Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2525 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2525 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
Oggetto
Responsabilità civile -Danni da omessa vigilanza ─ Furto di autocarro con rimorchio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 849/2024 R.G. proposto da COGNOME Claudio, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 1211/2023,
depositata in data 31 maggio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 380 del 2020 il Tribunale di Piacenza, in parziale accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, contro la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE , condannò quest’ultima al pagamento della somma di Euro 2.011,32, oltre rivalutazione e interessi legali, a titolo di risarcimento dei danni subiti in conseguenza del furto del semirimorchio modello Merker targato AD83085, perpetrato ad opera di ignoti nel periodo in cui questo era affidato alla convenuta per essere sottoposto a delle riparazioni, essendo stato detto rimorchio successivamente rinvenuto da lle Forze dell’Ordine in pessime condizioni.
Riconobbe, infatti, solo in parte le voci di danno emergente indicate dall’attore limitatamente a: i costi di recupero del mezzo dopo il ritrovamento; quelli delle riparazioni « attinenti ai danni che il mezzo non aveva al momento del sinistro e … quindi certamente riconducibili casualmente al furto »; i costi della rigommatura a seguito della sottrazione del treno di gomme.
Escluse, invece, del tutto, l’esistenza di un danno da lucro cessante, sul rilievo che il bene sottratto non era comunque fruibile al momento del sinistro poiché necessitante di riparazioni e considerato che, in ogni caso, l’istante avrebbe potuto ricorrere al noleggio di un altro semirimorchio in attesa dell’acquisto e che inoltre la ditta disponeva di un numero di dipendenti inferiore rispetto al numero dei mezzi.
Compensò integralmente le spese processuali, « in considerazione della significativa riduzione della originaria pretesa attorea e della disponibilità manifestata da COGNOME, nel corso del giudizio, di offrire in favore di controparte un importo che si è rivelato superiore a quanto
accertato in sede giudiziale ».
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello interposto dal COGNOME confermando integralmente la decisione di primo grado e condannando l’appellante alle spese del grado.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui resiste l’intimata, depositando controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente dare atto che la copia informatica della sentenza impugnata depositata dal ricorrente (la cui conformità all’originale informatico non è contestata dal controricorrente: v. Cass. Sez. U. 25/03/2019, n. 8312) non reca la stampigliatura (c.d. glifo) relativa alla data di pubblicazione della stessa ed al numero di raccolta generale ad essa automaticamente attribuito dai sistemi in uso presso la cancelleria del giudice a quo (dati ovviamente indispensabili per verificare la tempestività dell’impugnazione).
Trattandosi tuttavia di ricorso notificato successivamente al 1° gennaio 2023 i dati relativi alla pubblicazione (peraltro nemmeno essi nella specie contestati), là dove non evincibili -come nella specietramite gli stessi sistemi informatici in uso a questa Corte, possono essere verificati ─ e nella specie lo sono stati con esito conforme alle indicazioni contenute in ricorso ─ attraverso la consultazione del fascicolo informatico del giudizio di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137 -bis disp. att. c.p.c. (applicabile ratione temporis ex art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 149 del 2022), a tanto non ostando che
manchi l’istanza ex art. 369 cod. proc. civ. previgente, trattandosi di ricorso che, come detto, è stato introdotto successivamente al 1° gennaio 2023, per il quale è dunque applicabile il nuovo testo di tale articolo dal quale è stato eliminato l’ultimo comma (v. Cass. 13/05/2024, n. 12971).
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., «Error in iudicando; violazione e/o falsa ed erronea applicazione delle norme di legge; Erronea applicazione e/o interpretazione dell’art. 1227 c.c. con riferimento all’onere asseritamente imposto alla ditta RAGIONE_SOCIALE di reperire un semirimorchio simile a quello di cui aveva perso la disponibilità; violazione di legge; violazione erronea applicazione e/o interpretazione delle norme relative alla responsabilità contrattuale per inadempimento art. 1218, 1223, 1226 e 1453 c.c. ed extracontrattuale, quindi violazione dell’art. 2043 c.c., con riferimento al rigetto della domanda risarcitoria afferente al lucro cessante ».
Lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che fosse onere dell’odiern o ricorrente reperire un altro semirimorchio ─ o attraverso il suo acquisto o attraverso il noleggio ─ e che il non averlo fatto configuri comportamento idoneo ad escludere la risarcibilità del danno ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ..
Rimarca che la questione della erronea applicazione di tale norma da parte del primo giudice costituiva parte integrante dei motivi di impugnazione, non corrispondendo al vero, dunque, che ─ come per implicito adombrato in motivazione ─ la sussunzione della fattispecie nella previsione della citata disposizione non fosse stata oggetto di trattazione e/o contestazione nell’atto di appello .
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., «Error in procedendo; violazione falsa applicazione delle norme di legge e segnatamente delle norme processuali e sostanziali di riferimento;
erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 , primo e secondo comma, c.c., con riferimento all’onere probatorio imposto all’odierna ricorrente da parte della Corte di merito in relazione alle eccezioni formulate in prime cure dalla parte convenuta; violazione degli artt. 1218, 1226, 1453 e 2043 c.c. con riferimento alla domanda risarcitoria proposta dall’odierna ricorrente, sia a titolo contrattuale che extracontrattuale ed alla ripartizione dell’onere probatorio imposto alle parti contraenti o al danneggiato ».
Lamenta che la Corte d’appello ─ affermando che « non costituisce circostanza di comune esperienza’, come tale non abbisognevole di prova ex art. 115 c.p.c., il fatto che un semirimorchio non possa noleggiarsi giorno per giorno, l’onerosità dello stesso (anche in termini di maggior danno rispetto al mancato noleggio) e che i semirimorchi dell’appellante sarebbero allestiti su misura » ─ abbia operato una inversione dell’onere probatorio in materia, sostanzialmente assumendo che spettasse a parte attrice l’onere di dimostrare l’impossibilità di noleggiare gi orno per giorno un mezzo sostitutivo, posto che al contrario sarebbe stato onere della convenuta dimostrare tali circostanze.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., «Error in iudicando; omesso esame di un fatto decisivo della controversia con riferimento al mancato riconoscimento dei danni subiti dal semirimorchio in conseguenza del furto e constatati dopo il suo ritrovamento con l’espressa allegazione che i fatti posti a fondamento della decisone della Corte di merito sono diversi da quelli posti a fondamento della decisone del Tribunale di prime cure; fatto decisivo attestato dal doc. 10 di prime cure e qui prodotto come doc. 4 ».
Lamenta che erroneamente la Corte d’appello abbia ritenuto che i danni dal semirimorchio fossero preesistenti al furto, il contrario emergendo -assume- dal raffronto tra le prove testimoniali escusse e
la fattura (n. 179) dei lavori eseguiti.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., «Error in iudicando; violazione di legge; Erronea interpretazione e/o applicazione degli artt. 1218, 1226 e 1453 c.c. con riferimento al mancato accoglimento della domanda risarcitoria proposta dall’odiern o ricorrente sia con riferimento al danno emergente che al lucro cessante ».
Sotto tale rubrica egli riconduce le medesime doglianze relative al mancato riconoscimento del danno emergente rappresentato alle riparazioni del semirimorchio di cui alla menzionata fattura n. 179 e del danno da lucro cessante, in relazione al quale afferma di aver documentato la riduzione del fatturato, anche attraverso la produzione delle dichiarazioni Iva relative al periodo interessato.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione di legge; Error in iudicando ; violazione ed erronea applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. con riferimento all’intervenuta integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio di primo grado; violazione del principio di soccombenza ».
Lamenta che erroneamente la Corte di merito abbia confermato l’integrale compensazione delle spese del primo grado in ragione dell’accoglimento della domanda in misura sensibilmente inferiore rispetto alla domanda proposta originariamente nell’atto introduttivo .
Sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare che la RAGIONE_SOCIALE COGNOME era totalmente soccombente per quanto attiene al l’ an in punto responsabilità e parzialmente soccombente per quanto riguarda il quantum in ordine alla quantificazione e liquidazione dei danni.
I primi due motivi, congiuntamente esaminabili, sono inammissibili.
Oltre alle affermazioni sulle quali si appuntano le considerazioni
critiche del ricorrente, la Corte felsinea giustifica la conferma del rigetto della pretesa risarcitoria da lucro cessante sulla base di altre due rationes decidendi .
Osserva infatti che:
sono « parimenti inaccoglibili le ulteriori considerazioni, poiché sempre sfornite di prova, secondo le quali se l’impresa avesse avuto la disponibilità di due semirimorchi ‘probabilmente’ avrebbe ‘fatturato di più che con uno solo’, ‘che non è che tutti i semirimorchi nella disponibilità della ditta attrice siano identici’ e che non ‘trasporta sempre la stessa tipologia di merce chiusa in scatoloni’ »;
b) « l’appellante non muove specifica censura al fatto che in ragione delle circostanze documentate dalla società convenuta in relazione all’elenco dei veicoli intestati al Sig. COGNOME in relazione al numero dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, tale danno, oltre a non essere provato, non era neanche prevedibile dal COGNOME, al momento in cui ha preso in carico il mezzo per riparazione lariparazione (pag. 10 sentenza appellata); ed invero il numero dei semirimorchi appare maggiore rispetto al numero dei lavoratori risultanti dalla visura camerale » (così testualmente).
La prima di tali considerazioni attiene non già ─ come quella alla quale si riferiscono i motivi di ricorso oggetto del presente scrutinio ─ alla sussistenza di condotta valutabile come idonea a ridurre le conseguenze pregiudizievoli ma, a monte, proprio alla prova dell’esistenza di siffatte conseguenze, il cui onere certamente spetta alla parte che le allega.
La seconda esprime, a ben vedere, una ancora preliminare valutazione di aspecificità del motivo di appello e, dunque, per implicito, di inammissibilità dello stesso ex art. 342 c.p.c..
Entrambe rimangono però non censurate, da ciò discendendo l’inammissibilità dei motivi.
È appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo il consolidato
insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro alcuna di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (v. ex multis Cass. n. 2174 del 24/01/2023; n. 13880 del 6/07/2020; n. 14740 del 13/07/2005).
Può soggiungersi che, in relazione all’ultima delle rationes testè richiamate (aspecificità e, dunque, inammissibilità del motivo d’appello), viene anche in rilievo il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui « ove il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas iudicandi , abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità la quale costituisce la vera ragione della decisione » (Cass. Sez. U. n. 2155 del l’ 1/02/2021, Rv. 660428; Id. n. 24469 del 30/10/2013; Id. n. 3840 del 20/02/2007; Cass. n. 27388 del 19/09/2022, Rv. 665905; n. 11675 del 16/06/2020, Rv. 657952; n. 30393 del 9/12/2017; n. 101 del 4/01/2017).
8. Il terzo motivo è inammissibile.
Anzitutto per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l’onere in tal caso su di esso gravante
di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 28/02/2023, n. 5947; 15/03/2022, n. 8320; 6/08/2019, n. 20994; n. 22/12/2016, n. 26774).
Le considerazioni che in tal senso vengono svolte in apertura della illustrazione del motivo non valgono ad evidenziare una sostanziale diversità delle motivazione sul piano, l’unico da considerare a tal fine, della ricognizione degli elementi di fatto ritenuti rilevanti; la contraddittorietà dell’affermazione dell’appellante « relativamente alla mera difettosità del meccanismo di chiusura » rispetto a quanto invece dallo stesso affermato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, è rimarcata nella s entenza d’appello solo per evidenziare che a queste ultime correttamente andava riferita la valutazione in punto di fatto circa l’esistenza di preesistenti ben più consistenti danni alla parte posteriore del mezzo, in piena conformità dunque al giudizio espresso dal Tribunale.
Pur prescindendo da ciò occorrerebbe, comunque, rilevare che l’evocato vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. è dedotto in termini manifestamente estranei al relativo paradigma.
Va al riguardo rammentato che, secondo pacifico indirizzo, è sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e che, in tale nuova prospettiva, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7/04/2014, nn. 8053-8053; Id. 22/09/2014, n. 19881).
Nel caso di specie appare evidente che quel che si richiede è una mera rivalutazione delle risultanze istruttorie, peraltro già considerate e sottoposte a compiuto esame da parte del giudice del merito.
9. Il quarto motivo è inammissibile.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132 del 2005, 26048 del 2005, 20145 del 2005, 1108 del 2006, 10043 del 2006, 20100 del 2006, 21245 del 2006, 14752 del 2007, 3010 del 2012 e 16038 del 2013).
In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.
Nella specie la doglianza si muove evidentemente sul piano della mera ricognizione del fatto e non è idonea a far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie concreta così come accertata in sentenza, risolvendosi peraltro dichiaratamente nella mera riproposizione delle medesime censure già svolte con i precedenti motivi solo ad esse anteponendosi una diversa rubrica, evidentemente
però non appropriata.
Il quinto motivo è parimenti inammissibile.
Anch’esso non si confronta adeguatamente con la motivazione sul punto spesa dalla Corte d’appello la quale, invero, prima che infondato, ha giudicato inammissibile il motivo di gravame sul rilievo che « in alcun modo l’appellante ha censurato quanto accertato dal Tribunale ovverosia che ‘le spese di giudizio sono integralmente compensate tra le parti, in considerazione della significativa riduzione della originaria pretesa attorea e della disponibilità manifestata da COGNOME, nel corso del giudizio, di offrire in favore di controparte un importo che si è rivelato superiore a quanto accertato in sede giudiziale’ (pag. 11 sentenza appellata) ».
Anche in tal caso appare evidente che la Corte abbia espresso una valutazione di inammissibilità, in rito, del motivo di gravame, per aspecificità, ex art. 342 c.p.c., valutazione con la quale il ricorrente non si confronta in alcun modo, limitandosi a censurare l’aggiuntiva valutazione di infondatezza del motivo di appello, la cui critica è però inammissibile alla luce del principio già richiamato nello scrutinio dei primi due motivi (v. supra , «Ragioni della decisione», § 7, in fine)
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente
giudizio, che liquida in Euro 3.000 per compensi , oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza