Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24131 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24131 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 1116/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (c.f. CODICE_FISCALE / p.i.v.a. P_IVA), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO , dal quale è rappresentato e difeso, unitamente all’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti.
-ricorrente –
-contro-
COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), RAGIONE_SOCIALE (c.f./p.i.v.a. P_IVA), in persona del legale rappresentante p.t., COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), quale erede di NOME
COGNOME e socia della RAGIONE_SOCIALE; COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), quale erede di NOME COGNOME; COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), quale erede di NOME COGNOME; COGNOME NOME (c.f. CODICE_FISCALE), quale erede di NOME COGNOME; tutti elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti.
-controricorrenti- avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Brescia n. 1351/21, depositata il 28.10.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2024 dal cons. rel., dottAVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
Con piano definitivamente approvato con delibera del consiglio comunale di Morengo del 6.8.82, e con successivo piano particolareggiato di attuazione, fu disposto che l’attuazione del piano fosse sottratta ai proprietari, acquisendo tutte le aree comprese nell’ambito del P.I.P. , tra le quali rientrava interamente il terreno oggetto di causa.
Con l’approvazione del suddet to piano veniva dichiarata la pubblica utilità delle opere preordinate all’occupazione del suolo e alla successiva espropriazione. A vall e dell’approvazione di tale P.I.P . la procedura di esproprio dei fondi aveva inizio con l’emanazione, resa in data 29.4.83, del decreto d’occupazione d’urgenza e con l’immissione in possesso avvenuta nel luglio del medesimo anno.
Nel periodo tra il 1983 e il 1993, il RAGIONE_SOCIALE di Morengo realizzava le opere di urbanizzazione e perfezionava le cessioni dei singoli lotti ricompresi nel P.I.P. ai beneficiari individuati i quali vi realizzarono
costruzioni ad uso produttivo ed artigianale; la procedura espropriativa non veniva portata a termine, né furono conclusi accordi bonari o versate indennità ai proprietari dei beni occupati.
Nel 1997 i vari comproprietari convenivano il RAGIONE_SOCIALE di Morengo per l’accertamento della nullità degli atti traslativi dagli stessi stipulati, difettando i presupposti per l’acquisizione a titolo originario della proprietà degli immobili a favore del RAGIONE_SOCIALE, e domandando, in subordine, per l’ipotesi di occupazion e acquisitiva, la condanna dei cessionari al risarcimento dei danni, anche per il protrarsi dell’occupazione d’urgenza oltre i termini di legge.
Con sentenza del 12.1.2004, passata in giudicato, il Tribunale di Bergamo accertava l’acquisto a titolo originario della proprietà degli immobili in capo al RAGIONE_SOCIALE quale conseguenza dell’illegittima privazione dei diritti dominicali degli attori da parte del RAGIONE_SOCIALE per l’ irreversibile trasformazione del fondo, rigettando la domanda risarcitoria in ragione del difetto di legittimazione passiva dei convenuti, aventi causa del RAGIONE_SOCIALE, pur evidenziando la possibilità di far valere tale diritto in altro giudizio.
Con sentenza dell’8.10.09 il Tribunale , adito dai medesimi proprietari, condannava il RAGIONE_SOCIALE di Morengo al pagamento, in favore degli attori, a titolo risarcitorio, della somma di euro 318.449,29 con rivalutazione monetaria ed interessi.
Con sentenza del 13.3.12 la Corte d’appello di Brescia accoglieva l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione.
Gli attori ricorrevano per cassazione avverso la suddetta sentenza d’appello. Con sentenza del 2017, la Cassazione accoglieva i primi tre motivi del ricorso, cassando la sentenza impugnata, osservando che: l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da
parte della Pubblica Amministrazione, nel caso in cui il decreto d’esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che legittima la pretesa risarcitoria avente ad oggetto i danni sofferti per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima durante il quale il privato abbia subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero la domanda di risarcimento per equivalente da proporre in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso; la prescrizione quinquennale, in tal caso, decorre dalla data della domanda quanto alla reintegrazione per equivalente.
Gli attori riassumevano il giudizio innanzi alla Corte territoriale che, con sentenza del 28.10.21, in parziale accoglimento dell’appello degli attori, condannava il RAGIONE_SOCIALE di Morengo a versare la somma complessiva di euro 2.086.754,71 suddivisa, come da dispositivo, a favore dei vari appellanti, in base alle rispettive quote di comproprietà. Al riguardo, la Corte d’appello osservava che: con la citazione introduttiva del giudizio gli attori avevano chiesto, per la prima volta, il ristoro del danno per equivalente al RAGIONE_SOCIALE di Morengo, mentre nella precedente lite, conclusasi con la sentenza del 2004, il risarcimento era stato chiesto solo nei confronti dei cessionari delle aree e, per detto motivo, il giudice aveva dichiarato la carenza di legittimazione passiva dei cessionari in quanto la pretesa era da formulare nei confronti del RAGIONE_SOCIALE; ne conseguiva che la prescrizione non era decorsa, attesa la natura permanente dell’illecito, né l’illiceità era cessata per effetto della declaratoria di acquisto per irreversibile trasformazione del fondo ad opera del Tribunale di Bergamo con la suddetta sentenza del 2004; pur non volendo accedere alla tesi del giudicato interno connesso alla pronuncia della Cassazione, restava il dato che, una volta decretata la proprietà in capo all’ente pubblico, nell’anno successivo gli attori
avevano intrapreso l’azione risarcitoria per equivalente, per cui il termine prescrizionale non era mai decorso; sussisteva tra l’azione diretta all’accertamento della nullità della cessione volontaria delle aree e al risarcimento dei danni- conclusasi con esito negativoe l’azione successiva fondata sull’accertata validità ed efficacia della suddetta cessione, volta a conseguire il pagamento della differenza tra l’acconto ricevuto e la definitiva indennità d’esproprio, uno stretto collegamento, con la conseguenza che la prima domanda era sufficiente ad interrompere la prescrizione anche riguardo al diritto fatto valere con la seconda azione, senza che rilevi, a tal fine, la differenza tra il petitum e la causa petendi delle due domande; gli attori in riassunzione erano gli effettivi titolari dei beni oggetto d’illegittima occupazione, come si desumeva dalle visure camerali e dagli atti acquisiti (atti d’acquisto citati in motivazione), nonché dalla c.t.u.; i danni erano da commisurare al valore del bene al momento della domanda – che segnava la perdita della proprietà – con rivalutazione fino alla data della sentenza, e gli interessi legali; la domanda di risarcimento del danno morale era infondata per mancata prova.
Il RAGIONE_SOCIALE di Morengo ricorre per cassazione avverso la suddetta sentenza, con due motivi, illustrati da memoria. Resistono i controricorrenti, come indicati in rubrica, con controricorso del pari illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 55 dpr n. 327/01 nell’identificazione del riferimento temporale del danno, nonché omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione, riguardo alla questione della volontà di abdicare al diritto di proprietà da parte dei privati.
In particolare, il RAGIONE_SOCIALE ricorrente lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente individuato la data di riferimento per la valutazione del danno in quella della citazione relativa alla prima fase del giudizio, ignorando lo svolgimento dei fatti, quanto alla questione che le manifestazioni di volontà dei soggetti privati, relative all’abdicazione della proprietà e alla richiesta di risarcimento dei danni, non coincidevano, essendo state espresse con modalità e tempi distinti.
Al riguardo, il ricorrente assume: che la volontà di abdicare al diritto di proprietà a favore del risarcimento dei danni era stata manifestata fin dalla prima citazione notificata nel 1997; la domanda di risarcimento dei danni, successivamente riproposta nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di Morengo, con la citazione del 20.12.05, era stata presa in considerazione dalla Corte Suprema nella suddetta sentenza di cassazione con rinvio, solo ai fini della valutazione e della decisione in ordine alla prescrizione del diritto dei privati al risarcimento dei danni; la Corte d’appello avrebbe dovuto, attraverso il c.t.u., accertare il valore venale delle aree occupate al momento del fatto dannoso (scadenza dell’occupazione legittima) risarcibile, distinguendolo da quello della proposizione della domanda, con la quale il proprietario aveva scelto tra restituzione e risarcimento; tale vizio ha comportato l’ulteriore errore consistito nell’assegnare al c.t.u. la data del 20.12.05 quale riferimento valutativo del risarcimento richiesto.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’ar t. 55 dpr n. 327/01 per aver la Corte d’appello , aderendo acriticamente al c.t.u., utilizzato criteri erronei per la quantificazione del danno da risarcire, disponendo che il riferimento temporale fosse la data della domanda, quando le aree erano già state totalmente urbanizzate e i lotti integralmente edificati (pur avendo il giudice di secondo grado indicato al c.t.u. che
tale valore fosse determinato senza le opere ivi realizzate dalla Pubblica Amministrazione).
In particolare, il ricorrente si duole perché il c.t.u. ha applicato la formula del calcolo di trasformazione, estraendola dalla norma UNI 11558 del 6.11.14, sebbene essa fosse finalizzata solo a definire il livello di competenza ed abilità dei valutatori immobiliari, mentre il c.t.u. avrebbe dovuto operare con il metodo sintetico-comparativo, avendo invece la Corte d’appello tenuto conto del valore degli edifici quando il PIP aveva già avuto attuazione, ed operando una serie di riduzioni, applicando il valore di distinte porzioni di area, e non il valore unitario delle aree costituenti il lotto omogeneo non edificato, occupato nel 1982, pur rivalutato al 20.12.85; pertanto, secondo il ricorrente, il c.t.u. aveva quantificato non il valore ex art. 55 TU, ma il prezzo a cui si dovrebbero vendere le aree occupate; in particolare, la stima del c.t.u. era erronea nella parte in cui aveva aggiunto alla cifra indicata come totale attivo (valore dell’edificato meno i costi) il va lore delle aree standard che, invece, avrebbe dovuto dedurre dal predetto totale in quanto costo, e non beneficio, per il privato.
Il primo motivo è fondato.
Sulla questione va osservato quanto segue.
L’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della PRAGIONE_SOCIALE., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria avente sempre ad oggetto i danni per il periodo, non coperto dall’eventuale occupazione legittima, durante il quale il privato ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal bene sino al momento della restituzione, ovvero della domanda di risarcimento per equivalente che egli può esperire, in alternativa, abdicando alla proprietà del bene stesso. Ne consegue che la prescrizione
quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento del bene, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente (Cass., SU, n. 735/15).
Nei casi di occupazione usurpativa o acquisitiva, il proprietario, che abbia implicitamente rinunciato alla proprietà del bene proponendo domanda risarcitoria per equivalente, ha diritto all’integrale ristoro del danno, che ricomprende non solo la perdita del godimento del bene nel periodo di occupazione illegittima, ma anche quella relativa all’integrale valore dello stesso, in quanto una implicita conformazione della proprietà privata non è desumibile dall’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, il cui disposto, fino a quando non venga esercitato dalla RAGIONE_SOCIALE il relativo potere acquisitivo, non è idoneo a paralizzare i comuni rimedi civilistici attribuiti dall’ordinamento al proprietario (Cass., n. 18142/22).
L’illecito permanente, che si con figura sia in ipotesi di occupazione acquisitiva sia in ipotesi di occupazione usurpativa, cessa in caso di rinunzia del proprietario al suo diritto, rinunzia implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente; tale danno va quindi ristorato con riferimento al valore del bene al momento della domanda, che segna, appunto, la perdita della proprietà (Cass., n. 12961/2018).
Nella specie, l a Corte d’appello in sede di rinvio ha erroneamente individuato la data di riferimento per la valutazione del danno in quella (20.12.2005) della citazione del primo grado del presente giudizio (che la Cassazione aveva considerato ai soli fini della prescrizione) (cfr. sentenza impugnata, pag. 19).
Nella specie, dunque, la Corte territoriale ha errato nell’interpretaz ione della sentenza rescindente, in quanto avrebbe dovuto considerare, per la valutazione del danno, il momento in cui il proprietario ha rinunziato
alla restituzione, richiedendo l’equivalente, momento che segna la perdita della proprietà.
Nella specie, in particolare, i vari comproprietari avevano rinunziato alla proprietà con l’atto introduttivo del primo giudizio (citazione del 7.2.97, vedi ricorso, pag. 5, e sentenza impugnata, pag. 13) , definito con la sentenza del 12.1. 2004, perché con quell’atto aveva no domandato, seppur nei confronti degli assegnatari, il pagamento dell’equivalente .
Propriamente, la circostanza per cui la rinunzia sia stata operata nei confronti degli assegnatari, non menoma né svilisce la valenza intrinseca della medesima rinunzia (non si condividono, perciò, gli assunti dei controricorrenti di cui a pag. 10 del controricorso).
L’ errore surriferito ha comportato l’ulteriore errore di aver assegnato al c.t.u. il quesito di accertare il danno al 20.12.2005 (cfr. sentenza impugnata, pag. 22).
Invero, il c.t.u. ha calcolato il danno cagionato dall’illecita occupazione acquisitiva da parte del RAGIONE_SOCIALE di Morengo a decorrere dalla data della domanda (20.12.2005) e non dalla data della rinunzia alla proprietà.
Il sec ondo motivo è da considerare assorbito dall’accoglimento del primo perché relativo ad una censura del contenuto e dei criteri e del metodo da seguire per la quantificazione del danno.
Per quanto esposto, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, anche in ordine alle spese del grado di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del grado di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 2024.