Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26742 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 05244/2020
promosso da
NOME COGNOME e NOME COGNOME , quest’ultima in proprio e in qualità di procuratrice speciale di COGNOME NOME , COGNOME NOME e COGNOME NOME , in virtù di procura in atti, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in atti;
ricorrenti
contro
Comune di Mendicino, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 2211/2019, pubblicata il 18/11/2019 e notificata l’11/12/2019.
Udita la relazione della causa svolta all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 10/07/2025 dal Cons. NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 06/05/1985, i proprietari dei fondi occupati convenivano dinanzi al Tribunale di Cosenza il Comune di Mendicino, chiedendo la condanna dello stesso al risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione dei loro fondi, avvenuta in fasi e tempi diversi a seguito di decreti prefettizi di autorizzazione all’occupazione di urgenza, cui non era seguito alcun decreto di esproprio. Allegavano, in particolare che: una prima porzione del fondo, per l’estensione di 6.600 mq, era stata occupata a seguito di decreto prefettizio del 26/08/1975 e sulla stessa era stata realizzata la parte principale di un impianto sportivo, con lavori terminati, per tale parte, il 05/04/1980; poi, a seguito di delibera della Giunta del Comune, in data 30/10/1981, integrata con delibera del 03/02/1982, era stata occupata, tra l’altro, un’ulteriore porzione del fondo suddetto, per l’estensione di 80 mq, ai fini della sistemazione e del completamento dell’impianto sportivo, con ultimazione dei lavori occorsa il 26/08/1982; l’intera opera era stata collaudata nel 1984; essendo venuta meno l’efficacia del titolo legittimante l’occupazione dei terreni, senza l’adozione di alcun provvedimento di esproprio, doveva farsi luogo al risarcimento dei danni in ragione del valore commerciale delle aree. Aggiungevano che l’Amministrazione convenuta, con nota emessa in data 04/04/1991, aveva formulato una proposta di quantificazione dell’indennità di occupazione ed ablazione, così implicitamente rinunciando alla prescrizione.
Costituitosi il Comune convenuto e dato corso all’istruttoria anche mediante espletamento di consulenza tecnica d’ufficio in ordine alla stima delle porzioni immobiliari occupate, il Giudice di primo grado, con sentenza successivamente confermata dalla Corte di appello di Catanzaro, a seguito dell’impugnazione proposta dai proprietari dei terreni, ravvisava la sussistenza di due distinte attività ablatorie, l’una relativa alla più estesa porzione immobiliare dell’estensione di circa 6.600 mq, l’altra relativa all’occupazione della restante
parte dell’estensione di circa 80 mq; quanto all’occupazione della prima porzione, accogliendo l’eccezione proposta dal Comune convenuto, dichiarava la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, essendo decorso oltre un quinquennio dall’ultimazione dei lavori per l’allestimento dell’opera pubblica, momento in cui la porzione immobiliare doveva intendersi acquisita al patrimonio pubblico per effetto di occupazione così detta ‘ acquisitiva ‘ , produttiva dell’effetto di accessione invertita, senza che risultassero, con riferimento al quinquennio anteriore all’introduzione del giudizio, atti interruttivi del corso della prescrizione; quanto all’occupazione della seconda e più limitata porzione immobiliare, condannava il Comune di Mendicino al pagamento, con accessori e rivalutazione, dell’irrisorio risarcimento e dell’indennità per il periodo di occupazione legittima.
I proprietari dei terreni proponevano ricorso per cassazione contro la decisione della Corte di appello, affidato a due motivi di impugnazione.
Con ordinanza n. 7445/2016, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
In particolare, la S.C. riteneva fondato il primo motivo di doglianza, con il quale era stata denunciata la violazione degli artt. 2043, 2935, 2947 c.c., degli artt. 111 e 117 Cost., nonché dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU, per avere la Corte territoriale erroneamente fatto applicazione di principi giurisprudenziali superati, in quanto in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, ritenendo operante un’insussistente distinzione fra occupazione acquisitiva ed usurpativa, affermando che in presenza della prima fattispecie, a differenza che nella seconda, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria decorre, al più tardi, dalla data di irreversibile trasformazione del fondo.
Nell’ordinanza menzionata questa Corte evidenziava che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 735/015, avevano affermato che l’oc-
cupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della RAGIONE_SOCIALE, allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo – non coperto dall’eventuale occupazione legittima -durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione o della domanda di risarcimento per equivalente, che egli può esperire, in alternativa alla richiesta di restituzione, così abdicando alla proprietà del bene stesso, con la conseguenza che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, dalle singole annualità e, quanto alla reintegrazione per equivalente, dalla data della domanda.
RAGIONE_SOCIALE riteneva fondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale era stato denunciato l’ error in procedendo della decisione della Corte territoriale, nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile, per genericità, la censura che investiva il secondo capo della sentenza appellata, relativa alla ritenuta non edificabilità del terreno non edificabile.
Le attuali ricorrenti riassumevano il giudizio davanti alla Corte d’appello, che con ordinanza del 29/10/2017 disponeva CTU, per accertare il valore venale del fondo in oggetto alla data della domanda (06/05/1987) e quantificare l’indennità dovuta per le annualità di occupazione legittima del terreno.
Con ordinanza del 18/12/2018, veniva disposta la comparizione del CTU per acquisire le sue valutazioni sulle osservazioni tecniche delle parti appellanti.
Depositata la relazione definitiva in data 29/03/2019, la Corte d’appello, accogliendo l’impugnazione proposta contro la sentenza del Tribunale, condannava il Comune al risarcimento dei danni, pari ad € 6.772,00 per il valore del bene, ed al pagamento di € 10.929,89
per indennità di occupazione legittima, oltre spese e compensi dei giudizi.
Con riferimento al ristoro per la perdita del terreno, la Corte d’appello riteneva di dover far ricorso ai prezzi di mercato alla data della domanda, avente efficacia abdicativa, e faceva proprie le conclusioni del CTU, riportate in motivazione.
La menzionata Corte osservava che la determinazione indicata era stata operata dal consulente sulla scorta della metodologia sintetico-comparativa, all’esito di una analisi di mercato fondata (pagina 16 della relazione) sulle “ricerche effettuate presso la Conservatoria, l’Agenzia del territorio, l’Archivio notarile distrettuale di Cosenza” e quindi dal confronto con l’unico atto afferente ad aree simili e prossime a quelle in esame: negozio per notar COGNOME del 9 aprile 1992 con determinazione in un importo unitario a metro quadrato pari a lire 267. La predetta somma era stata poi rivisitata in ragione delle peculiari condizioni orografiche del sito e della sua spiccata vocazione agricola.
La stessa Corte precisava che la correttezza del metodo utilizzato dall’ausiliario non esime il giudice dal dovere di indicare i dati obiettivi sui quali ritiene di fondare la propria valutazione, al fine di consentire un controllo sulla congruità della motivazione, rientrando nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, con la precisazione che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice solo quando ne siano indicate le fonti, in modo tale che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20232 del 07/10/2016).
La medesima Corte rilevava che, nel caso in esame, il CTU aveva dichiaratamente preso in considerazione per la comparazione l’unico atto rinvenuto, senza che la difesa degli appellanti avesse individuato
ed indicato atti diversi da porre a base di – eventuale maggior quantificazione per le aree agricole similari, evidenziando che il CTU aveva, poi, dato atto delle motivazioni inerenti alla correzione in melius alla luce delle peculiari caratteristiche del sito.
Tutte questa considerazioni conducevano la Corte d’appello a ritenere corretta la determinazione in ordine al valore venale del bene al momento di introduzione della domanda di risarcimento dei danni per come sopra indicata.
La stessa Corte precisava che, trattandosi di debito di valore, la predetta somma doveva essere sottoposta a rivalutazione monetaria fino alla data della sentenza, con la precisazione che non dovevano essere aggiunti gli interessi sulla somma così determinata e anno per anno rivalutata in assenza di una specifica dimostrazione del danno da ritardo.
Con riferimento alla quantificazione dell’indennità spettante per il periodo di occupazione legittima, la Corte d’appello riteneva che dovesse riguardare solo l’area per prima occupata, essendo la richiesta limitata al periodo compreso tra il 1975 e il 1977, mentre la seconda occupazione era stata effettuata nel 1982, evidenziando che, proprio in ragione dell’arco temporale in rilievo, il parametro di valutazione non poteva essere offerto dal valore del terreno sopra indicato, ed afferente al 1987, quando era intervenuta la legislazione vincolistica ed era stato adottato il provvedimento di zonizzazione con individuazione della natura agricola dell’area. Al contrario, nel 1975, ricadendo le aree in questione al di fuori del perimetro urbano, vi era un indice di fabbricabilità pari a 0,1 mc/mq, con un rapporto tra le superfici coperte degli edifici e dei complessi produttivi non superiore ad un terzo dell’area di proprietà, sicché il CTU aveva individuato il valore del primo lotto di terreno occupato -avente natura parzialmente edificabile -stimandolo nell’importo complessivo pari a £ 45.294.737,35.
La Corte di merito, tenuto conto di ciò, nonché del fatto che la determinazione della predetta somma -operata con pregevole approfondimento metodologico analitico -era andata esente da critiche, riteneva di poter impiegare legittimamente tale valore per determinare l’indennità annuale, applicando la percentuale dell’8,33% (pari ad 1/12 per anno) rispetto al valore del bene. Ciò in conformità non solo alle disposizioni del d.P.R. n. 380 del 2001, ma anche alla normativa applicabile ratione temporis , ossia all’art. 20 l. n.8653 del 1971. Sulla somma determinata, pari a £ 3.774.561 , ossia € 1.949,00, per ciascuna annata, trattandosi di debito di valuta, sono stati poi previsti gli interessi dalla data di maturazione alla data di pubblicazione della sentenza.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, quest’ultima in proprio e in qualità di procuratrice speciale di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidato a quattro motivi di doglianza.
Il Comune si è difeso con controricorso, depositando anche una sintetica memoria difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione delle norme e dei principi giurisprudenziali -in riferimento al d.P.R. n. 380 del 2001, alla l. n. 865 del 1971, al d.P.R. n. 327 del 2001, alla l. n. 244 del 2007 e al d.l. n. 98 del 2011 -nella parte in cui la Corte d’appello, pur ritenendo operante la l. n. 865 del 1971, ha applicato norme e principi giurisprudenziali riferiti alla cd. acquisizione sanante, introdotti dall’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001, che fissa il criterio della somma costituita dal valore del bene al momento dell’emanazione del provvedimento di acquisizione o, in mancanza, alla data della domanda, con un incomprensibile richiamo al d.P.R. n. 380 del 2001, mentre invece la valutazione doveva es-
sere fatta al momento della scadenza del termine di occupazione legittima e dell’irreversibile trasformazione.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c., in riferimento all’accoglimento del secondo motivo di ricorso per cassazione, operato con l’ordinanza di questa Corte n. 7445/2016, per avere la sentenza impugnata recepito acriticamente la CTU, riproponendo meccanicamente le medesime motivazioni già censurate dalla S.C., riesumando i vincoli urbanistici introdotti successivamente all’occupazione e alla realizzazione dell’opera pubblica, mentre invece occorreva valutare la situazione esistente al momento in cui si compiva la vicenda ablativa.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 2043 c.c. e, in subordine degli artt. 32 e 43-bis d.P.R. n. 327 del 2001, poiché, in caso di occupazione legittima non seguita dall’emissione del decreto di esproprio, pur in presenza dell’irreversibile trasformazione del terreno, al proprietario spetta il risarcimento del danno da illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., mentre nel caso di specie il valore del fondo era stato determinato sulla scorta dei vincoli di piano introdotti con il PRG comunale, successivi alla realizzazione dell’impianto sportivo (sull’area più estesa per prima occupata) e delle strade di accesso a tale struttura (sull’area più piccola occupata per ultima), mentre, invece, il valore non poteva essere condizionato e parametrato ai vincoli derivanti dalla realizzazione dell’opera pubblica e delle strade, che ha annichilito lo ius edificandi preesistente e ha ridotto l’indennizzo ad un ristoro meramente simbolico ed irrisorio.
Per il caso di ritenuta applicazione retroattiva dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001, le ricorrenti hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24 e 43 Cost., anche con riferimento alla valutazione dei vincoli urbanistici intervenuti dopo la realizzazione dell’opera pubblica e in conseguenza della stessa.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui la Corte d’appello, nel dar conto delle risultanze acquisite con l’impiego del criterio sintetico-comparativo impiegato per determinare il valore dei terreni, non ha tenuto conto delle allegazioni delle ricorrenti contenute nel ‘preverbale di udienza del 03/04/2019’, ove queste ultime avevano contestato le risultanze peritali, depositando una consulenza tecnica giurata, formante parte delle note depositate, ove a p. 9 si dava atto che l’unico atto negoziale preso in considerazione del CTU riguardava un terreno distante circa 3 km dal campo sportivo, ben fuori del centro abitato, in un’area non urbanizzata, e venivano individuati altri atti negoziali comparabili, riferiti a terreni confinanti con quello occupato e in particolare:
vendita nel 1998 da parte degli stessi ricorrenti al COGNOME. COGNOME di un terreno adiacente all’impianto sportivo per la somma di £ 80.000.000 (con l’indicazione delle particelle catastali);
espropriazione da parte del Comune di Mendicino, per la costruzione della RAGIONE_SOCIALE, di un terreno adiacente al campo sportivo, ceduto con rogito del Segretario comunale del 23/11/1985 (con indicazione delle particelle);
espropriazione da parte del Comune di Mendicino di un terreno per la costruzione della INDIRIZZO, 2° tratto, adiacente al campo sportivo, in occasione della quale il terreno veniva stimato £ 4000 al mq e veniva stipulato, in data 12/06/2000, un atto di transazione per £ 46.208.132;
espropriazione da parte del Comune di Mendicino di un terreno di 4.300 mq per la realizzazione dello stesso impianto sportivo ricadente pure sul terreni dei ricorrenti (foglio 21, particella 558) e confinante con quest’ultimo, in relazione al quale, a seguito di una controversia sovrapponibile a quella presente, nelle more della riassunzione all’esito della cassazione con rinvio di questa Corte di legitti-
mità, avevano proceduto ad una transazione, che prevedeva la liquidazione ai proprietari dell’importo di £ 260.000.000.
Quest’ultimo dato, secondo le ricorrenti, era particolarmente rilevante per l’identità della zona e per il fatto che si trattava di area destinata alla costruzione dello stesso impianto sportivo.
Ad opinione delle menzionate parti, l’omessa valutazione, da parte del CTU, dei richiamati dati, agevolmente rinvenibili presso il Comune resistente, ha condizionato in modo determinante la decisione impugnata. E la sentenza ha, ancor più gravemente, omesso del tutto di esaminare i rilievi, gli elementi, i dati opposti dagli appellanti a confutazione della consulenza tecnica d’ufficio, affermando erroneamente che non era stato indicato alcun atto diverso da parte degli appellanti.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. La Corte d’appello nella pronuncia impugnata ha richiamato il principio enunciato dall’ordinanza di questa Corte che, nel cassare la prima decisione di appello, riferita alla decorrenza del termine prescrizionale, ha così statuito: «Il motivo appare manifestamente fondato. Le S.U. di questa Corte, con la sentenza n. 735/015, hanno infatti affermato che l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo – non coperto dall’eventuale occupazione legittima -durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene e sino al momento o della restituzione o della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso; con la conseguenza che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, dalle singole annualità e, quanto alla reintegrazione per equivalente, dalla data della domanda.»
La stessa Corte d’appello, ai fini della determinazione del valore del bene irreversibilmente trasformato ha, poi, ritenuto di dover focalizzare l’attenzione sulla data di introduzione della relativa domanda giudiziale avente efficacia abdicativa.
2.2. La sentenza delle Sezioni Unite appena richiamata è fondamentale, perché con tale pronuncia si è affermato che la necessità di interpretare il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in “buona e debita forma”, comporta che l’illecito spossessamento del privato da parte della RAGIONE_SOCIALE e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione, sicché il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto chiedendo il risarcimento del danno per equivalente (Cass., Sez. U, Sentenza n. 735 del 19/01/2015).
L’orientamento più risalente (Sez. U, Sentenza n. 6853 del 06/05/2003) riteneva, invece, quanto segue: a) la trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione ad opera pubblica o ad uso pubblico, determina l’acquisizione della proprietà alla mano pubblica; b) il fenomeno, in assenza di formale decreto di esproprio, ha il carattere dell’illiceità, che si consuma alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata (e, quindi, legittima), se nel frattempo l’opera pubblica è realizzata, oppure al momento della trasformazione, qualora l’ingerenza nella proprietà privata abbia già carattere abusivo, o se essa acquisti tale carattere, perché la trasformazione medesima avviene dopo la scadenza del periodo di occupazione legittima; c) l’acquisto a favore della p.a. si determina soltanto qualora l’opera sia funzionale ad una destinazione pubblicistica e ciò avviene solo per effetto di una dichiarazione di pubblica utilità formale o connessa ad un atto amministrativo che, per legge, produca tale effetto (in caso contrario, non si produce l’effetto acquisitivo a favore della
p.a. ed il proprietario può chiedere la restituzione del fondo occupato).
Le richieste delle ricorrenti esprimono l’orientamento oramai superato dalla giurisprudenza di legittimità a seguito della sentenza a Sezioni Unite del 2015 sopra riportata.
Nell’ottica di quest’ultima decisione, invece, sia nel caso di occupazione acquisitiva (quando alla dichiarazione di pubblica utilità -come nella specie -non segue il decreto di esproprio) sia nel caso di occupazione usurpativa (quando manca anche la dichiarazione di pubblica utilità), il proprietario ha diritto all’integrale ristoro del danno, che ricomprende la perdita del godimento del bene nel periodo di occupazione illegittima ed anche, ove non richieda la restituzione del bene, il controvalore dello stesso, così implicitamente rinunciando alla proprietà del bene proponendo tale domanda risarcitoria (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18142 del 06/06/2022).
In sintesi, la cd. occupazione acquisitiva o accessione invertita, che si verifica quando alla dichiarazione di pubblica utilità non segue il decreto di esproprio, è illegittima al pari della cd. occupazione usurpativa, in cui invece manca del tutto detta dichiarazione, ravvisandosi in entrambi i casi un illecito a carattere permanente (inidoneo a comportare l’acquisizione autoritativa alla mano pubblica del bene occupato), che cessa solo in caso di rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente. Tale ultimo danno va ristorato con riferimento al valore del bene al momento della domanda -che segna appunto la perdita della proprietà -e la somma risultante, trattandosi di debito di valore, deve essere sottoposta a rivalutazione monetaria fino alla data della sentenza, con possibilità di riconoscere sulla medesima somma rivalutata, quale lucro cessante, gli interessi decorrenti dalla data del fatto illecito (così Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12961 del 24/05/2018; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22929 del 29/09/2017; v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 905 del 14/01/2025).
2.3. Correttamente, dunque, la Corte d’appello, nel valutare il risarcimento del danno da perdita di proprietà dei terreni, conseguente alla loro occupazione illegittima per la realizzazione di un’opera pubblica, effettivamente eseguita (e non del danno conseguente alla perdita del godimento del bene durante il tempo dell’occupazione), ha tenuto conto del momento in cui è stata formulata la domanda giudiziale, perché solo da tale momento è possibile ritenere che sia cessato l’illecito permanente dato dall’occupazione illegittima, in ragione della rinuncia alla proprietà implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’ordinanza di questa Corte n. 7445/2016, che ha cassato con rinvio la prima decisione della Corte d’appello, nell’accogliere il secondo motivo di ricorso per cassazione, ha ritenuto fondata la censura che aveva prospettato un vizio processuale della sentenza impugnata, nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile un motivo di appello, che invece non è stato ritenuto tale.
In particolare, questa Corte ha statuito come segue: «Col secondo motivo, denunciando error in procedendo , i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia dichiarato inammissibile, per genericità, la censura che investiva il secondo capo della sentenza appellata. Anche questo motivo appare manifestamente fondato, atteso che dalla lettura dell’atto d’appello emerge che gli odierni ricorrenti avevano criticato la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto il terreno non edificabile, rilevando che la statuizione si discostava sia dalle conclusioni del ctu sia dai principi giurisprudenziali che, ai fini dell’accertamento della natura del fondo, fanno riferimento alla sua vocazione edificatoria ed al suo inserimento in un contesto urbanizzato. lnvero (nel regime processuale anteriore all’entrata in vigore del d. lgs. n. 83/2012, convertito dalla l. n. 134/ 2012, cui il giudizio è soggetto ratione temporis ), qualora l’atto d’appello denunci l’erronea valutazione da parte del giudice di primo
grado degli elementi probatori acquisiti o delle conclusioni del ctu, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione è sufficiente l’enunciazione dei punti sui quali si chiede al giudice del gravame il riesame delle risultanze istruttorie per la formulazione di un autonomo giudizio, non essendo richiesto che l’appello contenga una puntuale analisi delle valutazioni e delle conclusioni del primo giudice ovvero l’espressa menzione delle questioni decisive da questi non esaminate o non correttamente esaminate (cfr., fra molte, Cass. nn. 18674/ 2011, 15071/2012).»
Nessuna statuizione in ordine al merito della censura formulata con il motivo di appello è stata adottata, essendo stato accolto un motivo attinente a un prospettato vizio in procedendo , sicché il giudice del rinvio era del tutto libero di valutare la doglianza veicolata dal motivo di appello che ha dovuto esaminare per la prima volta.
Il terzo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.
4.1. Non attingono la ratio della decisione le censure riferite alla ritenuta applicazione retroattiva dell’art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001, che sicuramente non è stata operata dalla Corte di merito, la quale ha semplicemente valutato il pregiudizio cagionato dalla occupazione acquisitiva, inteso quale danno corrispondente alla perdita di valore della proprietà, a seguito della formulazione della corrispondente domanda.
Conseguentemente, le questioni di legittimità costituzionale dello art. 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001 devono ritenersi inammissibili, in quando non necessarie alla decisione del presente procedimento.
4.2. È, invece, infondata la doglianza, nella parte in cui è prospettata l’erronea determinazione del valore dei terreni al momento della proposizione della domanda, invece che al momento della cessazione del periodo di occupazione illegittima (1977).
La censura della parte riflette le posizioni espresse da un orientamento definitivamente superato a partire dalla sentenza a Sezioni
Unite del 2015 sopra richiamata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 735 del 19/01/2015).
Come sopra evidenziato, in caso di occupazione illegittima di un bene immobile da parte della Pubblica Amministrazione in assenza di decreto di esproprio o con decreto di esproprio annullato, l’occupazione del terreno del privato assume carattere illecito e l’illecito ha natura permanente, perché dura finché dura l’occupazione, e l’eventuale realizzazione dell’opera pubblica nel corso dell’occupazione illegittima non determina il passaggio di proprietà del terreno su cui l’opera è eseguita in capo all’Amministrazione. Ciò significa che il privato può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno corrispondente al mancato godimento del bene illegittimamente occupato (e trasformato) e richiedere la restituzione dello stesso ovvero il risarcimento del danno pari al suo valore al momento della domanda, così compiendo un’implicita rinuncia al corrispondente diritto di proprietà.
In quest’ultima ipotesi, ove cioè il privato chieda la liquidazione del danno corrispondente alla perdita della proprietà per effetto della rinuncia ad essa, determinata dall’illecito intervento di trasformazione operato dall’Amministrazione, il giudice è chiamato a valutare il valore del bene al momento della formulazione della domanda, che è il momento della rinuncia al diritto di proprietà.
Diverso è il danno derivante dal mancato godimento del bene durante il tempo dell’occupazione, ove rilevano le condizioni del bene e la perdita delle utilità da esso ricavabili da parte del proprietario nel corso degli anni.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Quest’ultimo inciso sta a significare che il fatto dedotto come non esaminato dal giudice deve comunque essere entrato nel dibattito processuale, e ciò al fine di evitare che vengano sottoposte alla Corte di cassazione questioni fattuali nuove.
La norma si riferisce, inoltre, al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato oggetto di discussione tra le parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Non integrano, invece, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/ 2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato dal giudice (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
L’omesso esame di elementi istruttori acquisiti al processo non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora non si risolva nella mancata valutazione di un fatto, come sopra definito, da ritenere decisivo per la statuizione assunta (v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; conf. da ultimo Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 17005 del 20/06/2024).
Tenendo in conto, dunque, le previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. richiede l’indicazione del “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
5.2. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha riportato la valutazione del CTU per la determinazione del valore del terreno, chiarendo che lo stesso ha applicato il criterio sintetico-comparativo,
condiviso dalla Corte d’appello, la quale ha precisato quanto segue: «Giova osservare che la determinazione indicata è stata operata dal consulente sulla scorta della metodologia sintetico-comparativa all’esito di una analisi di mercato fondata (pagina 16 della relazione) sulle “ricerche effettuate presso la Conservatoria, l’Agenzia del territorio, l’Archivio notarile distrettuale di Cosenza” e quindi dal confronto con l’unico atto afferente ad aree simili e prossime a quelle in esame: negozio per notar COGNOME del 9 aprile 1992 con determinazione in un importo unitario a metro quadrato pari a lire 267. La predetta somma è stata poi rivisitata in ragione delle peculiari condizioni orografiche del sito e della sua spiccata vocazione agricola. Nel caso in esame, il CTU ha dichiaratamente preso in considerazione l’unico atto rinvenuto, senza che la difesa degli appellanti abbia individuato ed indicato atti diversi da porre a base di -eventuale maggior -quantificazione per le aree agricole similari. Il CTU ha poi dato atto delle motivazioni inerenti alla correzione in melius alla luce delle peculiari caratteristiche del sito. Considerazioni tutte che conducono a ritenere corretta la determinazione in ordine al valore venale del bene al momento di introduzione della domanda di risarcimento dei danni per come sopra indicata.»
Le ricorrenti hanno dedotto di avere contestato, nel ‘preverbale’ dell’udienza del 04/03/2019, la relazione peritale, richiamando una perizia giurata di parte redatta dal AVV_NOTAIO, datata 22/09/2019, facente parte integrante del p redetto ‘preverbale’, dalla quale, secondo le parti, si ricavava l’esistenza di altri atti negoziali, specificamente elencati nell’illustrazione del motivo, che dimostravano l’edificabilità dei terreni in questione, per il maggiore attribuito ai terreni vicini.
5.3. Il menzionato ‘ preverbale ‘ , pur presente tra gli atti del processo, reca l’indicazione del deposito della relazione tecnica giurata, la quale, anch’essa presente tra gli atti di causa, fa solo menzione degli atti negoziali sopra richiamati.
Le ricorrenti, tuttavia, nel formulare il motivo, non hanno riportato la decisione della Corte d’appello all’udienza del 04/03/2019, in ordine alle allegazioni delle parti contenute nel menzionato preverbale, né in ordine perizia giurata ad essa allegata, depositata dopo l’esame dell’elaborato peritale, sicché il motivo si rivela non specifico, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., nella parte in cui ha dedotto la rilevanza di atti in relazione ai quali non ha chiarito se il giudice ne ha ammesso l’ingresso nel processo, non emergendo tale vicenda neppure dalla sentenza impugnata.
Inoltre, i menzionati atti, il preverbale e la perizia giurata di parte, si sostanziano in mere allegazioni di parte, rispettivamente allegazioni difensive ed allegazioni tecniche, che, come sopra evidenziato, non integrano quei fatti storici, che, pur essendo ritualmente acquisiti al processo, non sono stati presi in considerazione dal giudice, giustificando il ricorso alla censura formulata.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese di lite segue la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in € 4.000,00 per compenso ed € 200, per esborsi, oltre accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 luglio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME