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Risarcimento mancata assunzione: la prova del danno

In un caso di illegittima esclusione da una graduatoria pubblica, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio chiave sul risarcimento per mancata assunzione. La Corte ha chiarito che il lavoratore danneggiato deve solo allegare la perdita delle retribuzioni, mentre spetta al datore di lavoro l’onere di provare che il lavoratore abbia percepito altri redditi (aliunde perceptum). La sentenza di merito, che aveva negato il risarcimento per mancanza di prova del danno da parte del lavoratore, è stata annullata con rinvio.

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Pubblicato il 4 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Risarcimento mancata assunzione: La Cassazione chiarisce l’onere della prova

Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione ridefinisce i contorni del risarcimento per mancata assunzione, alleggerendo notevolmente l’onere probatorio a carico del lavoratore illegittimamente escluso. Con questa decisione, la Suprema Corte stabilisce che la semplice richiesta di risarcimento basata sulla perdita delle retribuzioni è sufficiente per avviare l’azione legale, invertendo di fatto l’onere della prova sul datore di lavoro.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un cittadino che, dopo aver partecipato a una selezione pubblica indetta da un Comune per l’assunzione a tempo determinato di agenti di polizia municipale, si era classificato al 9° posto in graduatoria. Nonostante la sua posizione, il Comune procedeva all’assunzione di 6 agenti, includendo il candidato posizionato al 10° posto e scavalcando il ricorrente. La giustificazione addotta dall’ente pubblico era che il candidato escluso fosse già impegnato in un progetto di servizio civile presso lo stesso Comune, una motivazione ritenuta successivamente ‘non plausibile’ e ‘arbitraria’ dai giudici.

Il Percorso Giudiziario

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto la domanda di risarcimento del danno. In particolare, la Corte territoriale, pur riconoscendo l’arbitrarietà della decisione del Comune, aveva ritenuto che il lavoratore non avesse fornito una prova adeguata degli ‘ulteriori elementi della responsabilità extracontrattuale’. In sostanza, si richiedeva al danneggiato di dimostrare non solo l’illegittimità dell’atto, ma anche la sussistenza di un danno concreto e la sua entità, un onere che ha di fatto bloccato la sua richiesta.

Il Principio sul risarcimento per mancata assunzione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato questa prospettiva, accogliendo il ricorso del lavoratore. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale che semplifica notevolmente la posizione del lavoratore in queste circostanze. Secondo la Suprema Corte, il danno derivante dalla mancata assunzione è ‘in re ipsa’, cioè implicito nella perdita delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se fosse stato regolarmente assunto.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha specificato che il lavoratore che agisce per ottenere il risarcimento deve semplicemente denunciare, con l’atto introduttivo, un danno consistente nella tardiva o omessa attribuzione del posto di lavoro e, di conseguenza, nella perdita delle retribuzioni. Non è necessario allegare esplicitamente la propria condizione di disoccupazione o di occupazione con un reddito inferiore. L’esistenza del pregiudizio patrimoniale può essere dimostrata anche tramite presunzioni, basate su un giudizio di probabilità fondato sull’ ‘id quod plerumque accidit’ (ciò che accade di solito).

L’onere di provare fatti che possano ridurre o annullare il risarcimento, come l’aver trovato un’altra occupazione (il cosiddetto ‘aliunde perceptum’), grava interamente sul datore di lavoro. È l’ente pubblico, in questo caso, che deve dimostrare che il lavoratore, nel periodo di mancata assunzione, ha svolto altre attività lavorative retribuite. La Corte d’Appello, quindi, ha errato nel richiedere al lavoratore una prova ulteriore del danno, applicando un principio non corretto.

Conclusioni

La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi stabiliti dalla Cassazione. Questa ordinanza rappresenta una vittoria significativa per i lavoratori, poiché chiarisce che la prova del danno da mancata assunzione è notevolmente agevolata. È sufficiente dimostrare l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro e allegare la perdita economica derivante dai mancati stipendi. Sarà poi il datore di lavoro a doversi difendere provando eventuali redditi alternativi percepiti dal lavoratore.

In un’azione per risarcimento da mancata assunzione, chi deve provare il danno?
Il lavoratore deve semplicemente allegare e chiedere il risarcimento per la perdita delle retribuzioni che avrebbe percepito. Spetta invece al datore di lavoro l’onere di provare che il lavoratore abbia svolto un’altra attività lavorativa retribuita (cosiddetto ‘aliunde perceptum’) che possa ridurre l’ammontare del danno.

Per chiedere il risarcimento è necessario dimostrare di essere rimasti disoccupati?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il lavoratore non ha l’onere di allegare esplicitamente la sua condizione di inoccupazione. La richiesta di risarcimento per le retribuzioni perse è sufficiente a radicare la pretesa, poiché la questione dell’eventuale occupazione alternativa rientra nel piano della prova, il cui onere è a carico del datore di lavoro.

Il giudice può utilizzare le presunzioni per quantificare il danno da mancata assunzione?
Sì. La Corte ha confermato che il pregiudizio patrimoniale può essere dimostrato anche mediante il ricorso a presunzioni. Il giudice può coerentemente risalire all’esistenza del danno (fatto ignoto) partendo da elementi precisi e concordanti (fatti noti), sulla base di un giudizio di probabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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