Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 162 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 162 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25946/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
Contro
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ANCONA n. 1030/2021 depositata il 17/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G. 25946/2021
COGNOME
Rep.
C.C. 27/11/2023
C.C. 14/4/2022
RESPONSABILITÀ CIVILE GENERALE.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Ascoli Piceno, NOME COGNOME chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in euro 250.000 o nella somma ritenuta di giustizia, cagionati da una denuncia precedentemente presentata dal convenuto, a seguito della quale era stato aperto un procedimento penale a carico dell’attore, conclusosi poi con l’archiviazione.
A sostegno della domanda NOME COGNOME espose, tra l’altro, di essere stato incaricato, quale collaboratore esterno del Comune di Venarotta, di esaminare le pratiche relative agli eventi sismici del 2009 e che, nell’espletamento di tale attività, aveva riscontrato numerose irregolarità su un fabbricato e ne aveva fatto relazione al Sindaco, indicando il nominativo del progettista e del direttore dei lavori delle opere irregolari realizzate, il quale, secondo gli atti del Comune e dell’Ufficio del Genio Civile, risultava essere l’ing. NOME COGNOME.
Aggiunse che quest’ultimo aveva sporto denuncia nei suoi confronti per averlo falsamente individuato quale direttore dei lavori di un’opera edificata in violazione delle più basilari norme sismiche in vigore, e che a seguito di tale denuncia il P.M. aveva aperto un procedimento a carico dell’attore per falso in atto pubblico, abuso di ufficio e diffamazione, procedimento poi terminato con l’archiviazione.
Si costituì in giudizio NOME COGNOME chiedendo il rigetto della domanda.
Il convenuto osservò di non essere mai stato nominato direttore dei lavori strutturali sull’edificio in oggetto, né dai proprietari dello stesso né dall’impresa esecutrice dei predetti lavori e che presso il Comune di Venarotta era presente un documento allegato alla richiesta di concessione edilizia, sottoscritto dal proprietario, dal progettista e dallo stesso convenuto, unicamente
nella qualità di direttore dei lavori architettonici, senza che fosse sussistente alcun riferimento ai lavori strutturali e alla loro direzione. Chiese poi, in via riconvenzionale, che l’attore fosse condannato al risarcimento dei danni in suo favore.
Espletata istruttoria orale, il Tribunale rigettò sia la domanda principale che quella riconvenzionale e compensò le spese di lite.
La pronuncia è stata impugnata da NOME COGNOME e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 17 settembre 2021, ha rigettato l’appello, ha confermato integralmente la sentenza di primo grado ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado.
La Corte territoriale ha innanzitutto chiarito che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, non possono farsi ricadere sul denunciante le conseguenze dell’assenza di prova in ordine anche a uno solo degli elementi costitutivi del reato di calunnia, per il quale è richiesto, in capo al denunciante, il dolo inteso come piena consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato. Ragione per cui il reato va escluso quando il denunciante abbia agito con colpa, costituita da leggerezza, mancanza di riflessione, avventatezza o errore.
Ciò premesso, ha evidenziato la Corte che l’COGNOME aveva sempre dichiarato di aver ricevuto, in relazione ai lavori realizzati sull’edificio in oggetto, l’incarico professionale esclusivamente per la progettazione architettonica e strutturale delle opere relative alla riparazione del tetto e al risanamento dell’umidità delle murature, mentre non aveva ricevuto l’incarico di direttore dei lavori nella fase di esecuzione delle opere progettate. Tale affermazione era convalidata dalla circostanza che sia presso gli Uffici del Comune sia presso quelli del Genio Civile non ci fosse alcuna documentazione che lo indicava come direttore dei lavori strutturali. La Corte territoriale, pur ammettendo che il convenuto veniva indicato quale direttore dei lavori nella documentazione
necessaria ad avviare le opere di ristrutturazione, ha precisato che quel dato risultava smentito dalle prove orali raccolte, in particolare dalle testimonianze di NOME COGNOME e di NOME COGNOME. In riferimento, invece, alla testimonianza di NOME COGNOME il quale aveva dichiarato che NOME COGNOME si recava sui luoghi per verificare l’esecuzione dei lavori, la Corte ha ritenuto di non poterle attribuire attendibilità, a fronte della discordanza tra quanto dichiarato nel corso del giudizio civile e quanto affermato in sede di sommarie informazioni alla Polizia Giudiziaria.
La sentenza, infine -dando rilievo alla circostanza che il P.M. aveva fondato la richiesta di archiviazione della denuncia dell’COGNOME sul mancato riscontro di elementi idonei a sostenere l’accusa a carico di NOME COGNOME in giudizio, quanto meno sotto il profilo dell’elemento psicologico dei reati prospettati ha aggiunto che, per poter affermare il carattere calunnioso dell’esposto dell’COGNOME, si sarebbe dovuta dimostrare la consapevolezza, in capo a lui, del l’assoluta innocenza dell’attore per la totalità dei fatti ivi denunciati, mentre in causa ci si era limitati a vagliare l’aspetto della sussistenza del ruolo di direttore dei lavori in capo al denunciante.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato a tre motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2699 cod. civ., con riguardo alla prova basata sui documenti depositati presso il Comune di Venarotta e presso il Genio Civile, la violazione degli artt. 2702 cod. civ., 132, secondo comma, n. 4) e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001 sulla disciplina e responsabilità del direttore dei
lavori, per avere la Corte d’appello stabilito che, secondo le risultanze dell’istruttoria, orale non era stato provato che NOME COGNOME fosse direttore dei lavori strutturali anche in fase di esecuzione degli stessi.
Osserva il ricorrente che, secondo la legge e secondo la documentazione prodotta, l’incarico di direttore fu accettato e conferito dal resistente dall’inizio fino al termine dell’opera, poiché le uniche circostanze che fanno venir meno l’incarico prima del completamento dell’opera di regola sono la revoca, le dimissioni, la morte o la perdita della capacità di intendere e di volere, situazioni che nella vicenda per cui è causa non si erano verificate. Rileva inoltre il ricorrente che da nessun atto, verbale o dichiarazione testimoniale risulterebbe che l’incarico di direttore fosse stato accettato solo per iniziare i lavori e sostiene che vi sarebbe vizio di motivazione perché la qualità di direttore dei lavori in capo all’ing. COGNOME risultava dagli atti esistenti presso il Comune di Venarotta e il Genio civile.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Nonostante il ricorrente censuri formalmente la violazione delle norme sulla valenza probatoria dell’atto pubblico e della scrittura privata, in realtà il motivo si limita a contestare in via diretta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui non è stato provato che NOME COGNOME fosse direttore dei lavori strutturali durante la fase dell’esecuzione degli stessi, al fine di poter ottenere una nuova valutazione di tale aspetto che, in quanto attinente al merito, non è ammissibile in sede di legittimità.
Deve peraltro aggiungersi che, come correttamente ha osservato la Corte d’appello, il presupposto della domanda risarcitoria avanzata dal COGNOME contro l’COGNOME è costituito dall’affermazione del comportamento asseritamente calunnioso che quest’ultimo avrebbe assunto sporgendo la denuncia poi archiviata. Ed è evidente che, ove anche fosse stata dimostrata la circostanza
fattuale di cui si discute nel motivo in esame, ciò non potrebbe comunque giovare alla tesi del ricorrente, posto che non consentirebbe di dimostrare il dolo di calunnia in capo alla controparte.
Quanto, invece, alla prospettata anomalia della motivazione -che secondo la ricostruzione del ricorrente sarebbe assente -questa Corte si limita a ribadire la propria costante giurisprudenza in base alla quale, per essere tale vizio censurabile in sede di legittimità, occorrerebbe la mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, il contrasto tra affermazioni inconciliabili ovvero una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Ed è palese che la sentenza impugnata non è affatto gravata dalle anomalie che il ricorrente pretende di addebitarle.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2722 e 2725 cod. civ., dell’art. 246 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello attribuito a NOME COGNOME la qualità di teste, prendendo in considerazione le sue dichiarazioni in contrasto con la documentazione, nonché violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4), e 116 cod. proc. civ. ed ancora per violazione dell’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001, che disciplina la responsabilità del direttore dei lavori.
Il ricorrente, dopo aver premesso che il Tribunale aveva ammesso erroneamente le prove testimoniali, nonostante esse fossero vertenti sui medesimi fatti risultanti dai documenti, osserva che i giudici di merito avrebbero attribuito alle dichiarazioni testimoniali maggior valore rispetto al contenuto degli atti pubblici e scritture private prodotti e lamenta che la sentenza impugnata avrebbe indebitamente omesso di fondare il proprio convincimento
su fatti risultanti da documenti facenti piena prova, a fronte del contrasto con gli elementi risultanti dalle testimonianze.
Il ricorrente contesta la qualità di teste di NOME COGNOME denunciandone l’assenza di terzietà rispetto al resistente, e contesta specificamente la veridicità del contenuto della testimonianza da lui resa, cui la Corte avrebbe erroneamente dato grande rilievo. Lamenta, inoltre, che non sarebbe stato dato peso alla testimonianza di NOME COGNOME e al verbale di sommarie informazioni di NOME COGNOME contenuto nel fascicolo penale, dai quali risultava che NOME COGNOME si recava sui luoghi per verificare lo stato e l’esecuzione dei lavori.
2.1. Il motivo è inammissibile per una serie di concorrenti ragioni.
È impropria la censura di presunta violazione dell’art. 246 cit. e delle norme relative alla prova testimoniale, dal momento che le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito, nella recente sentenza 6 aprile 2023, n. 9456, che, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., non è rilevabile d’ufficio l’incapacità a testimoniare; pertanto, nel caso in cui la parte non eccepisca tale presunta incapacità prima dell’ammissione del mezzo, detta eccezione sarà definitivamente preclusa, senza che poi possa essere presentata nel caso in cui il mezzo sia ammesso ed assunto, eccezione di nullità della prova. In quella sentenza è stato anche aggiunto che, qualora la parte abbia formulato l’eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso la prova e abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell’art. 157 cod. proc. civ., l’interessato ha l’onere di eccepire subito dopo l’escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità.
Il ricorrente non ha documentato in alcun modo di aver effettuato simili contestazioni in sede di merito, per cui ogni ipotetica questione di incapacità a testimoniare è ormai irrilevante.
Quanto al resto, le contestazioni sull’inattendibilità dei testimoni e sulla veridicità delle loro deposizioni hanno ad oggetto aspetti che rientrano nella valutazione discrezionale del giudice e che non sono ulteriormente rivalutabili in sede di legittimità. Ed è comunque evidente che il motivo in esame, benché formulato con la prospettazione di una serie di violazioni di legge, finisce col risolversi nel tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito esame del merito, attraverso una valutazione di maggiore o minore attendibilità dei testimoni escussi.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., l’omesso esame di una prova documentale, l’omesso esame di un fatto storico decisivo, cioè la contabilità finale, la cui esistenza risulterebbe dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione, nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132, comma secondo n. 4) e 116 cod. proc. civ., per omessa motivazione sulle medesime circostanze.
Il ricorrente, dopo aver ribadito che, secondo la sopra menzionata documentazione, NOME COGNOME fu nominato direttore dei lavori e, in assenza di dimissioni o revoca, mantenne tale incarico fino al completamento dell’opera, rileva che da un documento estratto dal fascicolo penale e sottoscritto dal resistente, risulterebbe che l’COGNOME redasse la contabilità finale dell’opera, comprensiva delle somme spettanti all’impresa di NOME COGNOME attività tipicamente di competenza del direttore dei lavori strutturali. Il ricorrente lamenta che della sottoscrizione della contabilità finale da parte di NOME COGNOME non abbia tenuto conto in alcun modo la Corte, la quale ha anche omesso di
motivare su tale fatto, ritenuto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti.
3.1. Il motivo, parzialmente ripetitivo del primo, è parimenti inammissibile.
Da un lato, infatti, esso si presenta come un tentativo di ottenere dal giudice di legittimità una nuova valutazione delle prove, attività già compiuta in sede di merito e comunque preclusa a questa Corte. E questo a maggior ragione nel caso in esame, essendosi in presenza di una pronuncia c.d. doppia conforme (art. 348ter cod. proc. civ.), situazione nella quale è ancor più ristretta la possibilità di porre censure di vizi di motivazione.
Da un altro lato, come si è pure detto, il motivo mostra di non cogliere in modo adeguato la ratio decidendi della sentenza impugnata; la Corte d’appello ha rigettato la domanda osservando che non era stato dimostrato, in capo all’COGNOME, il dolo necessario per ritenere esistente il delitto di calunnia. Rispetto a tale carenza, è palese che la censura qui in esame è affatto inconferente, perché, se anche fosse dimostrato ciò che il ricorrente sostiene, non per questo la motivazione della Corte d’appello ne risulterebbe in qualche modo scalfita.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
Palesemente inammissibile è, poi, l’istanza di sospensione dell’esecuzione avanzata insieme al ricorso, posto che tale potere spetta al giudice di merito e non a questa Corte (art. 373, primo comma, cod. proc. civ.).
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, sopravvenuto a regolare i compensi professionali.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e l’istanza di sospensiva della sentenza di secondo grado e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 4.500, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza