Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8867 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8867 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2558/2019 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA, in proprio e nella qualità di coerede della propria madre NOME COGNOME, deceduta il 15 ottobre 2018, entrambi eredi di COGNOME NOME, originario attore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procura in calce al ricorso rilasciata a favore dei difensori unitamente a NOME COGNOME;
NOME quale figlio unico ed erede universale della propria madre NOME COGNOME, quest’ultima erede, unitamente ad NOME COGNOME, di NOME COGNOME, originario attore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procura in calce al ricorso rilasciata a favore dei difensori unitamente a NOME COGNOME;
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di coerede della prima madre, NOME COGNOME, entrambi eredi di NOME COGNOME, originario attore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procura in calce al ricorso;
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di coerede della propria madre, NOME COGNOME, entrambi eredi di NOME COGNOME, originario attore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procura per atto notaio in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, repertorio n. 20005 in data 6/11/18 rilasciata, unitamente al signor NOME COGNOME (nato il DATA_NASCITA), agli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME e depositata unitamente al presente ricorso;
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA, in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME, originaria attrice, come da procura per atto notaio in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, repertorio n. 20005 in data 6/11/18 rilasciata, unitamente al signor NOME COGNOME, agli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME e depositata unitamente al presente ricorso;
COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di erede di NOME COGNOME, vedova COGNOME, originaria attrice, come da procura per atto notaio in Perugia, AVV_NOTAIO, repertorio n. 62082 in data 7/11/18 rilasciata agli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME e depositata unitamente al presente ricorso.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del sindaco pro tempore, rappresentante legale, giusta delibera di giunta comunale n. 121 del 2012 con la quale è stato approvato il ‘ Regolamento sul funzionamento dell’avvocatura civica e della rappresentanza e difesa in giudizio del RAGIONE_SOCIALE‘ , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
COGNOME, in virtù di procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 15 febbraio 2022.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 94/2018, depositata in data 19 febbraio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/3/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO ;
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione notificato in data 18/11/77 NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, vedova dell’ingegnere NOME COGNOME, quest’ultima sia in proprio che quale procuratrice generale dei propri figli NOME COGNOME e NOME COGNOME, convenivano in giudizio dinanzi al tribunale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per la condanna al pagamento di quanto dovuto a titolo di indennizzo e di risarcimento danni per l’occupazione di parte di un terreno di loro proprietà, identificato in catasto terreni del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al foglio 103, particelle 20,21 e 63.
In particolare, gli attori allegavano che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto ad occupare, temporaneamente d’urgenza e per la durata massima di due anni, nel 1967, mq 2260,34 e mq 3807,95 del loro fondo, con due diversi decreti prefettizi: n. 28082 e n. 28081 del 22 maggio 1967, per la costruzione dell’istituto d’arte e del liceo artistico.
Successivamente all’occupazione erano stati costruiti i due licei.
Con ordinanza del 25 febbraio 1969 il tribunale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva disposto una prima CTU dei beni e il RAGIONE_SOCIALE il 13 febbraio del
1978 si era reso disponibile a pagare gli importi determinati in tale consulenza tecnica.
Veniva poi disposta una nuova CTU affidata all’AVV_NOTAIO, espletata 26 settembre 1980. In particolare, il CTU quantificava le somme dovute in lire 580.700.000,00, di cui lire 306.000.753, pari al valore dell’intero fondo, lire 30.675.312, lire 30.675.312 quale indennità per l’occupazione temporanea legittima e lire 243.000.285 399 quale danno per il periodo di occupazione illegittima.
Un supplemento di perizia veniva depositato il 19 giugno 1982.
All’udienza del 18 febbraio 1988 il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per la prima volta eccepiva la prescrizione del diritto. Nelle more del giudizio decedevano i signori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In data 2 maggio 2003 si costituivano in giudizio i signori NOME, NOME e NOME COGNOME e la signora NOME COGNOME, quali eredi legittimi (rispettivamente figli e coniugi) di NOME COGNOME, a sua volta anche come erede testamentario di NOME COGNOME unitamente alla moglie di quest’ultimo NOME COGNOME.
Veniva poi depositata ulteriore CTU, redatta dall’ingegnere NOME COGNOME, depositata il 21/10/2005 il quale accertava che la data di irreversibile trasformazione del bene era il 5/6/69 (data di scadenza dell’occupazione legittima), e stimava il valore venale del terreno in lire 86.800 al metro quadrato riferito all’anno 1969, con quantificazione pari a lire 554.711.892, pari ad euro 286.484,78.
Tuttavia, in applicazione dei criteri riduttivi di cui all’art. 5bis , comma 7bis , della legge n. 359 del 1992, il risarcimento dovuto ai COGNOME COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME era di lire 305.351.760, pari ad euro 157.701,02, riferito al 1969.
Sopravveniva anche il decesso di NOME COGNOME, vedova di NOME COGNOME e si costituivano quali eredi NOME COGNOME, NOME COGNOME, già in giudizio quali eredi del padre NOME.
Il tribunale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 117 del 4 ottobre 2007, rigettava la domanda, ritenendo prescritto il credito.
Avverso tale sentenza proponevano impugnazione gli attori deducendo: l’illegittimità dell’istituto dell’occupazione acquisitiva per contrasto con l’art. 1 del I Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; l’inesistenza di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità per decadenza del termine previsto per l’ultimazione dei lavori; l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione.
Chiedevano la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento in loro favore della somma di euro 286.484,78, oltre rivalutazione ed interessi come per legge dal 5 giugno 1969, fino al soddisfo, oltre interessi e rivalutazione. Chiedevano anche il ristoro della mancata percezione dei frutti del fondo per tutto il periodo di privazione del possesso.
Decedeva in corso di causa anche NOME COGNOME e si costituivano nuovamente, anche quali eredi di quest’ultima, gli appellanti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, già costituiti in giudizio quali eredi dei signori COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n. 94 del 2018, pubblicata 19 febbraio 2018, accoglieva l’impugnazione, evidenziando che in base alla sentenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 735 del 2015, anche con riferimento all’istituto dell’occupazione acquisitiva, si trattava di un illecito permanente, che veniva a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che
lo aveva trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente. Il credito, dunque, non poteva essere ritenuto prescritto.
Liquidava il danno in favore degli appellanti «così come quantificato dal CTU nel corso del primo grado di giudizio, ovvero nella misura di euro 157.701,02 oltre interessi sulle somme via via rivalutate dal 5/6/69 al soddisfo, non risultando prescritto il relativo diritto mentre non è configurabile un diritto al risarcimento del danno per la perdita del godimento, posto che l’ammissione di una tale tipologia di danno determinerebbero inammissibile duplicazione del risarcimento, già riconosciuto per la perdita del bene».
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di erede della propria madre NOME COGNOME, entrambi eredi di NOME COGNOME, originario attore, NOME COGNOME quale figlio unico ed erede universale, della propria madre NOME COGNOME, quest’ultima erede, unitamente ad NOME COGNOME, di NOME COGNOME, originario attore, NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di cui erede della prima madre, NOME COGNOME, , NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di cui erede della propria madre, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME, originaria attrice, NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di erede del NOME COGNOME. Hanno depositato anche memoria scritta.
Ha resistito con controdeduzioni il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione dell’art. 55 T.U. sulle espropriazioni (d.P.R. n. 327 del
2001) come riformato dall’art. 2, comma 89, lettera e) della legge n. 244 del 2007, dell’art. 1 del I ^ Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ratificato dall’Italia con la legge 4/8/55, n. 848, dell’art. 117 Costituzione e degli articoli 24 e 111 della Costituzione (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)-motivazione contraddittoria ovvero apparente (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.)-per avere la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con la motivazione contraddittoria ovvero apparente riconosciuto ai ricorrenti, proprietari di un terreno occupato sine titulo dall’amministrazione comunale, a titolo di risarcimento del danno come reintegrazione per equivalente, il valore venale di detto terreno ridotto ai sensi dell’art. 5bis , comma 7bis , del decreto-legge n. 333 del 1992, convertito con modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, norma dichiarata così usualmente illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007».
La Corte d’appello ha liquidato i danni subiti dagli attori nella misura di euro 157.701,02, oltre interessi sulle somme via via rivalutate dal 5/6/69 al soddisfo. Tale motivazione sarebbe contraddittoria o comunque apparente, per impossibilità di ricavare la logica del ragionamento svolto dal giudice.
Infatti, il giudice d’appello ha dapprima affermato, correttamente, il diritto dei ricorrenti ad avere risarcito per equivalente il valore venale del terreno di loro proprietà, nel rispetto dell’art. 55 del d.P.R. n. 327 del 2001, come riformato dall’art. 2, comma 89, lettera e) della legge n. 244 del 2007, e quindi l’intero valore venale del bene; ma, successivamente, senza alcuna motivazione e contraddicendosi, ha negato l’applicazione di tale principio condannando l’amministrazione a risarcire ai ricorrenti il valore venale, ma ridotto ai sensi dell’art. 5bis , comma 7bis , del
decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992.
In realtà, però, il CTU, AVV_NOTAIO COGNOME, aveva determinato il valore del fondo nella somma di euro 286.484,78, mentre l’altra somma, pari ad euro 157.701,02, corrispondeva all’ammontare determinato dal CTU in applicazione dei criteri riduttivi di cui all’art. 5bis , comma 7bis , del decreto-legge n. 333 del 1992.
Su tale aspetto la motivazione della sentenza d’appello del tutto carente, se non meramente apparente.
Il giudice d’appello avrebbe dovuto riconoscere il valore pieno della proprietà occupata ed irreversibilmente trasformata pari ad euro 286.484,78, non potendo operare alcuna riduzione, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 349 del 2007, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale proprio dell’art. 5bis , comma 7bis , del decreto-legge n. 333 del 1992.
Il motivo è fondato, sussistendo la violazione di legge prospettata.
2.1. Per quanto concerne, infatti, il tema specifico dell’indennizzo da espropriazione, anzitutto, si rileva che la Corte Costituzionale (sentenza n. 349 del 24 ottobre 2007) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5bis comma 7bis d.l. n. 333 del 1992, convertito in legge n. 359 del 1992, in quanto non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto della occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu e per ciò stesso in violazione dell’art. 117 comma 1 ° Cost..
La pronuncia si richiama a varie decisioni della Corte europea, per cui quando si tratti di esproprio isolato che non si situa in un contesto di riforma economica sociale o politica e non è legato ad
alcuna altra circostanza particolare, non sussiste alcun obiettivo legittimo di pubblica utilità che possa giustificare un rimborso inferiore al valore commerciale. Al fine di escludere la violazione della norma convenzionale (art. 1 del Protocollo addizionale) occorre dunque sopprimere qualsiasi ostacolo per l’ottenimento di un indennizzo avente un rapporto ragionevole con il valore del bene espropriato (sentenza 29 marzo 2006, COGNOME).
2.2. La Corte Costituzionale (sentenza n. 348 del 24 ottobre 2007) ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5bis commi 1 ° e 2 ° legge 8 agosto 1992 n. 359 e dell’art. 37 commi 1 ° e 2 ° del d.P .R. 8 giugno 2001 n. 327, in quanto un’indennità congrua, seria ed adeguata non può adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere risultati marcatamente lontani da essa.
Questa Corte, pronunciandosi sul punto dopo l’intervento della Corte Costituzionale, ha stabilito che per effetto della caducazione parziale dell’art. 5-bis del d.l. n. 333 del 1992, convertito nella legge 359/92, l’indennità di espropriazione deve quantificarsi secondo il criterio del valore venale del bene, salva l’applicazione del diverso criterio vigente che il legislatore avrà eventualmente stabilito (Cass., 14 dicembre 2007, n. 26275).
2.3. L’art. 2 comma 89 della legge 244/2007 ha poi modificato l’art. 37 del DPR 8 giugno 2001 n. 327, prevedendo che «L’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico- sociale, l’indennità è ridotta del 25 per cento».
2.4. Inoltre, l’art. 55 del T .U. n. 327/2001 (occupazioni senza titolo anteriori al 30 settembre 1996) dispone che «nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene».
La Corte costituzionale ha, poi, dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che impediva di individuare il valore dei terreni agricoli in base a quello di mercato, ma lo agganciava al valore agricolo medio. Infatti, la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5bis , comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con gli artt. 15, primo comma, secondo periodo, e 16, commi quinto e sesto, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come sostituiti dall’art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, comporta, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 40, commi 2 e 3, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante la nuova normativa in materia di espropriazione. Detta norma adotta, ai fini della determinazione dell’indennità nel caso di esproprio di un’area non edificabile, il criterio del valore agricolo medio del tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nell’area da espropriare e, quindi, contiene una disciplina che riproduce quella già dichiarata in contrasto con la Costituzione . Peraltro, tale declaratoria non può essere estesa anche al comma 1 del citato art. 40, il quale, in relazione all’esproprio di un’area non edificabile ma coltivata (il caso di area non coltivata è previsto dal comma 2), stabilisce che l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi legittimamente
realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola. La mancata previsione del valore agricolo medio e il riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo consentono un’interpretazione della norma costituzionalmente orientata, comunque demandata ai giudici ordinari (Corte Cost. 10 giugno 2011, n. 181).
Pertanto, non v’è dubbio che la Corte d’appello sia incorsa in errore, laddove ha liquidato il valore dei beni in favore degli attori, non nella somma individuata dal CTU pari ad euro 286.484,78, ma in quella ridotta di euro 157.701,02, calcolata dal CTU tenendo conto della riduzione di cui al comma 7bis dell’art. 5bis del decreto-legge n. 333 del 1992.
Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano la «violazione dell’art. 55 T.U. sulle espropriazioni (d.P.R. n. 327 del 2001) come riformato dall’art. 2, comma 89, lettera e) della legge n. 244 del 2007-violazione dell’art. 1 del I ^ Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificato dall’Italia con legge 4/8/55, n. 348 e dell’art. 117 della Costituzione-violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione-per non avere la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE rivalutato il valore venale del bene stimato al 5/6/69 a decorrere da tale data sino al soddisfo-in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La sentenza della Corte d’appello, ad avviso dei ricorrenti, si sarebbe limitata a condannare il RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del valore venale del terreno alla data del 1969, «rigettando implicitamente la domanda tendente ad ottenere che detto valore fosse rivalutato secondo gli indici Istat dal 1969 sino al soddisfo».
La Corte territoriale, quindi, senza alcuna motivazione al riguardo, ed in violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione,
non avrebbe disposto che tale valore venale, risalente a 50 anni prima, fosse rivalutato all’attualità 2º gli indici Istat.
Il motivo è assorbito, in ragione dell’accoglimento del primo motivo.
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione degli articoli 22bis , comma 5, e 50 del d.P.R. n. 327 del 2001-violazione art. 1 del I ^ Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo dell’art. 117 della Costituzioneviolazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione-per non avere la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE riconosciuto e ricorrenti l’indennità dovuta loro dal 5/6/67 al 5/6/69 per l’occupazione legittima del terreno di cui si tratta, poi divenuta illegittima in assenza del decreto di esproprio-in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello, senza alcuna motivazione, avrebbe rigettato la domanda degli attori tendente ad ottenere il pagamento di un indennizzo per i primi due anni di occupazione del terreno e cioè dal 5/6/67 al 5/6/69. Dalla CTU espletata, e segnatamente da quella redatta dall’AVV_NOTAIO COGNOME, le porzioni di terreno sarebbero state occupate in data 5/6/67, ed il tempo massimo per l’occupazione temporanea era di due anni. Entro tale termine l’amministrazione non ha espropriato il terreno, sicché in data 5/6/69 l’occupazione è divenuta illegittima.
Il motivo è fondato.
Anzitutto, si rileva l’ammissibilità del motivo, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto da controparte, la richiesta di pagamento del danno da occupazione legittima era stata presentata nel corso del giudizio di prime cure, trattandosi peraltro del processo di ‘vecchio rito’, iniziato con atto di citazione del 18/11/77.
Infatti, già nella relazione del consulente tecnico d’ufficio, AVV_NOTAIO, depositata il 23 settembre 1980, si faceva
riferimento al danno subito dagli attori per l’occupazione legittima temporanea stimato in lire 30.675.312 (cfr. pagina 7 del ricorso per cassazione).
Nella specie, l’occupazione di urgenza era iniziata il 5 giugno 67, sicché l’occupazione temporanea era della durata di due anni sino al 5/6/69 e entro tale termine non vi era stato il provvedimento di espropriazione.
La normativa applicabile non è sicuramente quella invocata dai ricorrenti (articoli 22bis , comma 5, e 55 del d.P.R. n. 327 del 2001), trattandosi di procedimento espropriativo iniziato prima del 30 giugno 2003.
In realtà, la legge n. 2359 del 1865 non disciplinava l’istituto dell’occupazione di urgenza preordinata all’esproprio, in quanto si basava sul principio per cui dapprima il fondo era espropriato e poi poteva essere ‘occupato’ (art. 48, comma 2, ove si prevedeva che «in seguito alla presentazione dei certificati comprovanti l’eseguito deposito o dei titoli giustificando il effettuato pagamento, il prefetto pronuncia espropriazione ed autorizza l’occupazione dei beni»).
Nella specie, l’occupazione di urgenza è avvenuta il 5/6/67, per cui trova applicazione l’art. 73 della legge fondamentale del 1865, che prevedeva il termine biennale di durata massima dell’occupazione per il solo caso di forza maggiore del disastro («le occupazioni temporanee prevedute dall’articolo 71 non possono in nessun caso essere protratte oltre il termine di 2 anni, decorrenti dal giorno in cui ebbero luogo»), ma la giurisprudenza reputava che il termine biennale dovesse applicarsi anche per le occupazioni preordinate all’esproprio (mentre ai sensi dell’art. 71 della legge n. 2359 del 1865 era limitato l’ambito di applicazione dell’istituto «nei casi di rottura di argini, del rovesciamento di ponti per impeto delle acque, e negli altri casi di forza maggiore o di assoluta urgenza, i
prefetti …] possono ordinare la occupazione temporanea dei beni immobili che occorressero all’esecuzione delle opere all’uopo necessarie»).
Successivamente, l’art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (programmi e coordinamento dell’edilizia residenziale pubblica; norme sulle espropriazione per pubblica utilità), ha elevato a cinque anni il termine di durata massima dell’occupazione di urgenza preordinato all’esproprio, prevedendo che «l’occupazione di urgenza delle aree da espropriare è pronunciata con decreto del prefetto. Tale decreto perde efficacia ove l’occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione. L’occupazione può essere protratta fino a 5 anni dalla data di immissione nel possesso».
11. Per questa Corte, nel caso di occupazione acquisitiva derivante dalla trasformazione irreversibile del terreno ablato nell’ambito di un procedimento inizialmente assistito da dichiarazione di pubblica utilità, e successivamente divenuto illegittimo per la mancata emanazione del decreto di esproprio nel termine di legge, l’inefficacia di detta dichiarazione opera “ex nunc”, non verificandosi alcun travolgimento “ex post” delle attività legittimamente compiute dalla P.A. sulla base del decreto di occupazione e in pendenza del termine di efficacia della dichiarazione di p.u. Ne consegue che al privato è dovuta l’indennità di occupazione legittima a far data dall’immissione in possesso nel bene fino alla perdita di efficacia della dichiarazione di p.u., che determina in ogni caso la sopravvenuta carenza di potere ablatorio della P.A. (Cass., sez. 1, 19 giugno 2019, n. 16509).
Del resto, la circostanza che nel giudizio di merito il ricorrente avesse definito come illegittima l’occupazione dei terreni costituenti oggetto della sua domanda risarcitoria non escludeva il dovere del giudice di merito di qualificare in jure quella domanda,
evidentemente riferita anche alla perdita della disponibilità di quei medesimi terreni nel periodo in cui l’occupazione era ancora legittima, e di riconoscere pertanto anche la relativa indennità di occupazione, in aggiunta al risarcimento del danno per l’occupazione acquisitiva (Cass., 3 ottobre 2018,, n. 24101).
Pertanto, merita accoglimento il motivo di ricorso.
12. Con il quarto motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione dell’art. 42bis T.U. sulle espropriazioni (d.P.R. n. 327 2001)-violazione degli articoli 834,934 e 1350 n. 1 del codice civile e 42 della Costituzione-violazione dell’art. 1 del I^ Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ratificato dall’Italia con legge 4/8/55 n. 848 e art. 117 della Costituzione-violazione degli articoli 3 e 97 Costituzione-per avere la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE rigettato la domanda dei ricorrenti di applicazione dei criteri di liquidazione di cui all’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 2001-in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Gli attori, sin dal primo grado avevano chiesto che venisse loro riconosciuto il risarcimento per tutti i danni subiti a causa dell’occupazione illegittima, ivi compresa la mancata percezione dei frutti per tutto il periodo di privazione del possesso del fondo occupato. Pertanto, dovrebbe trovare applicazione l’art. 42bis di cui al d.P.R. n. 327 del 2001, con riconoscimento «per l’intero periodo di occupazione senza titolo l’interesse del 5% annuo, oltre ad un indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale pari al 10% del valore venale del bene come sopra rivalutato all’attualità».
La Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che con la sentenza della Corte costituzionale n. 71 del 2015 è stato chiarito che la disciplina contenuta nell’art. 42bis si deve applicare anche alle occupazioni poste in essere in epoca anteriore all’entrata in
vigore della norma, nonché allo stesso d.P.R. n. 327 del 2001, e dunque con riferimento qualsiasi fattispecie di occupazione illegittima, futura o passata, anche se connotata dalla richiesta di risarcimento danni avanzata dal privato.
12.1.Il motivo è infondato.
Questa Corte, con una recente pronuncia ha infatti ritenuto che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, l’acquisizione sanante prevista dall’art. 42bis , introdotto dall’art. 34, comma 1, del d.l. n. 98 del 2011, conv. con modif. dalla l. n. 111 del 2011, non trova applicazione a procedimenti ablatori avviati in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.P.R. n. 327 del 2001, atteso che, quantunque, a mente del comma 8 del citato art. 34, le disposizioni introdotte si applichino anche a fatti anteriori alla sua entrata in vigore, non ne fa menzione la disciplina delle occupazioni sine titulo anteriori al 30 settembre 1996 ex art. 55 del T.U., dovendosi tenere conto del fatto che tale norma risponde alla medesima finalità del sostituito art. 43 del T.U., dichiarato incostituzionale per eccesso di delega, consistente nell’agevolare il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, ma soltanto per i procedimenti ablatori avviati in epoca successiva all’entrata in vigore del medesimo T.U., sicché, essendo il relativo provvedimento emesso, in tali casi, in carenza di potere e potendo, perciò, essere disapplicato, resta esclusa l’improcedibilità della domanda risarcitoria e la contemporanea pendenza dell’opposizione alla stima (Cass., sez. 1, 3 gennaio 2024, n. 159).
13.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con riferimento ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso; rigetta il quarto motivo; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione