perdita, ma anche dall’indennizzo, che ha funzione diversa dal risarcimento e spesso vale proprio a rimediare alla pura lesione (ed altresì da istituti quali le astreintes , la pena priva ecc. ).
Orbene, va a tale stregua conclusivamente osservato che ben è configurabile una condanna pecuniaria come nella specie non equivalente alla specifica perdita patrimoniale subita.
All’infondatezza del motivo consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 350,00 euro, di cui euro 150,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 18/12/2024.