Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16130 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16130 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14218/2022 R.G., proposto da: DI COGNOME NOME , DI NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
-ricorrenti- contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI , in persona del Presidente del Consiglio in carica; MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE , MINISTERO ECONOMIA FINANZE , in persona dei Ministri pro tempore ; ex lege domiciliati in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis ;
-controricorrenti-
nonché sul ricorso successivo proposto da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME , DEL COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME , DELLA NOME , DELLA NOME (gli ultimi tre quali eredi del dott. NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME , DI NOME COGNOME , DI COGNOME NOME COGNOME , DI NOME , DI NOME COGNOME DI NOME , DI NOME COGNOME NOME COGNOME , NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME (gli ultimi tre quali eredi del dott. NOME COGNOME, COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME (gli ultimi tre quali eredi del dott. NOME COGNOME); elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
-ricorrenti-
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI , in persona del Presidente del Consiglio in carica; MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE , MINISTERO ECONOMIA FINANZE , in persona dei Ministri pro tempore ; ex lege domiciliati in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis ;
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della CORTE d’ APPELLO di ROMA n. 8103/2021 depositata il 7 dicembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I medici indicati in epigrafe convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri indicati in epigrafe, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata remunerazione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione medica in cui si erano immatricolati negli anni compresi tra il 1980 ed il 1994.
Il Tribunale rigettò, per intervenuta prescrizione, le domande di tutti i medici, tranne quella proposta dal dott. NOME COGNOME che accolse parzialmente, liquidando il risarcimento sulla base della remunerazione annua prevista dall’art. 11 della legge n. 370/1999, pari ad Euro 6.713,94.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 8103/2021, depositata in data 7 dicembre 2021, ha rigettato le impugnazioni proposte dagli attori.
3.A. Per la cassazione di questa sentenza, i dottori NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME hanno proposto ricorso con atto notificato il 6 giugno 2022 e depositato il 10 giugno 2022, sulla base di otto motivi, cui hanno risposto la Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Ministeri in epigrafe con controricorso.
3.B. Con distinto atto, notificato il 6 giugno 2022 e depositato il 23 giugno 2022, hanno proposto ricorso avverso la medesima sentenza anche i ricorrenti indicati in epigrafe con capofila NOME COGNOME sulla base di quattro motivi.
Anche a questo ricorso hanno risposto le amministrazioni in epigrafe, con distinto controricorso.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. pro. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha depositato conclusioni scritte.
Non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..
Ciò posto in via preliminare, può passarsi all’esame dei ricorsi.
A.1. Con il primo motivo del ricorso proposto dai dottori NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (che assume natura oggettiva di ricorso principale) viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 101, secondo comma, Cost., per avere la Corte d’appello fondato la propria decisione di rigetto della domanda esclusivamente sulla base dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità, se nza procedere alla doverosa applicazione della legge.
A.2. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 132 cod. proc. civ. e viene censurata, per contraddittorietà (o, comunque, per ambiguità) della motivazione, la statuizione diretta a dichiarare il difetto di legittimazione passiva dei Ministeri indicati in epigrafe e ad affermare quella della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
A.3. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2935 cod. civ., per avere la Corte di merito individuato il termine iniziale di decorrenza della prescrizione decennale del diritto vantato dagli appellanti (odierni ricorrenti) nella data (27 ottobre 1999) di entrata in vigore della legge n.370 del 19 ottobre 1999: data in cui non sarebbe stato ancora possibile azionare il predetto diritto, non essendo ancora stato rimosso l’ostacolo all’adeguamento dell’ordinamento in terno a quello comunitario, ciò
che sarebbe avvenuto solo con i DPCM del 7 marzo, del 6 luglio e del 2 novembre 2007.
A.4. Con il quarto motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dagli artt. 11 e 117 costituzione e art. 267 TFUE, per avere la Corte d’appello apoditticamente ritenuto l’« insussistenza dei presupposti per un rinvio pregiudiziale ex art 267 TFUE», senza « indicare le asserite precedenti interpretazioni della CGUE circa l’effettività del rimedio giurisprudenziale che possano giustificare la non manifesta infondatezza del rinvio ».
Si chiede, inoltre, a questa Corte di legittimità di « esaminare autonomamente le richieste di remissione degli atti già formulate nei giudizi di merito ed in questa sede reiterate ».
A.5. Con il quinto motivo, (numerato come sesto), viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt.112 e 132 cod. proc. civ. in ordine ai motivi d’appello rimasti assorbiti dalla declaratoria di prescrizione, concernenti: la spettanza del risarcimento anche nei confronti degli specializzandi immatricolatisi ante 1982; la spettanza del risarcimento anche nei confronti degli specializzandi iscritti a corsi di specializzazione medica in materie non espressamente elencate nelle direttive comunitarie; l’ indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ..
A.6. Con il sesto motivo -denunciandosi la violazione degli artt.13, 16 della Direttiva 82/76; 3 Cost.; 6 e 8 d.lgs. n. 257/1991 e 220 TC -viene censurata, in particolare, la limitazione del quantum debeatur , in violazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 257/1991.
A.7. Con il settimo motivo viene denunciata « violazione e/o falsa applicazione degli artt 2697 cc e 115 cpc in tema di onere probatorio: riflessi in ordine al mancato risarcimento della perdita di chance».
A.8. Con l’ottavo motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., per la
mancata compensazione delle spese di lite, attesa la complessità della materia e la costante evoluzione giurisprudenziale.
A.8.1. Va anzitutto dichiarata l’inammissibilità del primo, del secondo, del qu into, del sesto, del settimo e dell’ottavo motivo .
Il primo motivo, nel denunciare la violazione del principio costituzionale che sancisce che i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art.101, secondo comma, Cost.) -e nel dedurre che, in tal modo, sarebbe stato fatto entrare indebitamente, nel nostro ordinamento, il contrario principio dello stare decisis -si espone ad una sanzione di manifesta inammissibilità. Invero, il giudice d’appello ha fondato la sua decisione proprio sulla base delle norme di legge -in particolare, l’art.11 della legge n. 370 del 1999 -che hanno consentito, attraverso un’operazione di natura interpretativa, di individuare il dies a quo del termine prescrizionale. La circostanza che, per confortare l’operazione interpretativa compiuta, il giudice del merito abbia evocato un precedente conforme orientamento giurisprudenziale, non si traduce nell’indebita applicazione del principio dello stare decisis in violazione del diverso principio costituzionale di esclusiva soggezione del giudice alla legge.
A.8.2. Inammissibile è, altresì, il secondo motivo.
Gli stessi ricorrenti, nel trascrivere lo stralcio della sentenza impugnata contenente la declaratoria della carenza di legittimazione passiva dei Ministeri, pongono in evidenza che il riconoscimento della legittimazione passiva alla « sola » Presidenza del Consiglio dei Ministri trova fondamento nel rilievo che essa è l’amministrazione statale « tenuta alla trasposizione della direttiva »; pertanto, alla stregua delle stesse allegazioni contenute nel ricorso, non sussiste il difetto di motivazione costituzionalmente rilevante, il quale postula che la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza
impugnata, non potendo emergere, aliunde , dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090).
A.8.3. Inammissibili, per diverse ragioni, sono, inoltre, il quinto, il sesto e il settimo motivo, i quali sono, tecnicamente, ‘non motivi’, in quanto pongono questioni che non si traducono nella critica di altrettante statuizioni della sentenza impugnata, per essere state assorbite da quella di rigetto della domanda, emessa in accoglimento dell’eccezione preliminare di merito di prescrizione, sollevata dalle amministrazioni convenute. Al riguardo, giova, tra l’altro , precisare che il rigetto per prescrizione della domanda principale preclude l’esame della domanda subordinata di ingiustificato arricchimento, in ragione della regola di sussidiarietà di cui all’ar t. 2042 cod. civ. (Cass., Sez., Un., 05/12/2023, n. 33954).
A.8.4. Inammissibile, per manifesta infondatezza è, ancora, l’ottavo motivo.
In proposito va ribadito -dando continuità ad un consolidato orientamento di questa Corte -che la regola che deve guidare il giudice del merito nella regolazione delle spese processuali è quella fondata sulla soccombenza (art.91 cod. proc. civ.), mentre la compensazione, parziale o totale, al verificarsi delle ragioni previste dall’art.92, secondo comma, cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis ), è riservata al prudente apprezzamento del giudice e trova quindi fondamento in un potere di natura discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., Sez. Un., 15/07/2005, n. 14989 e succ. conf.).
Perfettamente conforme a diritto è, dunque, la statuizione sulle spese contenuta nella sentenza gravata, in quanto la condanna nelle spese è stata formulata in legittima applicazione del principio della soccombenza, e in quanto non sussiste un diritto della parte soccombente ad ottenere la compensazione delle spese medesime.
A.8.5. Va, a questo punto, esaminato il terzo motivo, con cui si censura la statuizione di rigetto della domanda per l’accertata prescrizione del diritto azionato.
Questo motivo è inammissibile a norma dell’art. 360 -bis , n. 1, cod. proc. civ..
A.8.5.a. È ormai ius receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, sorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati, dopo l’applicabilità del regime eurounitario ed entro l’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell’art.11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 ( ex multis , tra le più recenti, Cass. n. 8096 del 2022, Cass. n. 39421 del 2021, Cass. n. 1589 del 2020, Cass. n. 18961 del 2020, Cass. n. 14112 del 2020, Cass. n. 16452 del 2019, Cass., Sez. Un., n. 30649 del 2018; Cass., Sez. Un., n. 18640 del 2022; Cass. n. 32959 del 2022; Cass. n. 24029 del 2023; Cass. n.34212 del 2023; Cass. n.36556 del 2023; Cass.n.6891 del 2024; Cass. n.7984 del 2024; Cass. n.8691 del 2024; Cass. n.8715 del 2024; Cass. n.9168 del 2024).
A.8.5.b. Questo consolidato orientamento trova fondamento nel rilievo secondo il quale «a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il d.lgs. 8
agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11».
A.8.5.c. In senso contrario, non assume rilevanza l’argomento secondo il quale solo in tempi ampiamente successivi al 1999 la giurisprudenza di questa Corte avrebbe escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno.
Detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (cfr., ad es., la citata Cass. 09/11/2022, n.32959) sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata.
Giova ricordare, al riguardo, che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso del termine prescrizionale che, come noto,
non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.
Del pari, non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.
Quanto alla legittimazione passiva -premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 (Cass., Sez. Un., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass.25/07/2019, n. 20099) -va osservato che dalla normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.
A.8.5.d. Con riferimento alla remunerazione, giova tornare ad evidenziare che, a séguito dell’intervento con il quale il legislatore dettando l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 -ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito anche dalla pronuncia della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16 (cfr., ancora, da ultimo, la citata Cass. n. 32959 del 2022, nonché, in modo articolato, Cass.24/01/2020, n. 1641).
A.8.5.e. Quanto sopra si coordina con i rilievi da svolgere in ordine alla disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui all’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, applicabile,
per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006 -2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la direttiva n. 93/16, rispetto alla quale quella n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio.
In altre parole, non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione (cfr., in termini, Cass. 09/11/2022, n. 32959, cit. ).
A.8.5.f. Va pure sottolineata la compatibilità della soluzione adottata con i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani, in particolare laddove afferma e tutela il diritto di accesso al tribunale, sancito dall ‘ art. 6, par. 1 della Convenzione.
Giova osservare, al riguardo, che dalla giurisprudenza sul punto si ricava che, se, da un lato, il diritto di accesso ad un tribunale deve essere «concreto ed effettivo» (COGNOME c. Francia, 4.12.1995; COGNOME c. Croazia, 5.4.2018), nonché offrire alla persona «una chiara e concreta possibilità di opporsi ad un atto che costituisce un’ingerenza nei suoi diritti» (COGNOME c. Francia, cit.; COGNOME c. Portogallo, 10.4.2003; COGNOME c. Bulgaria, 16.7.2013), dall’altro lato le norme che disciplinano le formalità e i termini da rispettare al fine della presentazione di un ricorso o di una domanda di riesame giudiziario sono finalizzate ad assicurare la corretta amministrazione della giustizia e in particolare il rispetto del principio della certezza del diritto (Canete de Goni c. Spagna, 15.10.2003); pertanto la Corte di
Strasburgo ha sottolineato la necessità che i tribunali applichino le norme procedurali evitando sia l’eccessivo formalismo che l’eccessiva flessibilità che vanificherebbe i requisiti procedurali stabiliti dalla legge (Hasan Tunc ad altri c. Turchia, 30.4.2017).
In particolare, con riferimento ai termini di prescrizione, la Corte EDU (Miragall Escolano e altri c. Spagna, 30.4.2000) si è limitata ad affermare che il diritto di instaurare un’azione o di proporre appello deve sorgere a decorrere dal momento in cui le parti hanno potuto effettivamente essere informate di una decisione giudiziaria che impone loro un obbligo o lede potenzialmente i loro legittimi diritti o interessi.
Non appare dunque ipotizzabile, nel caso di specie, la possibilità di una violazione dell’art. 6 della Convenzione, solo se si consideri che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tardiva attuazione delle direttive comunitarie è fissata in dieci anni, secondo la chiara indicazione fornita dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 9147 del 17/04/2009) e che il diritto era esercitabile immediatamente, non necessitando della proposizione preventiva dell’azione davanti al giudice amministrativo, trattandosi di diritto autonomo, scaturente dalla condotta dello Stato italiano (in termini, in motivazione, Cass., Sez. Un., n. 18640 del 2022, cit. ).
A.8.5.g. Quanto alla giurisprudenza della Corte di Giustizia che si è occupata del dies a quo della prescrizione relativa ai medici specializzandi, essa -come già si è osservato in precedenti arresti -ha evidenziato l’insussistenza di un potenziale contrasto tra la soluzione adottata e il principio di effettività tutelato dal diritto europeo, apparendo la soluzione sopra illustrata di certo rispettosa del richiamo a termini di prescrizione «ragionevoli» ed idonea a garantire l’adeguatezza dei mezzi di tutela per un’azione giurisdizionale proposta dai singoli per ottenere la protezione dei diritti conferiti da una direttiva comunitaria. Nella specie, non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno
impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie, ma – deve aggiungersi – nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno(lo Stato), e qualsiasi eventuale incertezza in ordine all’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva ostare al decorso della prescrizione, dal momento che ogni eventuale errore poteva essere emendato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (cfr., ancora, sul punto, le citate Cass. n. 18640 del 2022 e n.32959 del 2022).
A.8.5.h. I rilievi che precedono inducono il giudizio di inammissibilità anche del quarto motivo di ricorso, con cui, per un verso, viene denunciato il diniego del giudice d’appello sulla richiesta di rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, per altro verso viene reiterata tale richiesta al giudice di legittimità.
La prima censura è inammissibile perché il giudice di merito ha la facoltà, ma non l’obbligo, di disporre il rinvio pregiudiziale.
La richiesta rivolta a questa Corte ex art. 267 TFUE va invece disattesa, poiché non vi è alcuna incertezza, sulla questione in esame, che imponga tale rinvio.
Questa Corte ha già rilevato -in particolare, con la già citata Cass., Sez. Un., n. 18640 del 2022 – come, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia che si è occupata della decorrenza e del dies a quo della prescrizione in relazione alla posizione dei medici specializzandi, non emerga un potenziale contrasto tra la soluzione adottata e il principio di effettività tutelato dal diritto europeo, in quanto la predetta soluzione appare ampiamente rispettosa del richiamo a termini di prescrizione ‘ragionevoli’, mediante i quali sia garantita l’adeguatezza dei mezzi di tutela a fronte di un’azione giurisdizionale proposta da un singolo
per ottenere la protezione dei diritti conferiti da una direttiva comunitaria.
Nella specie, non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie, ma – deve aggiungersi -nessuna incertezza poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), né poteva dubitarsi che qualsiasi eventuale incertezza circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione, dal momento che qualsiasi eventuale errore poteva essere rimediato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (cfr., ancora, sul punto, la citata Cass. n.32959 del 2022).
In definitiva, il ricorso proposto dai dottori NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
B.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., «violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie nonché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, dell’art. 10 Cost.; dell’art. 19, comma 1, seconda parte, del Trattato sull’Unione Europea; dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, cd. Carta di Nizza (approvata il 7 dicembre 2000); delle Dir. CEE 82/76, 75/363 e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C-131/97) e del 3 ottobre 2000; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU; degli artt. 1, 10, 11 e 12 delle Preleggi; degli artt. 2934, 2935 e 2938 c. c., dell’art. 6 del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (in Gazz. Uff., 16 agosto, n. 191), nonché dell’art. 11 della Legge n. 370/99».
La sentenza impugnata è censurata per aver ritenuto prescritto il diritto azionato dai ricorrenti, individuando il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione decennale nella data (27 ottobre 1999) di entrata in vigore della legge n. 370 del 1999.
Questo motivo è proposto da tutti i ricorrenti con capofila NOME COGNOME ad eccezione di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (quali eredi del dott. NOME COGNOME).
I ricorrenti sostengono che la legge n. 370 del 1999 non può assumere rilievo ai fini della determinazione del danno risarcibile e, conseguentemente, neanche ai fini della individuazione della data di decorrenza del termine di prescrizione.
Il giudice del merito avrebbe quindi errato, omettendo di considerare che la prescrizione non avrebbe potuto farsi decorrere se non da quando sarebbero state elise le incertezze giurisprudenziali di settore (e dunque dal 17 maggio 2011, atteso che nel 2005 era stata fugata l’incertezza sulla giurisdizione, nel 2009 quella sulla natura dell’azione esperibile e, appunto nel 2011, quella sulla legittimazione passiva unica dello Stato), anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, eventualmente da investire con rinvio pregiudiziale, attesa la necessità di assicurare la piena ed effettiva attuazione della normativa sovranazionale.
B.2. Con il secondo motivo, proposto unicamente dagli eredi del dott. NOME COGNOME (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME), viene denunciata , ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., «violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie, degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, delle Dir. CEE 82/76, 75/363 e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C131/97) e del 3 ottobre 2000; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost; dell’art. 6 del Decreto Legislativo 8 agosto 1991, n. 257 (in Gazz. Uff. 16 agosto n. 191) e dell’art. 11 della Legge 370/99 violazione o falsa
applicazione del REGCE 03/05/1998 n. 974/98, (in G.U.C.E. 11 maggio 1998, n. L. 139) e REGCE 31 dicembre 1998, n. 2866/982 (in G.U.C.E. 31 dicembre 1998, n. L. 359), degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. dell’art. 11 della Legge n. 370/99 e del D.Lgs. n . 257/91, violazione dell’art. 112 c.p.c. ».
I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia liquidato il danno in loro favore erroneamente utilizzando come parametro la remunerazione annua stabilita dal legislatore nel citato art. 11 della legge n. 370 del 1999, anziché quella fissata in sede di attuazione delle direttive comunitarie (d.lgs. n. 257 del 1991), come avrebbe dovuto farsi -sostengono -in ossequio ai principi di equivalenza, effettività ed adeguatezza, dettati dalla giurisprudenza comunitaria.
Alla illustrazione di questa censura viene fatta seguire istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea perché venga chiarito il contenuto dei parametri di equivalenza, effettività ed adeguatezza del risarcimento del danno.
B.3. Con il terzo motivo -anche questo proposto specificamente dagli eredi del dott. COGNOME -viene denunciata, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., « violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227, 2056 c.c., dell’art. 11 della L. 370/1999 e del D. Lgs. 257 del 1991, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in punto di liquidazione del danno in relazione al n. 3 dell’ar t. 360 c.p.c .».
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non aver liquidato gli interessi compensativi, nonostante il debito gravante a carico dell’amministrazione avesse natura di debito di valore.
B.4. Con il quarto motivo viene denunciata, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., « violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie, degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, delle Dir CEE 82/76, 75/363 e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999
(procedimento C-131/97) e del 3 ottobre 2000; degli artt. 2,3,10 e 97 Cost; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU (diritto al rispetto dei beni), dell’art. 6 del Decreto Legislativo 8 agosto 1991, n. 257 (in Gazz. Uff. 16 agosto n. 191) e dell’art. 11 della Legge 370/99 violazione o falsa applicazione del REGCE 03/05/1998 n. 974/98, (in G.U.C.E. 11 maggio 1998, n. L. 139) e REGCE 31 dicembre 1998, n. 2866/982 (in G.U.C.E. 31 dicembre 1998, n. L. 359), degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. dell’art. 11 della Legge n. 370/99 e del D.Lgs. n. 257/91, violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. ».
I ricorrenti, con riferimento alle precedenti censure, deducono che l’omesso riconoscimento del diritto al risarcimento del danno per la mancata puntuale trasposizione della Direttiva 82/76/CEE, nonché di quello alla corresponsione della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi sulle somme tardivamente conferite a titolo risarcitorio, avrebbe concretato una ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni incompatibile con l’art. 1, Protocollo 1, della Convenzione EDU.
Anche quest’ultima censura riguarda specificamente i ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME.
B.4.1. Il primo motivo del ricorso incidentale -proposto da tutti i ricorrenti con capofila NOME COGNOME, ad eccezione di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME -è inammissibile, ai sensi dell ‘ art. 360bis n. 1 cod. proc. civ..
Valgono, sia ai fini della questione di prescrizione, sia ai fini della richiesta di rinvio pregiudiziale, i rilevi già svolti in sede di delibazione del terzo e del quarto motivo del ricorso principale, ai quali si rinvia.
B.4.2. Anche il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso incidentale -proposti dai soli eredi del dott. COGNOME e da esaminare congiuntamente stante la loro connessione -sono inammissibili, ai
sensi dell’art. 360bis n. 1 cod. proc. civ., poiché la Corte d ‘ appello ha deciso conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte e l’esame delle prospettate doglianze non offre elementi per rimeditare l’orientamento della stessa.
B.4.3. Questa Corte ha reiteratamente affermato che le somme da corrispondere ai medici specializzandi italiani che hanno frequentato il corso di specializzazione dopo il 31 dicembre 1982, derivanti dal tardivo recepimento delle direttive CEE n. 362 del 1975 e n . 76 del 1982, non possono essere commisurate all’importo della borsa di studio così come introdotta e quantificata nel d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, che non ha efficacia retroattiva ed è diretto ad individuare, secondo la discrezionalità del legislatore interno, la misura della retribuzione dovuta per le prestazioni fornite dai medici specializzandi.
L’obbligazione scaturente dalla mancata attuazione di direttive, invece, non ha natura retributiva né può dar luogo ad una riparazione integrale, desumibile dai criteri di calcolo della legge sopracitata. Essa ha piuttosto natura para-risarcitoria e la prestazione che ne forma oggetto deve essere quantificata sulla base di un parametro equitativo fondato sul canone di parità di trattamento per situazioni analoghe.
Questo parametro deve essere desunto dalle indicazioni contenute nella legge 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un parziale adempimento soggettivo nei confronti di tutte le categorie che, dopo il 31 dicembre 1982, si siano trovate nelle condizioni fattuali idonee all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, senza però essere ricompresi nel d.lgs. n. 257 del 1991.
Con l’art.11 della legge n. 370 del 1999, lo Stato italiano, in coerenza ai criteri dettati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha compiuto una aestimatio del danno da ritardata attuazione della direttiva comunitaria in grado di contemplare le sue diverse
componenti, e dunque tanto il pregiudizio da mancata percezione della remunerazione adeguata da parte dello specializzando, quanto quello relativo all’inidoneità del diploma di specializzazione al riconoscimento negli altri Stati membri, e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali.
il parametro di cui al citato art. 11 della legge n. 370 del 1999, è di per sé sufficiente a coprire tutta l’area dei pregiudizi causalmente collegabili al tardivo adempimento del legislatore italiano all’obbligo di trasposizione della normativa comunitari a, salva la rigorosa prova -nella fattispecie mancante -di circostanze diverse da quelle normali, tempestivamente e analiticamente dedotte in giudizio prima della maturazione delle preclusioni assertive o di merito e di quelle istruttorie ( ex multis , cfr., solo tra le più recenti, Cass. 21/12/2021, n. 41076; Cass. 26/07/2022, n. 23350; Cass. 25/08/2022, n. 25365; Cass. 12/09/2022, n. 26812; Cass. 13/09/2022, n. 26901).
B.4.4. Quanto alle specifiche doglianze sulla mancata corresponsione degli interessi compensativi e della rivalutazione monetaria, va ribadito che, venendo in considerazione un peculiare diritto (para)risarcitorio, la sua liquidazione equitativa -da compiersi, come detto, sulla base delle indicazioni contenute nella legge n. 370 del 1999 -comporta esclusivamente la decorrenza degli interessi (moratori) nella misura legale (e non anche la necessità della rivalutazione monetaria, salva la prova del maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c.) dalla data in cui l’obbligazione risarcitoria, mediante ‘monetizzazione’, si converte da debito di valore a debito di valuta (Cass., Sez. Un., 27/11/2018, n. 30649; in precedenza cfr. già Cass. 09/02/2012, n. 1917 e Cass. 06/11/2014, n. 23635; successivamente v. Cass. 10/01/2019, n. 458 e Cass. 24/01/2020, n. 1641).
B.4.5. Neppure può essere accolta l’istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Al riguardo, questa Corte ha già chiarito (v. Cass. 21/12/2021, n. 41076, cit. ) che lo stabilire quale dovesse essere la remunerazione dovuta ai frequentanti i corsi di specializzazione in medicina è una scelta discrezionale che l’ordinamento europeo ha lasciato agli Stati membri.
Pertanto, nella sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna violazione del diritto eurounitario, il quale non si occupa della quantificazione della remunerazione dovuta ai frequentanti le scuole di specializzazione (Cass. 13/06/2018 n. 15520; Cass.28/06/2018, n. 17051; Cass. 10/12/2018, n. 31922).
B.4.6. In proposito, non è ipotizzabile alcuna disparità di trattamento fra coloro che si sono iscritti alle scuole di specializzazione dopo il 1991 e coloro che le hanno frequentate in precedenza.
Se è vero, infatti, che ai secondi è stata riconosciuta una remunerazione maggiore del risarcimento liquidato ope legis ai primi, è altrettanto vero che soltanto i secondi, nell’iscriversi alle scuole di specializzazione, hanno assunto oneri ed impegni (quali, ad es., il tempo pieno) non gravanti sui primi.
B.4.7. Deve infine evidenziarsi, reiterando un rilievo già svolto da questa Corte (Cass.12/09/2022, n. 26812, cit. ), che la doglianza dei ricorrenti circa la mancata liquidazione del danno nella maggior misura prevista dal d.lgs. n. 257 del 1991, muove dall’indimostrato assunto che se il legislatore avesse dato tempestiva attuazione alla Direttiva 82/76, il compenso che lo Stato avrebbe loro corrisposto tra il 1982 ed il 1991 sarebbe stato comunque superiore a quello che sarebbe stato poi stabilito dalla legge n. 370 del 1999.
L’assunto, tuttavia, è arbitrario in quanto omette di tenere conto sia della cesura temporale tra le due epoche, nonché dei profondi mutamenti macroeconomici che le differenziano, sia della già evidenziata circostanza che la quantificazione della remunerazione dovuta ai frequentanti i corsi di specializzazione in medicina
costituisce oggetto di un potere discrezionale del legislatore interno, sul quale nessuna ingerenza svolge il diritto eurounitario.
In definitiva, il ricorso proposto dai ricorrenti indicati in epigrafe con capofila NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
Sia le spese del giudizio di legittimità concernenti i rapporti processuali tra i ricorrenti principali e le amministrazioni controricorrenti, sia quelle concernenti i rapporti processuali tra queste ultime e i ricorrenti incidentali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Alla condanna dei ricorrenti soccombenti nelle spese processuali deve seguire quella al pagamento da parte loro, in favore delle amministrazioni vittoriose, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ., il cui importo può essere quantificato nella metà delle spese processuali.
Ciò, in ragione della circostanza che le inammissibili censure proposte, infrangendosi su orientamenti nomofilattici consolidati da molto tempo, si sono tradotte in una condotta processuale connotata da mala fede o colpa grave, contraria ai canoni di correttezza, nonché idonea a determinare oggettivamente, attraverso un uso abusivo del mezzo di impugnazione, un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in posizione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose. Tale condotta si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna dei soccombenti al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.9 6, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass. 04/08/2021, n. 22208; Cass. 21/09/2022, n. 27568; Cass. 05/12/2022, n. 35593).
E. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e incidentali, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li dichiara inammissibili.
Condanna i ricorrenti principali NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in solido tra loro, a rimborsare alle amministrazioni statali controricorrenti le spese del giudizio di legittimità concernenti i relativi rapporti processuali, che liquida in Euro 6.600,00, oltre le spese prenotate a debito.
Condanna i ricorrenti incidentali indicati in epigrafe con capofila NOME COGNOME in solido tra loro, a rimborsare alle amministrazioni statali controricorrenti le spese del giudizio di legittimità concernenti i relativi rapporti processuali, che liquida in Euro 17.100,00, oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali ed incidentali, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza